«Bisogna rimettere i giovani al centro». Primi segnali da Europa e Italia

Giovani

avvenire.it

Dare voce ai giovani è possibile? In che modo? Se la domanda che emerge dal “Rapporto Giovani 2023” dell’Istituto Toniolo è quella di una maggiore partecipazione, allora è necessario prendere sul serio il grido d’aiuto di una generazione che si sente isolata e individuare percorsi subito.

È come se i giovani avessero difese immunitarie sociali più basse dopo la pandemia – riflette Valerio Martinelli, 29 anni, ricercatore presso la Fondazione Bruno Visentini -. La svolta potrebbe arrivare dall’attivazione di politiche a impatto generazionale. Lo ha chiesto due giorni fa, sia pure in modo non vincolante, un documento approvato dal Cese, il Comitato economico e sociale europeo, in vista anche del prossimo semestre di presidenza spagnola dell’Unione: qualsiasi legge venga varata, vanno implementati meccanismi di valutazione sugli effetti che gli interventi previsti hanno sui più giovani. Lo stesso ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha promesso alcuni mesi fa una legge quadro per i giovani nel nostro Paese».

Lavori in corso, dunque. Sullo sfondo, c’è lo storico “divario” che gli under 30 mantengono nei confronti di genitori e nonni. In Italia, quasi un cittadino su quattro tra i 15 e i 29 anni dispone di un reddito netto al di sotto del 60% della media nazionale. Un dato rilevante, se si pensa che il gap a livello europeo si assesta soltanto intorno al 20%. Non solo: la maggior parte dei 900mila posti di lavoro persi nel 2021 a causa dell’effetto Covid, riguardava proprio i nostri 20-30enni, così come l’enorme quantità di dimissioni registrare durante l’anno successivo.

Michele Bellini ha 31 anni, ha collaborato con Enrico Letta quando l’ex segretario del Pd insegnava a Sciences Po a Parigi ed è stato successivamente capo della segreteria del Partito democratico. «Per prima cosa dobbiamo intenderci bene su cosa sono i giovani oggi – osserva Bellini -. Non si tratta di un insieme omogeneo e indistinto, ma di un universo che al proprio interno tiene dentro necessità e aspirazioni diverse tra loro, che non possono essere semplificate. Avere 18 anni o averne 30 non è la stessa cosa, così come vivere a Milano oppure in provincia. Il problema delle politiche giovanili di questi anni è stato proprio quello di disegnarle ignorando troppo spesso la complessità e l’eterogeneità di questo mondo» dice Bellini.

Sulla diagnosi l’accordo tra i ricercatori è unanime, sul percorso da fare le risposte divergono.

Secondo Martinelli, «occorrerebbe un piano nazionale per i giovani, su base quinquennale. È necessario coinvolgere soggetti cruciali come il Terzo settore, che sta portando avanti progetti molto efficaci sul territorio, il Consiglio nazionale dei giovani e l’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, che potrebbe essere valorizzato nell’analisi dell’impatto generazionale relativo agli interventi legislativi». E poi, sullo sfondo, resta il Pnrr, che «non prevede nulla in particolare per i giovani».

Secondo Bellini, invece, «mettere i giovani al centro delle politiche pubbliche non significa fare misure a favore di una “specie protetta”, ma significa fare interventi che, dando priorità alle loro difficoltà, ambiscano a correggere le storture di un intero sistema». Il ricercatore cita come «esemplificativa l’esperienza francese, dove si tentò di creare un contratto specifico per i giovani; progetto naufragato perché non serviva un contratto specifico, ma (semplicemente) occorreva che ai giovani fossero date le medesime tutele e opportunità retributive presenti in un “normale” contratto di lavoro».

Resta poi l’ultimo aspetto, che in realtà è prioritario nella vita dei ragazzi: il desiderio di felicità, la propria realizzazione personale e la partecipazione alla vita della comunità. Inutile nascondere che l’aspetto più preoccupante resta quello della salute mentale, con un disagio segnalato in crescita dal 13,8% del 2019 al 20,9% del 2021, secondo i dati elaborati da Istat: sono circa 220mila gli adolescenti che si dichiarano «insoddisfatti» della propria vita e questo è un dato che si riflette anche sull’isolamento sociale, sulla progressiva chiusura all’esterno.

È quel sentimento di rassegnazione e scoraggiamento evocato dal rapporto del Toniolo, che si riflette, dal punto di vista socio-politico, in un progressivo straniamento verso la cosa pubblica: il 42% dei giovani tra i 18 e i 34 anni non ha votato alle ultime Politiche, sei punti in più rispetto al già altissimo tasso di astensione nazionale. Per questo, occorre rimettere questo universo dimenticato al centro del villaggio: per farlo, però, deve cambiare anche l’agenda della politica.