Povertà. Il doposcuola di Kenza a Torino: «Qui nessuno resta ai margini»»

La giovane educatrice di origini marocchine è l’anima e il braccio del Circolo Banfo in Barriera Milano, dove ragazzi e bambini in difficoltà trovano uno spazio sicuro per crescere

Kenza parla con due bimbi della scuola d'infanzia di Torino

Kenza parla con due bimbi della scuola d’infanzia di Torino – .

C’è un’altra resistenza, o una resistenza nuova. La portano avanti donne e uomini sconosciuti, tra le mille difficoltà del quotidiano, in un’Italia liberata dalla guerra e dal fascismo ma non dai nemici della convivenza civile e della democrazia: le mafie e l’illegalità, il razzismo e il pregiudizio verso il diverso, l’abbandono e il degrado delle periferie e degli ultimi, la violenza sulle donne e la cancellazione dei diritti. Polemiche e scontri politici offuscanoil significato di una data che è simbolo di lotta e riscatto dal male. Il Paese, alle prese con tanti problemi, esprime ancora queste forze. Avvenire in occasione del 25 aprile ha deciso di raccontare tre storie di “resistenti”: quella di Kenza che leggete qui sotto, quella di Pino col suo ristorante e la sua cooperativa sociale più forti delle minacce e delle intimidazioni e quella di Massimo Baroni, il padre della giovanissima Alba Chiara uccisa nel 2017 in Trentino dal suo ex fidanzato, impegnato in prima linea accanto alle donne nella lotta contro la violenza e per la parità.

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Fede e famiglia. «Pregare in coppia, ecco cosa abbiamo imparato in 25 anni»

Il sociologo Pietro Boffi rievoca la storia delle “Settimane nazionali di studi sulla spiritualità coniugale e familiare”, una svolta fondamentale per la pastorale della famiglia

La "Settimana di spiritualità coniugale e familiare" dell'Ufficio famiglia Cei in corso a Palermo

La “Settimana di spiritualità coniugale e familiare” dell’Ufficio famiglia Cei in corso a Palermo

Venticinque anni di storia della pastorale familiare in Italia sono passati attraverso un appuntamento particolare, le Settimane di spiritualità coniugale e familiare. Era la primavera del 1997 quando l’allora direttore dell’Ufficio famiglia, don Renzo Bonetti, affiancato dal presidente della commissione episcopale per la famiglia e la vita, il vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, organizzò la prima edizione a Rocca di Papa, nella grande casa per esercizi spirituali di “Mondo Migliore” affacciata sul lago di Albano, proprio di fronte a Castel Gandolfo. C’erano molte incertezze sulla risposta delle diocesi. Da qualche anno non venivano organizzati convegni nazionali di pastorale familiare e l’idea di ripartire proprio dalla spiritualità non convinceva tutti. Qualcuno pensava che la proposta finisse per essere considerata un po’ estrema. Quasi che coltivare lo spirito fosse attività da lasciare ai consacrati e ai mistici, inadatta alla concretezza laicale delle famiglie. “Invece l’esperimento riuscì e 25 anni dopo siamo ancora qui, lungo il solco tracciato da quei pionieri della pastorale che evidentemente avevano colto nel segno”. Lo racconta il sociologo Pietro Boffi, padre e nonno, membro della Consulta Cei di pastorale familiare e collaboratore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia). Boffi non solo ha partecipato a tutte le 25 edizioni, ma con il teologo don Giancarlo Grandis, ha curato per una decina d’anni la preparazione delle schede emerse dai laboratori delle “Settimane”.

Chi lanciò la proposta di organizzare una Settimana di spiritualità per la coppia e per la famiglia?

Tra i promotori, il più convinto era don Gianfranco Fregni, allora direttore dell’Ufficio famiglia di Bologna. Un precursore della pastorale familiare. Era stato tra i fondatori del Centro di documentazione e promozione familiare «G.P. Dore», sempre a Bologna, e aveva fondato la rivista CLeF (Chiesa Locale e Famiglia), oltre ad aver scritto vari volumi e sussidi sulla spiritualità familiare. Don Renzo Bonetti, che da pochi mesi era stato nominato direttore dell’Ufficio nazionale, accolse con entusiasmo la proposta e riuscì a coinvolgere, oltre alle diocesi, tanti movimenti e associazioni familiari. Anche perché tutta la Chiesa lavorava in vista del grande Giubileo dell’Anno Duemila e don Bonetti ebbe la bella idea di proporre una trilogia di riflessione su Padre, Figlio e Spirito Santo in riferimento alla spiritualità coniugale e familiare. Fu un successo. Alla prima edizione del ’97 arrivarono a Rocca di Papa oltre mille persone, tra famiglie con bambini e studiosi.

Quale fu la formula vincente delle “Settimane”?

Quella di mettere a confronto per sette giorni famiglie impegnate nella pastorale familiare ed esperti. Non era soltanto un convegno – e neppure oggi lo è – ma era anche un’occasione per uno scambio culturale e umano che, a partire dalle relazioni, proseguiva poi per tutta la giornata. C’erano teologi, sociologi, psicologi ed altri esperti. E tantissime coppie con figli. I piccoli seguivano percorsi adatti alle diverse età, secondo un progetto organizzato. Non solo animazione ma proposte mirate e intelligenti. Il cosiddetto “Animatema di famiglia”. Anche questo fu un elemento decisivo per incentivare la presenza delle famiglie.

Come è cambiata la partecipazione delle famiglie in questi 25 anni?

Insieme alle varie coppie responsabili a livello regionale e diocesano, c’erano tante coppie provenienti dai movimenti di spiritualità coniugale. Presenze importanti dell’Equipe Notre Dame, di Incontro matrimoniale, del Rinnovamento nello Spirito, dei Focolari, del movimento Pro Familia, dell’Azione cattolica, che aveva allora un vivace settore famiglia, e di tante altre realtà. Con il tempo queste presenze sono un po’ venute meno. Forse perché i movimenti sono un po’ in crisi, forse perché si è deciso di puntare con maggior decisione sulla partecipazione delle famiglie legate alle varie diocesi

Cosa lasciano queste “Settimane” alle famiglie, a livello di crescita culturale e pastorale?

Fanno crescere certamente la consapevolezza sul ruolo della coppia e della famiglia nella Chiesa. E regalano profondi spunti teologici e pastorali. D’altra parte, lasciano anche una certa frustrazione perché si vede come il rinnovamento pastorale di base, parlo delle nostre parrocchie, va raramente di pari passo con gli stimoli che arrivano da questi incontri nazionali. È come se ci fosse uno scollamento tra la teoria teologica e pastorale, sempre molto coinvolgente, e le proposte di base. Credo che il marcato clericalismo e una certa impostazione tutta focalizzata sulla preparazione ai sacramenti abbia finito per rendere difficile l’apertura verso nuovi sbocchi. Qualche parliamo di “ministerialità della coppia” poi è sempre difficile capire come tradurre questo concetto nella pastorale ordinaria delle parrocchie.

Non è che le “Settimane” hanno offerto tanta teologia d’avanguardia e pochi spunti per la prassi pastorale?

Ma no, all’interno dei vari convegni c’è sempre stata la preoccupazione di fornire indicazioni pastorali concrete. Dopo le relazioni non sono mai mancati i gruppi di lavoro. E dai gruppi sono sempre uscite schede pensate proprio per far funzionare meglio la pastorale ordinaria. Un lavoro “pronto all’uso” che, certo, poi dev’essere portato nelle parrocchie e accettato.

In venticinque anni le “Settimane” hanno affrontato tanti temi importanti per la vita di fede delle coppie e delle famiglie. Oggi, parlando di pastorale familiare, qual è l’argomento che andrebbe approfondito con urgenza?

Credo la trasmissione della fede. Anche tra le famiglie “belle e buone” – una battuta, naturalmente, non esiste la famiglia ideale – che si occupano di pastorale familiare e frequentano, per esempio, la “Settimana” Cei e altri appuntamenti nazionali, ci sono molti casi complicati. Figli che non seguono i genitori, che rifiutano l’idea del matrimonio, che preferiscono attese infinite o che scelgono la convivenza. Se questo succede con “famiglie doc” è facile pensare che il problema sia avvertito in modo ancora più palpabile nel resto dei nuclei familiari. E sono questioni che ci interrogano e ci sollecitano a tentare nuovi percorsi.

avvenire.it

 

All’Istituto comprensivo 10 di Vicenza nessuno è straniero

L'articolo 34 della Costituzione, "La scuola è aperta a tutti" stampato sul banco

L’articolo 34 della Costituzione, “La scuola è aperta a tutti” stampato sul banco

All’Istituto comprensivo 10 di Vicenza, gli alunni sono 636; il 48 per cento è straniero. «Anche se “straniero” è una categoria generica» sottolinea la dirigente Maria Chiara Porretti. «Il 90%, infatti, è nato a Vicenza. Bisogna distinguere tra gli alunni “con cognome straniero” e i NAI, ovvero gli appena arrivati in Italia che in tutto l’istituto sono una ventina. Ne arrivano due al mese: loro sono gli unici veri stranieri perché non parlano italiano».

Che, poi, a ben vedere questa necessità di entrare nei particolari linguistici della vicenda si è posta solo dopo che il vicepremier Matteo Salvini, alla luce della chiusura della scuola di Pioltello il 10 aprile scorso per permettere ai ragazzi di partecipare alla festa di fine Ramadan, ha chiesto di mettere un tetto del 20 per cento di alunni stranieri nelle classi. Seguito a poca distanza dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Validatara che ha twittato così: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani”.

Ebbene, nell’IC 10 vicentino quello della Costituzione non è uno studio, «la Costituzione» ci spiega la vicaria Laura Trentin, «vive tra i banchi, è stampata sui banchi. Abbiamo scelto più di 20 articoli che sono sempre sotto gli occhi dei nostri alunni, vengono discussi, approfonditi e argomentati con i docenti. Valori che non studiamo in astratto, ma che cerchiamo di mettere in pratica». Oltre a tante altre scelte di responsabilizzazione che hanno fatto: «in primis quella delle aule disciplinari. Ogni classe non ha la sua aula, ma alla secondaria di primo grado – le vecchie medie per capirci – lavoriamo sugli ambienti di apprendimento. I ragazzi, così, sono responsabili delle ore che frequentano e imparano, mettendola in pratica, l’educazione civica. Già dalla secondaria di primo grado, poi, abbiamo introdotto i rappresentanti di classe. Ogni mese c’è un’assemblea di classe. Un modo per responsabilizzarli e dar loro fiducia».

All’esterno dell’istituto, sarà un caso o forse no, campeggia un murales dedicato ad Antenore, esule da un altro Paese, a cui è intitolata la scuola: «ecco perché abbiamo implementato il progetto musicale di alfabetizzazione per superare le differenze linguistiche. Ma, poi, diciamolo i problemi li creiamo noi adulti. Per i nostri alunni i compagni sono compagni e basta, italiani e stranieri che siano. Ed ecco perché il discorso di un tetto massimo non esiste: che fai l’alunno del palazzo a fianco lo mandi in un’altra scuola? Oltretutto è proprio grazie ai pari che nel giro di poco imparano l’italiano».

Certo una realtà così internazionale comporta un’organizzazione ferrea e delle risorse dedicate che nelle ristrettezze fanno i conti con lo scenario. «Per esempio i fondi del Pnrr per il potenziamento linguistico li dividiamo a metà tra l’inglese e potenziamento della lingua italiana». E un maggior lavoro dei docenti: «ma il viceversa di questo discorso è che il corpo insegnante è stabile. Perché chi è qui lo sceglie. È una realtà molto stimolante».

Famiglia Cristiana

Dietro la violenza online noia e apatia

Nell’ultimo periodo torna prepotentemente il tema delle challenge estreme, quelle che viaggiano sul social e nelle chat, da uno smartphone all’altro. Quelle che sembrano scherzi e bravate, ma che mettono a rischio la salute e l’incolumità dei più giovani.

Ed ecco tutti a puntare il dito contro la rete brutta e cattiva, ma quella rete la abitiamo noi, come un bosco fitto da attraversare dove lasciare i nostri figli. Qualche volta gli diciamo di stare attenti, senza neppure sapere bene a cosa.

La verità è che la sofferenza dei ragazzi è diventata un fatto di cui parlare, senza entrare nel merito e affrontare i tanti perché di questa rete impalpabile, ma che diventa un muro contro il quale sbattiamo con tutta la nostra ignoranza. A furia di sbattere forse capiremo di dover accogliere, non solo commentare, la sofferenza di questi ragazzi. Di capirla, accettare, di dare loro punti di riferimento, ascolto e presenza. Anticorpi fondamentali per qualsiasi virus presente nel web. Il loro conforto è il web, con le chat, i social e la possibilità di trovare sempre qualcuno. Non importa chi o perché, basta non sentirsi soli, in preda alla noia. Un limbo dentro il quale vivono migliaia di ragazzi, che si rifugiano nel presente perché spaventati dal futuro.

Propria la noia, assieme alla solitudine, è una delle cause più frequenti alla base del cyberbullismo e della violenza online. Un fenomeno che oggi condiziona tre adolescenti su quattro, più o meno coinvolti in episodi legati all’utilizzo scorretto o inconsapevole del web. Un dato superiore al trend fotografato dal Censis prima della pandemia.

Di virtuale, però, non c’è nulla nella sofferenza, soprattutto online. Perché in Rete il disagio cresce e si amplifica: una foto o un video possono diventare virali in pochissimo tempo. Ballare, viaggiare, vivere pienamente la vita e gli affetti aiutando a scongiurare quel malessere che spinge tanti ragazzi, in buona parte sotto i 14 anni, ad abitare il mondo digitale in maniera distorta. Servono regole condivise e presenza educativa, prerogativa indispensabile per consentire alle giovani generazioni di spiegare le ali e tornare a sognare.
Famiglia Cristiana

In occasione del centenario dell’omicidio del deputato Matteotti esce “Hanno ucciso la libertà!”

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Il mancato discorso di Antonio Scurati in Rai, e la ripresa virale delle sue parole, che probabilmente ora sono diventate più visibili che se fossero state semplicemente pronunciate in Tv, ha di colpo risvegliato l’Italia sul fatto che nel 2024 ricorre il centenario dell’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 2924), che mise fine a ogni possibile opposizione democratica al quello che di fatto si manifestò come un regime dittatoriale. Le celebrazioni storiche possono essere solo retoriche, oppure essere l’occasione per tenere viva, in questo caso, la memoria di cosa sia stata l’abolizione di ogni forma di libertà, di cosa ha significato un ventennio senza elezioni, senza partiti politici, senza possibilità di esprimere la propria opinione. Ed è importante farlo soprattutto con le nuove generazione.  È proprio con questo obbiettivo che è nato il libro di narrativa per ragazzi di edizioni Paoline Hanno ucciso la liberta! A scriverlo è stata Ilaria Mattioni, una docente di storia della letteratura per l’infanzia all’università di Torino, che è anche un’apprezzata autrice per ragazzi e una studiosa proprio del periodo storico tra le due guerre. Per anni, quando faceva il dottorato di ricerca, ha frequentato la redazione del Giornalino per uno studio accurato sul nostro settimanale che poi è diventato un libro.
Nel libro Hanno ucciso la libertà! l’omicidio di Giacomo Matteotti è visto dal punto di vista di uno dei nipoti, Alberto Steiner (Milano, 15 novembre 1913 – Raffadali, 17 agosto 1974), detto Albe, figlio di Fosca Titta, sorella di Velia, moglie del deputato socialista. Quell’Alberto che, dopo il brutale assassinio dello zio, maturò in seno alla sua famiglia posizioni antifasciste, che vide censurata la corrispondenza con una cugina che da Milano si era dovuta trasferire in Liguria dopo che il padre, anch’egli antifascista, fu licenziato. Ma i due ragazzi, e a questo si riferisce l’immagine nella cover del libro, aggirarono la censura ideando un codice cifrato con cui riuscivano a comunicare le loro opinioni su quello che stava accadendo in Italia. Albe, così come la cugina, entrarono poi a far parte della Resistenz. Nel dopoguerra Steiner i distinse per i suoi lavori di grafica che lo hanno reso celebre.

Una storia per ragazzi e di ragazzi che racconta ai giovani di oggi come si vive in un regime totalitario e come si sia chiamati a fare una scelta, coraggiosa, come fece Albe, che per le sue posizioni antifasciste fu umiliato e malmenato a scuola dai compagni che aderivano convintamente come la maggior parte degli italiani, al fascismo. Ma una storia per tutti, che svela particolari finor a mai raccontati di come abbia vissuto la famiglia di Matteotti prima e dopo la sua morte.
Far conoscere la storia ai ragazzi, farli riflettere sull’importanza della libertà e  che in ogni contesto storico o sociale si può sempre scegliere da che parte stare, è uno dei modi migliori per educare cittadini di domani e uomini liberi.

Famiglia Cristiana

5 in condotta. Chi insegna sa che il successo formativo della propria azione passa attraverso una efficace gestione del gruppo classe

di Paola Spotorno

Un ambiente sereno e confidente è capace di fare miracoli ed essere davvero il volano per il benessere scolastico di allievi e docenti.  L’insegnante un po’ come un direttore d’orchestra: deve provare a far suonare tutti contemporaneamente e in armonia. Una sfida difficile, più difficile che trasmettere i saperi della propria disciplina. Non è minacciare un brutto voto in condotta a un ragazzino che ci aiuterà a creare quel clima necessario per lavorare in armonia. Non va in questa direzione invece il disegno di legge approvato al Senato che introduce novità in merito proprio alla valutazione della condotta che come dichiarato dal ministro dell’istruzione Valditara «rappresenta un importante passo in avanti nella costruzione di una scuola che responsabilizza i ragazzi e restituisce autorevolezza ai docenti».
L’autorevolezza dell’insegnante è sicuramente un valore ma bisogna stare attenti a non confondere l’autorevolezza con l’autoritarismo. L’autorità arriva ed è legata al ricoprire un ruolo una carica, l’autorevolezza invece si costruisce  nel tempo, un lavoro continuo per promuovere nei ragazzi il senso di autonomia, responsabilità, auto controllo,  ed è questa l’educazione. Non si vuole negare le difficoltà  che si incontrano, talvolta, nel mantenere l’ordine e il rispetto nelle aule e corridoi  delle nostre scuole e sono da apprezzare e condividere le parole del ministro dell’istruzione Valditara:  «Per costruire una società realmente democratica, per combattere la violenza, per ridare centralità ai valori fondanti della nostra Costituzione si deve ripartire dalla scuola, ogni giorno in prima linea nell’educazione dei nostri giovani». Ma puntare su un approccio che estenda anche alle scuole medie il 5 in condotta e con esso la bocciatura non avrà come automatica conseguenza un’inversione nei comportamenti degli studenti e dei casi di gravi situazioni di insubordinazione.

Famiglia Cristiana

We Care, IREN e Scuola di Tifo protagonisti al PalaBigi nell’ultima partita casalinga della Unahotels

REGGIO EMILIA – Per l’ultima partita casalinga della stagione della Unahotels in programma al PalaBigi domenica 28 aprile alle ore 18:15 contro la GeVI Napoli verrà celebrata la partnership tra il Match Sponsor Gruppo IREN ed il Charity Partner Scuola di Tifo, che quest’anno hanno ancora una volta collaborato con tanti istituti scolastici della provincia con il progetto “Io Tifo Pulito”, volto ad educare i più giovani sia sul corretto comportamento da tenere sugli spalti durante un evento sportivo che sui principi fondanti dell’educazione ambientale e della raccolta differenziata. Proprio di questo si occuperà lo stand allestito domenica nel foyer del PalaBigi: i bimbi che faranno canestro nei giusti bidoni della raccolta differenziata vinceranno dei gadget offerti da Scuola di Tifo.

Non solo, l’associazione reggiana contribuirà anche al progetto Ambulanza Biancorossa, raccogliendo fondi mettendo a disposizione delle stampe raffiguranti alcuni iconici momenti di Kobe Bryant gentilmente donate dal fotografo Matteo Marchi, il cui ricavato andrà appunto alla Croce Verde Reggio Emilia. 

Intanto prosegue la prevendita per il match di domenica. I biglietti si possono acquistare: Online sul circuito Vivaticket; allo “stoRE” biancorosso, aperto il martedì e venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 ed il sabato con orario continuato dalle 10 alle 19; nella sede biancorossa dal lunedì al venerdì al mattino, dalle ore 10 alle 13, esclusi festivi; alla biglietteria del PalaBigi a partire da un’ora e un quarto prima della palla a due, fino ad esaurimento.

stampareggiana.it

Lutto nel mondo sportivo reggiano, si è spento a 49 anni Fabio Vaccari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

REGGIO EMILIA – Si è spento a soli 49 anni, a causa di una breve ma inesorabile malattia, Fabio Vaccari, tecnico informatico e allenatore della società sportiva Self Atletica Montanari Gruzza.

E proprio dalla Self Atletica arrivano i commossi messaggi di cordoglio per la prematura scomparsa di una figura molto amata: “Caro Fabio, il tuo tifo per la Self è stato entusiasmante e coinvolgente – le parole del Presidente Self Alberto Montanari – non dimenticheremo la tua passione e la tua dedizione del tutto altruista. Sappiamo che continuerai a fare il tifo per l’atletica e noi continueremo a seguire l’esempio e le idee che anche tu hai condiviso e sostenuto. Grazie infinite!”

Toccanti anche le parole del Direttore Tecnico Self Sara Vezzani: “E’ con immensa tristezza che Self Atletica saluta il prezioso amico e allenatore Fabio Vaccari. Ieri è venuto a mancare dopo una breve malattia contro cui ha lottato fino all’ultimo metro proprio come faceva quando marciava… Ricorderemo per sempre la passione e l’allegria che metteva in tutto ciò che faceva: dall’essere prima un atleta, poi un valido collaboratore in società infine un bravo allenatore… Oggi perdiamo una persona speciale ma il tuo ricordo resterà con noi per sempre. Ciao Fabio!”

Fabio Vaccari lascia la moglie Mara, il figlio Mattia, la mamma Milena, il papà Paolo, e altri parenti.

I funerali si svolgeranno Mercoledì 24 aprile partendo alle ore 14.30 dalle camere ardenti dell’Arcispedale Santa Maria Nuova per la Chiesa parrocchiale di San Prospero Strinati. Al termine della funzione religiosa si proseguirà per il Cimitero Nuovo di Coviolo.

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