Una madre, un figlio adolescente e una canzone di ieri che all’improvviso rompe la barriera. Dover aver finalmente capito cos’è davvero la speranza

Bianca ascoltava la musica che filtrava dalla porta della camera di suo figlio: di solito era una musica che non riconosceva come sua, marchio di un’altra generazione, di un’adolescenza troppo diversa da quella che aveva vissuto lei, fatta di orari dati dai suoi genitori, di concerti rock con l’accendino in mano, di fidanzatini mano nella mano, di motorini inforcati senza casco in due sotto casa ma per tragitti lunghi solo quanto il suo stesso isolato…

Quel figlio sedicenne, invece, grugniva piuttosto che risponderle, e si vestiva in un modo che lei non solo non concepiva, ma addirittura non riconosceva a distanza come fattezza umana proporzionata: pantaloni con cavalli troppo lunghi, felpe informi, capigliature rasta – quelle per fortuna le avevano solo i suoi amici – a trasformare le teste in parrucche senza età oppure in grossi crani animaleschi…. Così suo figlio, ex bambino adorato e dolcissimo, era diventato per lei un tutto ignoto ed indistinto di vestiti-capelli-musica e monosillabi.

Ma quella sera, mentre si affrettava intorno ai tegami essendo in ritardo, le parve di avvertire un suono riconoscibile, una canzone nota che proveniva a brandelli dal covo del suo “extra-terrestre” preferito, così amava chiamarlo tra sé: i Beatles? Suo figlio stava ascoltando una canzone dei Beatles, e ancor di più una delle sue preferite, “Strawberry fields forever“? Non ci poteva credere…

Con una scusa attraversò il corridoio per andare a prendere una cosa nel bagno e per sentire più distintamente. Sì, erano proprio le note scandite e bellissime di quei suoi campi di fragole che le avevano rivestito la giovinezza, e riempito la fantasia al suono di quel “forever“, per sempre, per sempre… La speranza è per sempre, le promesse grandi come quella del suo matrimonio era un per sempre, il rispetto per i suoi genitori anziani era un per sempre, l’impegno quotidiano a far cose noiose e quotidiane per accudire la sua famiglia era un per sempre, come pure una fede ripetuta e trascorsa seduta sulle panche della sua parrocchia. Forever suonava meglio, più esotico… e forse più ricco di speranze! Ma si sentiva in colpa: quelle speranze non le alimentava forse la fede della sua educazione cristiana ricevuta fin da bambina? Quel testo di canzone bellissimo lei stesso lo aveva tradotto col suo inglese traballante per scriverlo come una poesia sul suo diario personale quando era giovanissima: “Lascia che ti porti con me, vado nei campi di fragole. Non c’è nulla di reale e nulla per cui stare in ansia.”

Ecco allora che aveva trovato, con una sorpresa che la scuoteva tutta mentre affettava le zucchine in fretta, un qualcosa che attraversava le adolescenze anche di generazioni diverse, quel mantra che ripeteva che non c’era nulla di reale e per cui stare in ansia, perché in fondo i Campi di fragole erano sempre lì ad attenderti anche quando saresti diventato grande… Ma era poi stato così?

Bianca se lo chiedeva ormai da un po’ di tempo, e soprattutto dopo che era riuscita ad abbinare qualche verso di quella sua canzone amata a situazioni successive che aveva vissuto poi come profezie che si auto avverano. Ancora quel suo testo giovanile raccontava, e lei lo ricordava a memoria, “diventa difficile esser qualcuno. Ma poi tutto si risolve, e non me ne importa molto…”. Sì, in molte situazioni era stato difficile rimanere qualcuno, quando il rifiuto di un figlio che cresce e non ti vuole più in nulla sembra negarti come persona, e pochi diventano gli attimi in cui credi davvero che tutto si risolva. Ma i Beatles gentilmente ripetevano che a loro “non importava molto”: a lei invece importava molto di essere diventata nessuno da un giorno all’altro, con alla spalle la sicurezza di essere la mamma più bella e più buona agli occhi del suo piccolino.

Eppure le fragole di questa canzone crescevano anche sugli alberi, le sembrava di aver capito così: “Penso che non ci sia nessuno sul mio albero, voglio dire che deve essere alto o basso, cioè non puoi, lo sai, metterti in sintonia“. Forse a suo figlio piaceva proprio quella strofa lì: lui sul suo albero-campo di fragole non voleva più nessuno, almeno non voleva più lei, e capirsi era diventato un problema di stature che rendeva impossibile mettersi in sintonia. E allora, allora perché quel “forever” le aveva promesso tanto, formandole quella speranza così cristiana come valore da diventare una virtù, che le sembrava ormai poco praticata in giro non solo da lei, ma anche da altri?

In fondo in fondo, però, le pareva davvero poco dignitoso ridurre la sua insoddisfazione strisciante ad un mucchietto di sogni giovanili infranti banalmente contro lo scoglio della realtà cruda dell’essere diventati adulti. E inoltre, se qualcuno a diciotto anni le aveva promesso “lascia che ti porti con me, vado in un Campo di fragole” e lei ci aveva scommesso sopra tutta la sua vita e la sua femminile capacità di lasciarsi condurre, allora voleva dire che era vero, a dispetto di tutti gli alberi su cui si stava da soli, le altezze diverse, la sensazione di non essere diventati quel che si voleva essere e di piacere sempre meno agli altri…

Qualcuno, prima o poi, l’avrebbe condotta a concedersi bagni di sole mentre raccoglieva fragole roventi con la schiena curva, forse un po’ dolente per qualche acciacco accumulato negli anni. E questa era una Speranza certa, e questo era avere una Fede vera, e questo forse era anche costruire atti di quotidiana Carità a discapito di tutti quegli adolescenziali “Non me ne importa molto“, “Ma va tutto bene” “Lascia che…” di cui il suo inno giovanile era tempestato.

Pressapochismo da giovani, permissivismo da adulti: su tutto troneggiava il suo “forever“, che le permetteva finalmente, ora, di sedere nel verde di un campo, inondata di sole senza che fosse un sogno irrealizzabile. E quel Dio, in cui cercava di credere ogni giorno, era Lui l’unico garante di quel “forever“, del rosso rovente di fragole tanto mature che nessuno le avrebbe più potuto togliere dagli occhi e dalle mani.

Strano itinerario di fede aveva fatto, si disse… che fosse perché le era sempre piaciuta tanto anche quella “virtù provata che produce speranza” letta al capitolo 5 della Lettera ai Romani?

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