Un pozzo di saggezza cui attingere

Antonello da Messina, «Ritratto di Gregorio Magno» (1473)

La «Regola Pastorale» di Gregorio Magno al centro di una conferenza sui grandi libri della tradizione cristiana

19 novembre 2020 / Osservatore Romano

La Regola Pastorale di Gregorio Magno è stata al centro della relazione in streaming tenuta nei giorni scorsi da Marco Ronconi durante il terzo incontro del ciclo di conferenze sui grandi libri della tradizione cristiana, organizzato dal Centro Fede e Cultura Alberto Hurtado della Gregoriana. Ronconi ha esordito mettendo in evidenza come l’autore di questo testo — che ha avuto un grande influsso sulla vita della Chiesa, sia a ridosso della redazione che nei secoli successivi — viva in un’epoca di cambiamento con questioni culturali paragonabili a quelle attuali.

Scritta nel 590 a poche settimane dall’elezione di Gregorio Magno a sommo Pontefice, già dieci anni dopo la Regola Pastorale viene tradotta in greco e letta alla corte di Costantinopoli. E nell’802 Carlo Magno ordina che sia conosciuta da tutti i vescovi, gli abati e i superiori religiosi del Sacro Romano Impero.

Molti secoli dopo Gregorio vii la indica come guida per l’accesso alle più alte responsabilità nella Chiesa. Venendo a tempi più recenti, la Regola Pastorale è citata in documenti del Vaticano ii, come la Gaudium et spes e la Presbyterorum ordinis. E Papa Francesco l’ha richiamata nella Fratelli tutti (n. 119): «Quando distribuiamo ai poveri qualcosa, non elargiamo roba nostra, ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene (Regola Pastorale iii, 21)». La fortuna di questo testo si deve anche al fatto che nel corso dei secoli è stato letto nei modi più disparati: manuale per predicatori, fonte di ispirazione per uomini di potere ecclesiastici e non, ritratto esemplare del vescovo, pozzo da cui attingere per elaborare la Dottrina sociale della Chiesa. La Regola Pastorale è fiorita in un contesto sociale caratterizzato da grandi fenomeni migratori che siamo soliti chiamare invasioni barbariche; da sciagure di vaste dimensioni come calamità naturali e carestie; dalla sempre maggiore influenza dell’Impero Bizantino; dal passaggio dalla romanità classica, dominata dal potere di Senato e aristocrazia, alla romanità ecclesiastica, nella quale si assiste a un sempre più crescente potere dei vescovi.

Di fronte a queste circostanze, Gregorio prende atto della fragilità degli uomini del suo tempo e della precarietà del momento, esamina le ferite dell’umanità e le coglie come occasioni nelle quali la grazia di Dio può intervenire. La Chiesa diventa così un punto di riferimento e inizia a svolgere un ruolo di supplenza rispetto alle antiche e decadenti istituzioni, nonostante vari scandali interni la affliggano. Pertanto, secondo Ronconi, si può operare un parallelismo con i nostri tempi nei quali riscontriamo l’indebolimento delle istituzioni democratiche, viviamo nel pieno di una pandemia e siamo alla presenza del fenomeno migratorio che spesso non sappiamo né interpretare né gestire. In questo quadro la Chiesa costituisce di fatto l’ultimo baluardo contro le ingiustizie, nonostante ferite aperte e gravi che sono sotto gli occhi di tutti. Papa Francesco, come Gregorio, davanti alla crisi antropologica in atto non guarda la fragilità tanto come una colpa da denunciare, quanto come una ferita di cui farsi carico e da mettere davanti a Dio il quale continua prendersi cura dei drammi delle sue creature.

La Regola Pastorale si suddivide in quattro parti. Dopo una lettera dedicatoria al vescovo Giovanni (forse il Vescovo di Ravenna o addirittura il Patriarca di Costantinopoli), Gregorio esamina a quali condizioni si possano assumere i più alti impegni pastorali, si sofferma poi sulla vita del pastore e seguita riflettendo su come egli debba istruire ed esortare i sudditi per terminane invitando il predicatore a rientrare in se stesso affinché né la vita, né il ministero lo inducano nell’orgoglio (un capitolo). Per quanto possa sembrare paradossale, Gregorio scrive una regola nella quale non c’è quasi nessun comando. Infatti egli parla di sé per poi giungere a descrivere la realtà in un modo in cui il lettore non può che essere portato a riconoscere vari modi con cui può agire. Chi legge la Regola Pastorale si sente messo davanti a delle scelte possibili e si sente riconosciuto da colui che scrive come un possibile interlocutore. «Ognuno rifletta seriamente — scrive Gregorio — su come è giunto ai vertici delle responsabilità pastorali; se in modo legittimo, esamini la propria vita; se vive bene, esamini la qualità di come insegna; se la dottrina è retta, con un veritiero esame prenda atto ogni giorno della propria debolezza in modo che l’eccesso di umiltà non lo allontani dagli impegni. La condotta non contrasti con la dignità ottenuta, la dottrina non sia nociva alla vita, l’orgoglio non abbia il sopravvento sulla dottrina».

di Nicola Rosetti