Terra, madre di tutti. La traduzione della Bibbia nelle lingue originali dell’Amazzonia

L’Osservatore Romano 

(Marcelo Figueroa) Appare molto più che opportuno e urgente il suggerimento di «incoraggiare la traduzione della Bibbia nelle lingue originali dell’Amazzonia» contenuto nell’Instrumentum laboris del sinodo (n. 139, cap. vi). Inoltre, il fatto che sia inserito nel capitolo «Dialogo ecumenico e interreligioso» non soltanto gli dà un contenuto ecologico integrale religioso e linguistico, ma fa anche sì che risulti fondamentale per la cura della casa comune, da una prospettiva antropologica e di sussistenza per le comunità aborigene amazzoniche.
La scienza della traduzione biblica ha dovuto compiere un cammino integratore, inclusivo ed ecumenico, dal punto di vista teologico e missionologico, per tornare alle radici culturali del Verbo incarnato (Giovanni, 1, 14) e, al tempo stesso, ha dovuto seguire altri cammini, per cercare «a partire dalle sacre Scritture […] di dare una testimonianza comune» di un’evangelizzazione senza conquiste. Dalle antiche traduzioni realizzate dai missionari, che si sforzavano di imparare le lingue originarie, si è passati all’imprescindibile compito dei riferimenti linguistici di quei popoli, perché fungessero da base e sviluppo del testo tradotto. Allora la letteralità nella traduzione ha dovuto lasciare il posto alla dinamica e alla vitalità idiomatica di ogni etnia, conservando la sua cosmovisione, i suoi costumi, il suo habitat e la sua cultura. In questo compito risulta fondamentale il ruolo della donna aborigena, che spesso funge da riserva idiomatica della sua comunità e da garanzia di conservazione linguistica nel tempo, utilizzando la propria lingua nella cura dei figli. Un esempio chiave sono la conservazione e lo sviluppo del guaraní, grazie al ruolo svolto dalle donne paraguayane che, sopravvivendo alla guerra del Chaco, hanno opposto resistenza alla conquista della lingua del loro cuore e in tal modo hanno gettato le basi affinché quella aborigena divenisse la lingua ufficiale del Paraguay.
L’ammirevole interazione degli abitanti delle comunità aborigene amazzoniche con il creato risulterà fondamentale per la corretta traduzione dell’enorme varietà e quantità di elementi della fauna, della flora e del cosmo presenti nei racconti biblici, che nelle lingue aborigene sono proprie di un habitat di origine molto diversa. D’altro canto, il concetto di distribuzione comunitaria dei beni della terra — che ha reso difficile per molte traduzioni bibliche la comprensione e la resa del termine “digiuno” come privazione del cibo che si riceve per grazia della Madre Terra — è una sfida meravigliosa per i traduttori. Entrambi i concetti, quello di benessere comunitario solidale e quello di una Madre Terra generosa e accogliente, espressi in una traduzione, basteranno da soli a fermare l’avanzata di alcune teologie apocalittiche, dominioniste e di prosperità individuale che «hanno un impatto negativo sui gruppi amazzonici» (n. 137).
D’altronde, il fatto che «altri gruppi sono presenti in mezzo alla foresta amazzonica vicino ai più poveri, svolgendo un’attività di evangelizzazione e di educazione» e permettendo loro «di diffondere la Bibbia tradotta nelle lingue originarie» (n. 138), presenta almeno due sfide e contributi socio-culturali. In primo luogo, le migliaia di vocaboli necessari per tradurre il testo biblico — che, detto per inciso, spesso non superano l’enorme ricchezza idiomatica di queste comunità — diventeranno, come l’esperienza con altre traduzioni aborigene, una sorta di dizionario stampato.
Questo valore bibliografico sarebbe un apporto fondamentale nella preservazione e definizione della lingua aborigena nel concerto dell’ecologia idiomatica e un rafforzamento linguistico nella sua storica difesa della propria libertà e indipendenza culturale.
Sarebbe inoltre imprescindibile affrontare le traduzioni aborigene in formati di audio-scrittura. Ciò non solo contribuirebbe a far riconoscere il valore delle lingue orali o agrafiche, con il loro universo culturale, ma si inserirebbe anche nelle radici stesse delle scienze bibliche, che riconoscono la trasmissione orale quale inizio e fonte di conservazione dei racconti sacri. Pertanto, il fatto che i biblisti, i teologi e le agenzie bibliche di tutte le confessioni cristiane stiano cominciando a tracciare linee di lavoro in tale direzione, così come suggerisce il documento sopracitato (ibidem, n. 139), risulterà fondamentale affinché queste traduzioni, realizzate sempre su richiesta delle comunità aborigene, diventino ponti di incontro e integrazione nell’ecologia integrale espressa nei termini del primo paragrafo di questo articolo.
L’Osservatore Romano, 6-7 luglio 2019