Taizé / Giovani: dopo Breslavia

Incontro europeo di Taizé a Breslavia

Settimana News

L’incontro europeo annuale dei giovani organizzato dalla Comunità Ecumenica di Taizé si è svolto dal 28 dicembre al 1° gennaio scorso nella città di Breslavia in Polonia. Non è più argomento di cronaca. Ma sembra interessante raccogliere risonanze e voci di giovani partecipanti, soprattutto in questa settimana dedicata alla preghiera per l’unità dei cristiani.

Senza dubbio il contesto storico della città si è imposto con forza. Si è trattato del secondo incontro organizzato a Breslavia nel trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Quello del 1989 fu il primo incontro europeo aperto – ossia senza restrizioni imposte dal regime – ai giovani dell’Est e dell’Ovest.

Accogliere oltre ogni muro

In quel momento di trasformazioni profonde il clima respirato dai giovani dell’Europa era molto diverso da quello attuale. Ma in fondo non così diverso, a motivo delle ferite storiche che restano tuttora impresse negli animi dei popoli. Ricordiamo che la comunità di Taizé si è costituita nel momento cruciale della storia europea contemporanea – alla fine della seconda guerra mondiale – ed ha dato origine ai raduni giovanili di fine e principio d’anno dai primi anni ’70 del secolo scorso.

Lo stesso frère Roger che aveva accolto durante la guerra nella sua casa i fuggiaschi ebrei, aveva pure cominciato, alla fine della guerra, ad invitare a pranzo, a pregare, i soldati tedeschi fatti prigionieri in Francia. Fu riproposta allora, con coraggio, la perenne novità della accoglienza reciproca, da interpretare e da praticare poi nei diversi contesti di situazione europei. Fu la riproposta antica della perenne novità del Vangelo, immutabile nel contenuto nella persona di Gesù crocifisso, sempre diversamente vivo nelle forme del Cristo risorto.

L’accoglienza reciproca propiziata dalla Comunità Ecumenica di Taizè è legata per ciò al riconoscimento storico della fragilità umana da cui tutti i popoli e i singoli sono stati affetti. E lo sono ancora. Ma la convinzione profonda è che proprio dall’incontro e dal riconoscimento nella fragilità delle parti si possano aprire spazi immensi e ancora inesplorati di accoglienza.

È stato dunque facile parlare di fragilità a Breslavia, città di accadimenti storici di frontiera. Nel corso dei secoli della sua sofferenza ha subito lunghi periodi sotto le amministrazioni ceca, polacca e tedesca, mantenendo la vocazione di città e di umanità cosmopolita. Dopo la Seconda guerra mondiale è stata assegnata alla Polonia ed è divenuta palcoscenico di un massiccio esodo: i cittadini tedeschi l’hanno lasciata per spostarsi oltre i fiumi Oder e Neise, mentre altri abitanti sono giunti  dalle regioni di Vilnius e di Leopoli.

Sia nel ’89 che nell’ultimo incontro, i giovani pellegrini sono stati accolti da famiglie nelle loro case  della città e dei dintorni. Quali fragilità sono state raccolte allora? Nel 1989 la popolazione si sentiva ancora isolata, limitata dal regime appena caduto, povera, per quanto riguardava i beni materiali, ma ricca di fiducia e forte del nuovo slancio di libertà. E oggi? Mi ha colpito il racconto di Victoria, una giovane studiosa ucraina che dopo la laurea conseguita in Polonia sta proseguendo il suo dottorato in Repubblica Ceca.

Ferite senza perdono…

Da settembre 2019, assieme al gruppo internazionale di volontari, ha preparato l’incontro in numerose parrocchie e con le famiglie disponibili ad accogliere i giovani; da queste le sono state rivolte richieste ancora cariche di dolore, ossia, ad esempio, di poter ospitare senz’altro giovani di ogni Paese, ma ad eccezione della Germania e della Ucraina.

Nella poliedrica storia di Breslavia alcune famiglie evidentemente conservavano, ancora oggi, ferite lasciate senza perdono, anche se i torti subiti riguardano due o tre generazioni precedenti. Ma proprio nel corso della preparazione, Victoria è riuscita spesso a persuadere famiglie ad accogliere giovani delle nazioni a loro “problematiche”: “il confronto purifica i luoghi comuni e prepara lo spazio per la festa” – ha notato.

Parole simili risuonano nella testimonianza di Mauro, un giovane pellegrino e volontario italiano di Brescia. Descrive le famiglie di Breslavia come calorose ed accoglienti: “per noi e per loro è stata una festa”. Chiaramente per i giovani partecipanti il ritrovo di capodanno è, come per tutti, una circostanza di festa, ma vissuta in maniera diversa. Alle 23.00, come ormai da tradizione, ci si raccoglie nelle diverse parrocchie ospitanti per la preghiera per la pace. Dopo la mezzanotte inizia la festa della nazioni.

“Ogni gruppo rappresentante la nazione e la Chiesa di appartenenza porta nella parrocchia in cui si viene a trovare un gioco, un canto, un ballo o un pezzo teatrale da mostrare ad altri” – continua il racconto di Mauro. Ogni volta l’incontro e il confronto tornano in primo piano nel reciproco arricchimento delle diverse tradizioni culturali, in un clima di comune preghiera per la pace. Si tratta evidentemente di modalità semplici che tuttavia, ogni volta, dimostrano di poter fare molta presa sui giovani.

Dopo l’incontro le visite

Dopo i mesi dedicati alla preparazione dell’incontro, i volontari passano poi il mese di gennaio a visitare di nuovo le parrocchie e le famiglie, ascoltando i loro racconti. Victoria ha affermato che, secondo qualche provvidenziale disegno, le famiglie sono apparse sorprendentemente abbinate ai giovani pellegrini.

Una storia molto particolare vede protagoniste due donne di Breslavia. A pochi giorni dall’inizio dell’incontro queste donne si sono parlate al telefono. Una ha espresso un profondo desiderio di ospitare i giovani nella impossibilità di farlo, essendo una persona non-vedente e sola in casa. La sua conoscente invece avrebbe voluto accogliere i pellegrini ma nel suo modesto appartamento non avrebbe avuto lo spazio.

È nata tra loro, spontaneamente, l’idea di unire le risorse: nella casa più grande entrambe le signore hanno di fatto accolto due giovani croate. L’esperienza è andata per il meglio. Al termine della ospitalità, le ragazze hanno donato alle ospitanti i loro regali, preparati ancor prima di intraprendere il viaggio: piattini ornamentali di Spalato realizzati in bassorilievo come cartoline tridimensionali, perfette per la signora non vedente.

Ancora una volta i giovani pellegrini sono tornati con esperienze e scoperte. Ed io che con mio marito non ho potuto quest’anno partecipare all’incontro, quale cartolina posso ricevere da Breslavia? Penso che tutti possano, prestando attenzione, lasciarsi prendere dalla freschezza giovanile che percorre questi eventi che, il prossimo anno, approderanno nella città italiana di Torino.

Verso Torino

È sempre la freschezza di novità del Vangelo, letto e calato in contesti sempre diversi. La comunità Ecumenica di Taizè insegna semplicemente questo metodo evangelico per ripulire i sedimenti cattivi della memoria, attraverso l’incontro e il confronto, preparando spazi di autentica festa. Insegna che non dobbiamo nascondere le nostre fragilità di popoli e di individui.  Possiamo accettare il rischio della autenticità contrapponendola al dolore.

Queste esperienze dicono che tutti possiamo sentirci colmati e consolati, grazie all’accoglienza degli altri e dell’Altro. Come sempre succede, Victoria ha sinceramente detto: “non so chi ha ricevuto di più, gli ospitati o gli ospitanti”. Mauro ha concluso dicendo: “il primo di gennaio ci sentivamo tristi di dover ritornare ma eravamo pieni di speranza; le cose che abbiamo visto e assorbito, devono essere ora riportate e trasmesse nelle nostre case, nel nostro quotidiano.”

Ewelina, una giovane polacca partecipante da anni agli incontri ecumenici promossi da Taizè, ha racchiuso la sua esperienza in queste poche righe: “L’incontro di Breslavia ha intrecciato cose vecchie e cose nuove. Ho imparato un nuovo canto, ho ascoltato nuovi temi negli incontri di approfondimento. Ho rivissuto lo stesso senso di comunità umana diversa e riunita, la stessa reciproca benevolenza. Ho fatto incontri da lungo tempo programmati con i vecchi amici di nazionalità e di Chiese diverse. Ho fatto passeggiate con nuovi amici.

Anche la memoria a volte difficile che ho condiviso con gli altri, ha generato entusiastici programmi per il futuro. Non ho mai visto scoraggiamento, né paura. Come si può essere presi da sconforto quando si sperimentano provvidenziali doni dal cielo? Come si fa temere quando non ci si sente mai soli?”.