Il Papa in Libano: difficoltà, caricature e pretese “pretesche”

Il Papa in Libano: «viaggio difficile». I giornali scrivono sempre così, poi tutto va non solo bene, ma diventa un grande successo – vedi Gran Bretagna, Francia e Germania di recente – e molti fanno finta di niente, ma stavolta è vero per ragioni oggettive e attualissime. Perfetto ieri il titolo per Roberto Monteforte (“L’Unità”, p. 7): «Il Papa da Beiruth lancia la sfida della pace e dei diritti». Rileggi: ma allora – discorso rivolto a tanti – non è vero che questo papato è tutto «oscurantista» e «integralista» secondo la caricatura del «panzerkardinal» diventato Papa per riportare la Chiesa indietro di secoli. Interessante anche, stessa “Unità” (p. 17) la denuncia contro certa «destra internazionale» – qualche filiale anche da noi, ndr – per la quale anche «l’Islam estremista è colpa del Papa»: troppo dialogante e debole. In questo contesto, però, ancora ieri due belle storture. La prima forse d’occasione sul “Secolo XIX” (p. 3: «Islam tra dialogo e condanna…») nella pretesa saccente di vedere in due diverse dichiarazioni vaticane, venute a distanza di un tempo in cui si erano verificati fatti gravissimi e nuovi, una “doppia linea” causata da visioni contraddittorie all’interno degli stessi vertici della Chiesa. Ultimo, ma non ultimo per cecità, il solito temino quotidiano sul “Fatto quotidiano”, nel racconto di un Papa sempre «stanco», «con il peso internazionale della Santa Sede indebolito», in «fase di stasi… psicologicamente in uno stallo» e chiuso in un «silenzio preoccupante di fronte all’attacco contro l’Iran». Poi però leggi che «in silenzio è l’intera Europa», che «finge di non vedere». Insomma: al “Fatto” sono unici a vedere e giudicare tutto. Bella pretesa? Qualche malevolo la direbbe… pretesca.

avvenire.it  / a cura di Gianni Gennari

Quel cedro piantato dal Papa

L’immagine del piccolo cedro piantato in un giardino da Benedetto XVI insieme al presidente Michel Sleiman resterà tra i simboli più chiari di questo coraggioso viaggio – in un contesto difficile e drammatico – dell’uomo vestito di bianco (l’homme en blanc) che ha incoraggiato tutti i libanesi a non avere paura, come titola in prima pagina il quotidiano “L’Orient Le Jour”. E a richiamare il simbolo è stato lo stesso Papa, all’inizio del discorso tenuto nel palazzo presidenziale di Baabda. Qui il Pontefice è stato accolto con danze e musiche orientali, tra lanci di fiori e di chicchi di riso, mentre da piccoli bracieri s’innalzava l’incenso, come si leva la preghiera.
Prolungato e caloroso è stato in particolare il colloquio con i quattro principali capi religiosi musulmani libanesi, insieme al patriarca maronita Béchara Boutros Raï. A ciascuno di loro Papa Benedetto ha voluto consegnare una copia in arabo della Ecclesia in medio oriente. Nel documento – nato dall’assemblea sinodale speciale per la regione e che lo stesso Pontefice ha definito Road Map per i prossimi anni – si legge che “un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più il Medio Oriente, giacché i cristiani partecipano con gli altri credenti all’identità così particolare della regione”.
Ne deriva che “gli uni sono responsabili degli altri davanti a Dio”. E al documento – che Benedetto XVI ha firmato come primo atto del viaggio circondato dai patriarchi orientali nella festa dell’Esaltazione della Croce – ha fatto eco il discorso papale, che ha sostenuto con forza la convivenza di pace tra cristiani e musulmani. Proprio la festa, nata in Oriente negli ultimi anni del lungo regno di Costantino, ha suggerito al Papa la chiave di lettura del documento. Il legame tra morte e resurrezione di Cristo impone infatti ai cristiani di divenire testimoni di fraternità, con atti concreti simili alla storica decisione dell’imperatore di concedere la libertà religiosa.
Così, nelle parole di Benedetto XVI è stata con finezza rovesciata l’interpretazione prevalente della promessa fatta al sovrano venerato in Oriente come santo: la vittoria nel segno della Croce è “la vittoria dell’amore sull’odio”, che vince ogni paura. Nel discorso tenuto nel palazzo presidenziale il messaggio papale si è rivolto poi a tutti i libanesi, richiamando la necessità di tornare ai fondamenti dell’essere umano. Sin dalle origini nella famiglia, luogo di formazione essenziale che spesso nel Paese è un luogo di convivenza tra culture e religioni diverse.
Se “vogliamo la pace, difendiamo la vita” ha esclamato con forza il Papa, ricordando subito dopo che il male non è anonimo e che il demonio cerca sempre come alleato l’uomo. Anche nelle “guerre piene di vanità e di orrori”, che vanno contrastate. Educando – ha ripetuto – alla libertà religiosa che “ha una dimensione sociale e politica indispensabile alla pace”. Finché questa crescerà come il piccolo cedro che è simbolo del Libano.

g.m.v.

(©L’Osservatore Romano 16 settembre 2012)