Commento al Vangelo: siamo tutti mendicanti di luce. Come Pietro. II Domenica di Quaresima Anno A

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui (…) La Quaresima, quel tempo che diresti sotto il segno della penitenza, ci spiazza subito con un Vangelo pieno di sole e di luce. Dai 40 giorni del deserto di sabbia, al monte della trasfigurazione; dall’arsura gialla, ai volti vestiti di sole. La Quaresima ha il passo delle stagioni, inizia in inverno e termina in primavera, quando la vita intera mostra la sua verità profonda, che un poeta esprime così: «Tu sei per me ciò ch’è la primavera per i fiori» (G. Centore). «Verità è la fioritura dell’essere» (R. Guardini). «Il Regno dei cieli verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (G. Vannucci). Il percorso della realtà è come quello dello spirito: un crescere della vita.Gesù prende con sé i tre discepoli più attenti, chiama di nuovo i primi chiamati, e li conduce sopra un alto monte, in disparte. Geografia santa: li conduce in alto, là dove la terra s’innalza nella luce, dove l’azzurro trascolora dolcemente nella neve, dove nascono le acque che fecondano la terra. «E si trasfigurò davanti ai loro occhi». Nessun dettaglio è riferito se non quello delle vesti di Gesù diventate splendenti. La luce è così eccessiva che non si limita al corpo, ma dilaga verso l’esterno, cattura la materia degli abiti e la trasfigura. Le vesti e il volto di Gesù sono la scrittura, anzi la calligrafia del cuore. L’entusiasmo di Pietro, quella esclamazione stupita: che bello qui! Ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello»
gridato a pieno cuore. Il compito più urgente dei cristiani è ridipingere l’icona di Dio: sentire e raccontare un Dio luminoso, solare, ricco non di troni e di poteri, ma il cui tabernacolo più vero è la luminosità di un volto; un Dio finalmente bello, come sul Tabor.Ma a noi non interessa un Dio che illumini solo se stesso e non illumini l’uomo, «non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano. Un Dio cui non corrisponda la fioritura dell’umano, il rigoglio della vita, non merita che a Lui ci dedichiamo» (D. Bonhoeffer). Come Pietro, siamo tutti mendicanti di luce. Vogliamo vedere il mondo in altra luce, venire davvero alla luce, perché noi nasciamo a metà, e tutta la vita ci serve per nascere del tutto.Viene una nube, e dalla nube una Voce, che indica il primo passo: ascoltate lui! Il Dio che non ha volto, ha invece una voce. Gesù è la Voce diventata Volto e corpo. Il suo occhi e le sue mani sono il visibile parlare di Dio.
Come il Signore Gesù abbiamo dentro non un cuore di tenebra ma un seme di luce. La via cristiana altro non è che la fatica gioiosa di liberare tutta la luce e la bellezza seminate in noi.

(Letture: Genesi 12, 1-4; Salmo 32; 2 Timoteo 1,8-10; Matteo 17, 1-9)

Un angelo nel cielo delle nostre metropoli. Commento al Vangelo I Domenica di Quaresima Anno A

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In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (…). In quel tempo. In questo tempo.
Come in una parabola dei nostri giorni, provo a immaginare il vangelo delle tentazioni nella città che conosco meglio: Milano. Il diavolo portò Gesù nella metropoli, capitale della finanza e della moda. Lo pose in alto, sopra la guglia centrale del Duomo, e gli mostrò la città ai suoi piedi: il Castello, la Borsa, la cintura delle banche, lo stadio, le vie della moda. E c’era folla sul corso, turisti e polizia. Qualcuno dei mendicanti stringeva un cagnolino in grembo, forse per un po’ di calore, forse per attivare un briciolo di pietà.Sull’asfalto grigio, coriandoli e stelle filanti di carnevale, e la pioggia leggera di fine inverno. Qualcuno, occhi tristi e pelle scura, vendeva le ultime rose ai passanti . Guardando bene si vedevano anche quelli che si lasciavano andare: alla solitudine, alla vecchiaia, alla depressione, che si lasciavano morire di droga o di dolore.

Allora il diavolo disse a Gesù: “Tutto questo è mio! Tutto sarà tuo se ti inginocchi davanti a me!”. Signore, perché non gli hai dato del bugiardo? Dicendogli, e dicendo a noi, che non è vero, che non tutto è suo, che la città non è il suo regno, che ci sono giusti e bambini e innamorati e poeti. Lascia che ti mostri una cosa, Signore, proprio a Te che non hai reagito. Nella città, che il Nemico dice sua, ci sono luoghi dove per tutto il giorno si asciugano lacrime, dove donne e uomini intercedono per la città, la collegano al cielo, e altri che provano a fare del loro poco qualcosa che serva a qualcuno. Ci sono madri che danno la vita per i figli e gente onesta perfino nelle piccole cose; ci sono padri che trasmettono rettitudine ai figli e occhi diritti. C’è il grido del male, lo sento forte, e mi stordisce a giorni, ma più ancora c’è il silenzioso lievitare del bene.Signore, se guardi bene nella città che il diavolo dice sua, non c’è solo competizione, puoi incontrare la passione per la giustizia, il sottovoce dell’onestà, gente limpida senza secondi fini. E se vieni ancora un po’ più vicino, puoi incontrare anche me, perché ci sono anch’io e sono tra quelli che credono ancora nell’amore, e non si consultano con le loro paure ma con i sogni.Buttati, ti ha detto, verranno gli angeli a portarti sulle mani! Io lo so che verranno, quando con l’ultimo, con il più grande atto di fede, mi butterò in Te nel giorno della mia morte, fidandomi. Se c’è un angelo nel cielo sopra Milano, chiedo che mi accompagni nell’ultimo viaggio, tenendomi per mano, perché ho un po’ paura, e mi dica in quell’ultimo tratto di cielo solo questo: “Vieni, hai tentato di amare, il tuo desiderio di amore era già amore”! Non chiedo altro, ma che lo dica con un sorriso.

(Letture: Genesi 2,7-9; Salmo 50; Romani 5,12-19; Marco 4, 1-11)

avvenire.it

Intervista. Zarifa Ghafari: Occidente sleale con le donne afghane, ora non ci abbandoni

#avvenireperledonneafghane – La sindaca più giovane del Paese, fuggita nell’estate del 2021, dall’esilio in Germania continua la sua lotta per la pari dignità e la libertà
Zarifa Ghafari

Zarifa Ghafari – Z.F.

Avvenire per le donne afghane. Ecco il nostro progetto: guarda il video

«Non credo che l’Occidente sia stato leale con le donne del mio Paese. Erano state coinvolte nel futuro dell’Afghanistan, poi sono state abbandonate». Zarifa Ghafari parla da Düsseldorf, dove è stata accolta come rifugiata dopo la sua rocambolesca fuga da Kabul, nell’agosto 2021, con la madre, cinque sorelle minori e il marito. Lei, la più giovane sindaca che l’Afghanistan abbia mai avuto, nominata nel 2018, a 26 anni dall’allora presidente Ashraf Ghani, sopravvissuta a tre attentati e al dolore per l’omicidio del padre, dall’esilio è diventata una delle voci più note dell’attivismo per i diritti delle donne.
Ha scritto un libro (“La battaglia di una donna in un mondo di uomini”, la cui traduzione italiana per Solferino è attesa tra pochi giorni) dal quale è stato realizzato il documentario “In Her Hands”, prodotto da Hillary e Chelsea Clinton e distribuito da Netflix , e ora si accinge a completare un secondo libro proprio sulle donne afghane. Nel febbraio 2022 è tornata a Kabul per completare le riprese del film sulla sua vita e per aprire un centro di assistenza per donne e bambini con l’associazione che ha fondato, Assistance and Promotion of Afghan Women (Apaw). Il primo gesto che Zarifa ha voluto compiere è stato portare un fiore sulla tomba dell’amato padre.

Zarifa Ghafari, non è stata una mossa azzardata tornare in Afghanistan, sebbene avesse avuto assicurazioni di non essere arrestata?
Niente di nuovo per me, la mia vita è sempre stata a rischio, e l’Afghanistan è il mio Paese. Ho un solo passaporto e una sola nazionalità.

È possibile un dialogo con i taleban?
È necessario: si consuma una terribile crisi umanitaria e l’unica possibilità che abbiamo per aiutare la popolazione è attraverso la mediazione con i taleban. Se le associazioni che lavorano nel Paese non dialogano con le autorità, sarà una catastrofe e molti moriranno.

Pensa che l’Occidente stia facendo abbastanza per il popolo afghano e in particolare per i diritti delle donne?
No, soprattutto se pensiamo a come si è mosso per l’Ucraina e per le donne in Iran. In Afghanistan decine di donne giacciono in prigione, decine sono scomparse o uccise e nessuno ne parla. Non c’è vita per le donne, e nessuno ne parla. È un doppio standard incomprensibile. Quando l’Occidente parla di diritti umani, penso: perché non il mio popolo, le mie donne, il mio Paese? Sì, mi sento abbandonata. E chiedo che l’Occidente faccia almeno quanto fa in supporto al popolo e agli attivisti iraniani. Anche in Afghanistan le donne manifestano, rischiano la vita per i propri diritti, perché non hanno lo stesso supporto? Il silenzio dell’Occidente rende i talebani più forti, li mette nella condizione di reprimere perché sanno che non ci saranno reazioni.

Alcune attiviste suggeriscono di troncare ogni aiuto ai taleban, sia per isolarli sia perché si teme l’effetto corruzione. Lei cosa ne pensa?
Non credo che tagliare gli aiuti sia una buona opzione. Non importa se gli aiuti finiscono anche alle famiglie dei taleban: anche loro hanno mogli, bambini che hanno bisogno, perché punirli? Quanto alla corruzione, le ong internazionali hanno molte possibilità di rendicontare le loro spese. Certo l’ideale sarebbe che gli aiuti arrivassero direttamente alle donne e alle famiglie. Le donne non sono corrotte.

Pensa che ci sia un futuro per lei in Afghanistan?
Non ho lasciato per sempre il mio paese. Certe volte penso con tristezza alla decisione che ho preso. Se mio padre fosse stato vivo e io non avessi avuto la responsabilità della mia famiglia, in quanto primogenita, forse non sarei fuggita. Ma non importa quando e come: tornerò in Afghanistan, appartengo al mio Paese e non voglio che siano i taleban a rappresentarmi.

Suo padre l’ha sostenuta negli studi e nell’impegno civico, suo marito la assiste nel suo lavoro. Che ruolo possono giocare gli uomini nella battaglia per la pari dignità delle donne?
Senza gli uomini la strada verso la pari dignità delle donne non è percorribile. La maggioranza della popolazione maschile afghana rispetta le donne e non condivide la mentalità dei taleban. I valori dell’istruzione e del lavoro non ci arrivano dalla comunità internazionale, ma hanno radici nella nostra cultura, nella nostra religione, nella nostra identità. Più del 50% della popolazione è donna. Se non dai al 50% della popolazione il diritto di vivere una vita normale, è difficile che l’intera società sopravviva.

Lei non perde la speranza…
No. Non importa se la mia battaglia non darà frutti per me, l’importante è lottare per la prossima generazione. Voglio che mia figlia non mi biasimi per non aver fatto abbastanza. Voglio che possa vivere in Afghanistan godendo interamente dei suoi diritti, come un maschio, come io non ho potuto fare. Allora mi siederò davanti a lei e le dirò che questo è stato reso possibile anche grazie alla mia lotta. Su questo, sì, sono ottimista.

VI Domenica Tempo ordinario – Anno A. Le tre leve su cui agire per il sogno del Padre. Commento Vangelo Domenica 12 Febbraio 2023

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: (…) Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. (…)

Vi fu detto, ma io vi dico. La dirompente novità portata da Gesù non è rifare un codice, ma il coraggio del cuore, il coraggio del sogno di Dio. Agendo su tre leve maestre: la violenza, il desiderio, la menzogna.Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è nel suo cuore un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio interiore dove si formano.L’apostolo Giovanni afferma una cosa enorme: “Chi non ama suo fratello è omicida”(1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, ma è un incubatore di omicidi. Chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino… Gesù mostra i primi tre passi verso la morte: l’ira, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio.

L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro. “Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna.” Geenna non è l’inferno, ma quel vallone, alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e maleodorante. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti l’altro tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben di più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo. Ascolti queste pagine che sono tra le più radicali del vangelo e capisci che, per paradosso, diventano le più umane, perché Gesù parla solo del cuore e della vita, e lo fa con le parole proprie della vita: custodisci il tuo cuore e non finirai nell’immondezzaio della storia.Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu desideri una donna; ma: se guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o esibire, tu commetti un reato contro la grandezza di quella persona. “Adulterio” viene dal verbo a(du)lterare che significa alterare, falsificare, rovinare. Adulterio non è un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, contro il volto alto e puro dell’uomo. Terza leva: Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità, e non servirà più giurare; non avrai bisogno di mostrarti diverso da ciò che sei nell’intimo, cura il tuo cuore e potrai curare tutta la vita attorno a te. Custodisci il cuore perché è la sorgente della vita, “Custodiscilo tu, Signore, questo fragile, contorto, splendido dono che ci hai dato: questo cuore che è di carne, ma che sa anche di cielo”.

(Letture: Siracide 15,16-21 (NV); Salmo 118; Prima Lettera ai Corinzi 2,6-10; Matteo 5, 17-37)

Commento al Vangelo Beato chi cammina sulla via del Signore Ermes Ronchi giovedì 26 gennaio 2023 IV Domenica Tempo ordinario – Anno A

Beato chi cammina sulla via del Signore
IV Domenica Tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Abbiamo davanti parole abissali, delle quali non riusciamo a vedere il fondo, le più alte della storia dell’umanità (Gandhi). È la prima lezione del maestro Gesù, all’aperto, sulla collina, il lago come sfondo, e come primo argomento ha scelto la felicità. Perché è la cosa che più ci manca, che tutti cerchiamo, in tutti i modi, in tutti i giorni. Perché la vita è, e non può che essere, una continua ricerca di felicità, perché Dio vuole figli felici. Il giovane rabbi sembra conoscerne il segreto e lo riassume così: Dio regala gioia a chi produce amore, aggiunge vita a chi edifica pace. Si erge controcorrente rispetto a tutti i nuovi o vecchi maestri, quelli affascinati dalla realizzazione di sé, ammaliati dalla ricerca del proprio bene, che riferiscono tutto a sé stessi. Il maestro del vivere mette in fila poveri, miti, affamati, gente dal cuore limpido e buono, quelli che si interessano del bene comune, che hanno gli occhi negli occhi e nel cuore degli altri. Giudicati perdenti, bastonati dalla vita, e invece sono gli uomini più veri e più liberi. E per loro Gesù pronuncia, con monotonia divina, per ben nove volte un termine tipico della cultura biblica, quel “beati” che è una parola-spia, che ritorna più di 110 volte nella Sacra Scrittura. Che non si limita a indicare solo un’emozione, fosse pure la più bella e rara e desiderata. Qualcosa forse del suo ricco significato possiamo intuirlo quando, aprendo il libro dei Salmi, il libro della nostra vita verticale, ci imbattiamo da subito, dalla prima parola del primo salmo, in quel “beato l’uomo che non percorre la via dei criminali”.
Illuminante la traduzione dall’ebraico che ne ricava A. Chouraqui: “beato” significa “in cammino, in piedi, in marcia, avanti voi che non camminate sulla strada del male”, Dio cammina con voi. Beati, avanti, non fermatevi voi ostinati nel proporvi giustizia, non lasciatevi cadere le braccia, non arrendetevi. Tu che costruisci oasi di pace, che preferisci la pace alla vittoria, continua, è la via giusta, non ti fermare, non deviare, avanti, perché questa strada va diritta verso la fioritura felice dell’essere, verso cieli nuovi e terra nuova, fa nascere uomini più liberi e più veri. Gesù mette in relazione la felicità con la giustizia, per due volte, con la pace, la mitezza, il cuore limpido, la misericordia. Lo fa perché la felicità è relazione, si fonda sul dare e sul ricevere ciò che nutre, cura, custodisce, fa fiorire la vita. E sa posare una carezza sull’anima. E anche a chi ha pianto molto un angelo misterioso annuncia: Ricomincia, riprendi, il Signore è con te, fascia il cuore, apre futuro. Tu occupati della vita di qualcuno e Dio si occuperà della tua.

(Letture: Sofonia 2,3; 3,12-13; Salmo 145; Prima Corinzi 1,26-31; Marco 5,1-12a)
avvenire.it

Il Vangelo III Domenica Avvento. Quella nuova creazione che passa nelle storie di chi vive ai margini

III Domenica Avvento – Anno A In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli…
San Giovanni in prigione

San Giovanni in prigione – G.di Paolo

III Domenica Avvento – Anno A In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?

Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, non ha più le idee chiare. Lui, “più che un profeta”, dubita e chiede aiuto. Non so voi, ma io credo e dubito al tempo stesso; e Dio gode che io mi ponga e gli ponga delle domande. Non so voi, ma io credo e non credo, in duello, come il padre disperato del racconto di Marco, che ha un figlio che lo spirito butta nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo, e confessa a Gesù: “io credo, ma tu aiutami perché non credo” ( Mc 9,23). E Gesù risponde in modo meraviglioso: non offre definizioni, pensieri, idee, teologia, neppure risponde con un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Racconta delle storie. C’era una volta un cieco… e nel paese vicino viveva uno zoppo dalla nascita. Racconta sei storie che hanno comunicato vita, così come era accaduto nei sei giorni della creazione, quando la vita fioriva in tutte le sue forme. Sei storie di nuova creazione.

Gesù parte dagli ultimi della fila, non comincia da pratiche religiose, ma dalle lacrime: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, morti, poveri…; da dove la vita è più minacciata. E fa per loro un vestito di carezze. Non guarisce gente per rinforzare le fila dei discepoli, per farne degli adepti, per tirarli alla fede come pesci presi all’amo della salute ritrovato, ma per restituirli a umanità piena e guarita, perché siano uomini liberi e totali. E non debbano più piangere.

La Bibbia è fatta soprattutto di narrazioni, Le storie dicono che senso diamo al mondo, cioè “che storia ci stiamo raccontando?” Tutte le grandi narrazioni dicono questo: come si affronta la morte, raccontano di come si fa a non morire, a ripartire. Sono iniziazione alla vita. Ai discepoli inviati da Giovanni Gesù chiede di entrare in una nuova narrazione del mondo. Entrano e vedono nascere la terra nuova e il nuovo cielo. E chiede loro di continuare il racconto: raccontate ciò che vedete e udite.

Poi il racconto si fa domanda: Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? Un leader carismatico? Forse una canna sbattuta dal vento? Un opportunista che piega la schiena pur di restare al suo posto? Che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti?

Preoccupato dell’abito firmato? Del macchinone da far vedere? Che cosa siete andati a vedere? Perché Dio non si dimostra, si mostra. Nel deserto hanno visto un corpo marchiato, scolpito, inciso dalla Parola. Giovanni ha offerto un anticipo di corpo, un capitale di incarnazione e la profezia è diventata carne e sangue.

Noi tutti ci nutriamo di storie, e questa è la narrazione di cui la terra ha più bisogno per nutrirsi: storie di credenti credibili.

(Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10; Salmo 145; Lettera di Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)

Commento al Vangelo. I domenica di Avvento Anno A

di Ermes Ronchi – Avvenire

Nel grembo del mondo lievita una vita nuova

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. […]».

Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano e non si accorsero di nulla… i giorni di Noè sono i giorni ininterrotti delle nostre disattenzioni, il grande peccato: «questo soprattutto perdonate: la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri). Al vertice opposto, come suo contrario, sull’altro piatto della bilancia ci soccorre l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima» (M. Gualtieri). Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci). Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore. Avvento: quando Dio è una realtà germinante, colui che presiede ad ogni nascita, che interviene nella storia non con le gesta dei potenti, ma con il miracolo umile e strepitoso della vita, con la danza di un grembo, in cui lievita il pane di un uomo nuovo. Dio è colui che invece di porre la scure alla radice dell’albero, inventa cure per ogni germoglio, per ogni hinnon (Salmo 72,17), che è anche nome di Dio. Due uomini saranno nel campo… due donne macineranno alla mola, una rapita, una lasciata; due soldati saranno al fronte in Ucraina, uno sarà ferito, uno resta incolume. Perché questa alternanza di vita e di morte, di salvati e di sommersi? Gesù stesso non lo spiega. Sappiamo però che caso, fatalità, fortuna sono concetti assolutamente estranei al mondo biblico. Dio non gioca a dadi con la sua creazione. Io credo con tutto me stesso che, nonostante qualsiasi smentita, la storia, mia e di tutti, è sempre un reale cammino di salvezza. E il capo del filo è saldo nelle mani di Dio. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro… Un ladro come metafora del Signore! Di lui che non ruba niente e dona tutto. Se solo sapessi il momento… ma risposta non c’è, non c’è un momento da immaginare; il tempo, tutto il tempo è il messaggero di Dio, ne solleva le parole sulle sue ali insonni. Viene adesso il Signore, camminatore dei secoli e dei giorni, viene segnando le date nel calendario della vita; e ti sorprende quando l’abbraccio di un amico ti disarma, quando ti stupisce il grido vittorioso di un bimbo che nasce, una illuminazione interiore, un brivido di gioia che non sai perché. È un ladro ben strano: viene per rendere più breve la notte. Tempo di albe e di strade è l’avvento, quando il nome di Dio è Colui-che-viene, Dio che cammina a piedi nella polvere della strada. E la tua casa non è una tappa ma la meta del suo viaggio.

(Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44)

La lettera. Papa Francesco ai Memores Domini: «Stimo il vostro carisma»

Inviata in occasione della professione di 52 nuovi membri dell’associazione nata dal carisma di Comunione e Liberazione. Laici chiamati a vivere il proprio lavoro come «luogo della memoria di Cristo»
I Memores Domini sono una forma di esperienza di vita cristiana nata nel grembo di Comunione e Liberazione, fondata da monsignor Luigi Giussani.

I Memores Domini sono una forma di esperienza di vita cristiana nata nel grembo di Comunione e Liberazione, fondata da monsignor Luigi Giussani. – Archivio Avvenire/Olympia

Lo scorso 4 dicembre in un hotel di Lazise, sulla sponda veronese del Lago di Garda, 52 tra giovani donne e uomini hanno emesso la professione che segna la loro incorporazione definitiva ai Memores Domini, l’associazione che riunisce laici di Comunione e Liberazione chiamati a vivere il proprio lavoro come «luogo della memoria di Cristo», a praticare i consigli evangelici di obbedienza, povertà e verginità e a farlo abitando insieme, in piccole comunità.

Questo rito che da tradizione avviene nel corso del ritiro spirituale di inizio Avvento, per due anni non si è tenuto a causa della situazione interna all’associazione, con divisioni e tensioni che hanno portato dopo una serie di passaggi al suo “commissariamento”, lo scorso settembre, con la nomina da parte del Papa dell’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro quale suo delegato speciale con pieni poteri e del gesuita Gianfranco Ghirlanda quale assistente per le questioni canoniche.

I nuovi Memores Domini provenienti da 7 Paesi (40 dall’Italia, 4 dal Brasile, 3 dalla Spagna, 2 dall’Argentina, 1 rispettivamente da Colombia, Kazakistan, e Portogallo) hanno ricevuto un messaggio speciale del Papa, consegnato a Santoro, che suona come un incoraggiamento in una delicata fase di transizione.

«Saluto tutti i membri dell’Associazione e soprattutto voi, cari giovani, che vi accingete a compiere un passo così importante» scrive Francesco all’inizio della sua missiva, disponibile sul sito ufficiale di Cl, «so che da lungo tempo attendete questo evento, che giunge ancor più desiderato dopo il travaglio vissuto dall’Associazione negli ultimi anni». «Don Giussani amava dire che con la forma stessa della vostra vita gridate a tutti che Cristo è l’unico per cui valga la pena di vivere – scrive sempre il Papa – la professione perciò rafforza la vostra presenza missionaria nelle realtà ordinarie della vita, nei diversi ambiti di lavoro e della società, nelle periferie esistenziali delle città e dei tanti Paesi da cui provenite. Siete laici e missionari, in perfetta linea con il mandato evangelizzatore proveniente dal Battesimo».

«Come ho avuto modo di manifestare in varie occasioni – continua il Pontefice – nutro grande stima per il carisma dei Memores Domini e sono vivamente grato allo Spirito Santo che lo ha suscitato». Così «in queste circostanze, cari giovani, la vostra professione assume un significato particolare: è segno di predilezione per voi da parte del Signore, ma anche espressione della vostra rinnovata fiducia nei confronti della Chiesa, che accoglie e accompagna il vostro carisma perché, docile allo Spirito e obbediente alla sua Sposa, porti frutti di apostolato e di santità nel mondo. Possiate dunque riconoscere e promuovere quell’unità concorde che, sola, rende bella e feconda la testimonianza».