Sette proposte per il Sinodo dei giovani

Tra pochi giorni si apre il Sinodo dedicato ai giovani; per un anno e mezzo abbiamo dato voce, spazio e tempo ai giovani che hanno accettato l’invito a lavorare con noi. Accanto ai loro contributi, abbiamo portato avanti anche una serie di temi relativi a quello che, a nostro avviso, riguarda il rapporto tra i giovani e la fede.

Tutto il percorso fatto ci ha condotti a elaborare sette proposte, che sono il ‘condensato’ sia delle nostre esperienze, sia di quello che in questi mesi abbiamo imparato dai giovani. Queste sette proposte, che umilmente vogliamo portare ai padri sinodali al fine di contribuire al confronto e al dialogo, sono il nostro sogno e la nostra visione per una Chiesa giovane, per una Chiesa di tutti.

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1. Generare un luogo permanente di confronto. Il Sinodo dovrebbe portare a creare spazi ecclesiali istituzionalizzati e sistematici in cui si continui il confronto tra realtà giovanili di paesi differenti e tra livelli di responsabilità ecclesiale diversi. Operativamente sono importanti due aspetti. È fondamentale che in questo ‘organismo’ si viva la freschezza e la libertà dell’età giovanile, per cui rimangono necessari sia la presenza di persone in età non avanzata, sia un numero maggioritario di laici, preferibilmente operanti in situazioni ecclesiali di ‘frontiera’ (geografica, politica, affettiva, intellettuale, etc.), facendo così da specchio della realtà contemporanea. Di conseguenza è necessario che in questo ‘organismo’ si diano spazi sistematici di ascolto agli educatori che accompagnano i giovani, a partire dagli insegnanti di scuole superiori, sino agli allenatori sportivi, ai maestri nelle varie discipline artistiche (musicale in primis) e agli adulti impegnati nel mondo universitario e formativo (sia responsabili laici o consacrati dell’animazione di pastorale universitaria, sia docenti, da coinvolgere non in relazione alle loro specifiche conoscenze disciplinari, ma se e in quanto educatori a stretto contatto con i giovani), affinché chi ha responsabilità nella Chiesa possa avere uno sguardo esperto e ‘dal di dentro’ per continuare a seguire effettivamente la realtà giovanile. Ciò significherebbe, quindi, affiancare i presbiteri nella responsabilità finale sulla pastorale giovanile locale, in modo da non far gravare sugli stessi la completa titolarità di ogni decisione riguardante i giovani.

2. Riconoscere il dato di realtà sulla fede. Non si può più dare per scontato che chi partecipa alle attività pastorali giovanili abbia già compiuto una scelta di fede chiara e precisa. Perciò l’obiettivo primario non può essere quello di incrementare la fede o di difenderne il poco acquisito, ma semmai di preparare il terreno affinché un incontro maturo di fede con Cristo sia possibile e attraente. In questo senso, stando le attuali età di conferimento del sacramento della Cresima (13-14 anni), sarebbe necessario strutturare i percorsi successivi alla Cresima non tanto sulla base di soli criteri anagrafici e comunque in modo tale da accettare la partecipazione di persone che abbiano diversi livelli di ‘convincimento’ di fede. La partecipazione alla Messa, così come l’accostarsi alla Confessione e agli altri sacramenti della vita adulta (Matrimonio), deve essere un obiettivo finale, e non una condizione d’ingresso. La componente morale deve essere presentata in un secondo momento, capendo quando, se e a chi è opportuno annunciare un contenuto. Infine la proposta di fede va fatta a partire dai fondamenti, cioè dall’essenza del messaggio cristiano, mediato più da attività di meditazione/preghiera, incontro con i poveri, servizi in terre di missione o in loco per più giorni, esperienze ad alto impatto spirituale, approfondimento personale e culturale della Bibbia, che da una catechesi centrata solo sulla ‘testa’.

3. Rivedere i linguaggi utilizzati. “Non serve essere veri se nessuno ci comprende” (Paolo VI). Dunque è necessario che si parta dai contenuti esistenziali e dai modi del comunicare che i giovani sentono più affini a sé. Quindi non solo è necessario eliminare il lessico specifico ecclesiale, ma anche parlare in modo da rendere evidenti le ricadute pratico-esistenziali del discorso religioso e mettendo al centro del linguaggio pastorale la via estetica con le sue forme: musica, arte, letteratura, teatro. Sono queste forme, nel loro essere non convenzionali, che vengono vissute dai giovani come possibilità prima e vera per esprimere se stessi. Va poi valorizzata la comunicazione digitale (facebook, instagram, youtube, etc.) in ambito pastorale, pur senza farne un linguaggio assoluto, nella consapevolezza che queste forme linguistiche hanno ancora molte possibilità da esplorare in direzione dell’evangelizzazione, a condizione che siano considerate anche un’ottima soglia per condurre poi a relazioni personali concrete.

4. Centralità della dimensione corporea. È indispensabile recuperare la dimensione corporea dei giovani come luogo essenziale e prioritario della costruzione della loro identità e dell’esperienza della trascendenza. Questo significa sia valorizzare al massimo gli affetti, le emozioni, le sensazioni, i vissuti, le percezioni, le forme corporee, come dati che precedono e fondano la consapevolezza di sé, come ‘Parole’ di Dio donate ad ogni persona, in cui riconoscere la propria specifica identità. In secondo luogo questo approccio implica l’aiutare a riconoscere che l’indisponibilità del corpo, la sua resistenza alla nostra volontà, il suo vivere secondo una sua volontà che ci precede sono il segno di una trascendenza che ci abita fin dal momento del nostro concepimento, e che non può essere dimenticata, se i giovani vogliono essere se stessi. Per questi motivi non è più possibile sostenere un cammino spirituale di un giovane se la sua sessualità non viene integrata nella sua personalità e nella sua vita. Questo significa far uscire la sessualità dall’unico alveo in cui viene nominata in sede pastorale, ossia quello morale, e riconoscerla come dimensione essenziale e costitutiva di ogni possibile vocazione umana e cristiana. La castità, come stato interiore di riunificazione di sé nell’amore, è un punto di arrivo, non un punto di partenza – peraltro spesso confuso con l’astinenza. Concretamente vuol dire lavorare con i giovani, affinché possano sperimentare e riconoscere il valore teologico del piacere della relazione fondata sulla differenza di genere, prima di ogni altra preoccupazione etica sulla sessualità. Successivamente, lavorare con loro perché possano integrare il proprio desiderio nella loro vita, perché possano percepirlo come grazia di Dio donata agli uomini per uscire dall’egoismo e imparare compiutamente ad amare.

5. Investire fortemente sulla qualità e la formazione degli educatori. Salvo lodevoli eccezioni, è difficile pensare che ragazzi poco più grandi dei diciottenni o degli adolescenti rispondano all’esigenza di avere educatori maturi, equilibrati e competenti. Bisogna avere il coraggio di reclutare educatori, guardando anche ai laici formati, ma non travolti dal turbinio dell’attivismo pastorale. Allo stesso modo va presa una decisione chiara per investire nella formazione risorse umane ed economiche, in modo strutturale e prioritario, rispetto ad altre scelte. Vanno promossi percorsi di formazione anche teorici, ma soprattutto esperienziali, che, oltre al dato prettamente teologico e spirituale, puntino anche sulla qualificazione degli aspetti relazionali e sulle competenze educative specifiche. In questo senso va superata definitivamente la diffidenza nei confronti di formatori specialisti, a cui vanno concesse occasioni e spazi specifici e a cui va riconosciuta, anche economicamente, la professionalità utilizzata.

6. Rendere i giovani protagonisti. Sia nel loro cammino personale che in quello della comunità, i giovani devono avere un ruolo fortemente attivo, per cui essi possano sentirsi abitanti e non soltanto ospiti degli ambienti ecclesiali. Ciò significa adeguare le strutture ai bisogni dei giovani e non del contesto ecclesiale. Da un lato, bisogna renderli soggetti attivi delle scelte che li riguardano in materia di Liturgia, Catechesi e Servizio (temi, esperienze, modalità) rischiando anche qualche errore; dall’altro farli sentire veramente a casa, nella comunità, dando loro spazi e tempi senza necessariamente negoziare tutto ogni volta. Non è necessario infatti che lo spazio in cui i giovani si riconoscono sia per forza uno spazio “ecclesiastico”. Essi vanno incontrati là dove vivono, e là va costruita la relazione educativa con loro. Tra l’altro ciò rafforza la convinzione già prima espressa che non può più essere usato, come unico criterio di partecipazione, quello anagrafico, perché le appartenenze sono legate alle relazioni e non all’età e ai luoghi. Non è poi possibile “rinchiudere” i tempi delle attività nelle ore “lavorative” giornaliere. Sempre più spesso sono i tempi liberi o gli intervalli – vissuti in strada, nelle piazze, nei pub – ad essere occasioni di incontri significativi che lasciano il segno – e che potrebbero diventare oggetto di missioni sistematiche ad hoc intese come parti integranti della pastorale ordinaria. Ne conseguirebbe, in definitiva, un maggiore decentramento della pastorale giovanile: i contesti culturali, i luoghi, le sensibilità sono tanto vari da pensare alla necessità di piccoli gruppi di Pastorale giovanile che abbraccino realtà simili, pur dentro un quadro comune di Chiesa. Così si potranno avere stili pastorali diversificati a seconda del luogo e dell’ambiente (città, periferia, campagna, montagna, per chi lavora, per chi studia). Ad ogni gruppo va riconosciuta la possibilità di essere autonomo sui tempi, sui modi e sui percorsi proposti e realizzati, stante il necessario coordinamento e confronto, che diviene così momento fecondo di scambio e verifica su ciò che funziona e ciò che non funziona nei vari ambienti.

7. Il discernimento come stile. La scoperta della vocazione di ogni cristiano, intesa come ‘chiamata’ dell’Amore di Dio per amare nelle diverse forme di vita possibili, va letta come traguardo di un cammino di formazione. Dal momento che la grande maggioranza dei giovani vive oggi in una forma di analfabetismo religioso, confusione relazionale, disorientamento affettivo e frammentazione interna di propri vissuti, è necessario che i percorsi vocazionali siano strutturati prendendo in esame la scelta di vita come fine di un percorso che abbraccia l’integrità della persona umana, non riducendo quindi il momento del discernimento alla sola componente spirituale, né soltanto in occasione delle grandi scelte esistenziali della vita. Perciò il discernimento deve diventare lo stile di fondo dell’accompagnamento dei giovani nei loro percorsi esistenziali, facendo maturare lentamente una consapevolezza di sé solida e stabile, senza sostituirsi alla coscienza del singolo, ma aiutando ad illuminarla. Per questo nelle équipe di pastorale giovanile sarà necessario far entrare stabilmente persone competenti nei processi spirituali di crescita, selezionati e formati appositamente e non solo scelti per la loro disponibilità pastorale. Inoltre vanno utilizzate organicamente persone competenti nelle aree psicologiche e antropologiche, affinché possano offrire percorsi di formazione specificamente finalizzati ad approfondire mezzi, strumenti, limiti e tempi dell’accompagnamento spirituale.

Gilberto Borghi

Sergio Di Benedetto

Sergio Ventura

vinonuovo.it