Senza la bellezza non si può capire il Vangelo

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L’Osservatore Romano

Confidando di aver ricevuto «una lettera di un gruppo di artisti» che lo «ringraziavano per la preghiera che noi abbiamo fatto per loro» lo scorso 27 aprile, Papa Francesco — nella messa di giovedì mattina, 7 maggio, nella cappella di Casa Santa Marta — ha chiesto di pregare «un’altra volta per gli artisti». In particolare, ha detto all’inizio della celebrazione trasmessa in diretta streaming, «vorrei chiedere al Signore che li benedica perché gli artisti ci fanno capire cosa è “la bellezza” e senza il bello il Vangelo non si può capire».

Facendo riferimento alla prima lettura (Atti degli apostoli 13, 13-25) proposta dalla liturgia del giorno, il vescovo di Roma ha osservato che «quando Paolo è invitato a parlare alla sinagoga di Antiochia» in Pisidia «per spiegare questa nuova dottrina, cioè per spiegare Gesù, proclamare Gesù», l’apostolo «comincia parlando della storia della salvezza». E così «Paolo si alzò e incominciò: “Il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri e rialzò il popolo durante il suo esilio in terra d’Egitto”  (cfr. versetto 17)». E raccontò «tutta la salvezza, la storia della salvezza».

«Lo stesso fece Stefano prima del martirio (cfr. 7, 1-54) e anche Paolo, un’altra volta» ha proseguito il Papa. In realtà, «lo stesso fa l’autore della Lettera agli Ebrei, quando racconta la storia di Abramo e di “tutti i nostri padri”» (cfr.  11, 1-39). E «lo stesso lo abbiamo cantato  oggi, noi: “Canterò in eterno l’amore del Signore, farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà”»  (cfr. Salmo  88, 2). Abbiamo cantato la storia di Davide: “Ho trovato Davide, mio servo” (cfr. versetto 21)». Inoltre, ha fatto presente Francesco, «lo stesso fanno Matteo  (cfr.  1, 1-14) e Luca  (cfr. 3, 23-38): quando incominciano a parlare di Gesù, prendono  la  genealogia di Gesù».

«Cosa c’è dietro Gesù? C’è una “storia”. Una storia di grazia, una storia di elezione, una storia di promessa» ha rilanciato il Pontefice. Infatti, «il Signore ha scelto Abramo ed è andato con il suo popolo. All’inizio della messa, nel canto d’inizio, abbiamo detto: “Quando avanzavi, Signore, davanti al tuo popolo e aprivi il cammino e camminavi accanto al tuo popolo, vicino al tuo popolo”».

«C’è una storia di Dio con il suo popolo» ha insistito il Papa. E «per questo quando a Paolo VIene chiesto di spiegare il perché della fede in Gesù Cristo, non incomincia da Gesù Cristo: incomincia dalla storia». Infatti «il cristianesimo è una dottrina, sì, ma non solo», ha spiegato Francesco, precisando: «Non sono solo le cose che noi crediamo, è una storia che porta questa dottrina che è la promessa di Dio, l’alleanza di Dio, essere eletti da Dio».

«Il cristianesimo non è solo un’etica» ha affermato ancora il Pontefice. «Sì, è vero, ha dei principi morali — ha riconosciuto — ma non si è cristiani soltanto con una visione di etica. È di più». E difatti «il cristianesimo non è “un’élite” di gente scelta per la verità. Questo senso elitario che poi va avanti nella Chiesa, no? Per esempio, io sono di quella istituzione, io appartengo a questo movimento che è meglio del tuo, a questo, a quell’altro… È un senso elitario. No, il cristianesimo non è questo: il cristianesimo è appartenenza a un popolo, a un popolo scelto da Dio gratuitamente».

Dunque, ha aggiunto il Papa, «se noi non abbiamo questa coscienza di appartenenza a un popolo, saremo “cristiani ideologici”, con una dottrina piccolina di affermazione di verità, con un’etica, con una morale — sta bene — o con un’élite. Ci sentiamo parte di un gruppo scelto da Dio — i cristiani — gli altri andranno all’inferno o se si salvano è per la misericordia di Dio, ma sono gli scartati… E così via».

In sostanza, ha ribadito Francesco, «se noi non abbiamo una coscienza di appartenenza a un popolo, noi non siamo dei veri cristiani». Perciò «Paolo spiega Gesù dall’inizio, dall’appartenenza a un popolo», ha detto il Pontefice. E «tante volte, tante volte, noi cadiamo in queste parzialità, siano dogmatiche, morali o elitarie, no? Il senso dell’élite è quello che ci fa tanto male e perdiamo quel senso di appartenenza al santo popolo fedele di Dio, che Dio ha eletto in Abramo e ha promesso, la grande promessa, Gesù, e lo ha fatto andare con speranza e ha fatto alleanza con lui». Questa è, in effetti, «coscienza di popolo».

A questo proposito il Papa ha confidato di rimanere sempre colpito dal «quel passo» del capitolo ventiseiesimo del Libro del Deuteronomio «quando dice: “Una volta all’anno quando tu andrai a presentare le offerte al Signore, le primizie, e quando tuo figlio ti domanderà: ‘Ma papà perché fai questo?’, non devi dirgli: ‘Perché Dio l’ha comandato’, no: ‘Noi eravamo un popolo, noi eravamo così e il Signore ci ha liberato…’”» (cfr. 26, 1-11).

Bisogna allora «raccontare la storia, come ha fatto Paolo qui», ha affermato Francesco. Questo significa «trasmettere la storia della nostra salvezza. Il Signore, nello stesso Deuteronomio, consiglia: “Quando tu arriverai alla terra che tu non hai conquistato, che ho conquistato io, e mangerai dei frutti che tu non hai piantato e abiterai le case che tu non hai edificato, nel momento di dare l’offerta” (cfr. 26, 1), recita il famoso credo deuteronomico: “Mio padre era un arameo errante, scese in Egitto” ( 26, 5)… “Stette lì per 400 anni, poi il Signore lo liberò, lo portò avanti”… Canta la storia, la memoria di popolo, “la memoria di popolo”, di essere popolo».

«In questa storia del popolo di Dio, fino ad arrivare a Gesù Cristo — ha spiegato il Pontefice — ci sono stati santi, peccatori e tanta gente comune, buona, con le virtù e i peccati, ma tutti. La famosa “folla” che seguiva Gesù, che aveva “il fiuto” di appartenenza a un popolo».

«Un sedicente cristiano che non abbia questo fiuto — ha fatto presente il Papa — non è un vero cristiano; è un po’ particolare e un po’ si sente giustificato senza il popolo». Dunque, «appartenenza a un popolo, avere memoria del popolo di Dio. E questo lo insegnano Paolo, Stefano, un’altra volta Paolo, gli apostoli…». Ed è «il consiglio dell’autore della Lettera agli Ebrei: “Ricordate i vostri antenati” (cfr. Eb 11, 2), cioè coloro che ci hanno preceduto in questo cammino di salvezza».

Con questa consapevolezza, ha chiarito il vescovo di Roma, «se qualcuno mi domandasse: “Qual è per lei la deviazione dei cristiani oggi e sempre? Quale sarebbe per lei la deviazione più pericolosa dei cristiani?”, io direi senza dubitare: la mancanza di memoria di appartenenza a un popolo». Perché «quando manca questo vengono i dogmatismi, i moralismi, gli eticismi, i movimenti elitari. Manca il popolo. Un popolo peccatore, sempre, tutti lo siamo, ma che non sbaglia in genere, che ha il fiuto di essere popolo eletto, che cammina dietro una promessa e che ha fatto un’alleanza che lui forse non compie, ma sa».

Concludendo la sua meditazione, Francesco ha esortato a «chiedere al Signore questa coscienza di popolo, che la Madonna bellamente ha cantato nel suo Magnificat (cfr. Luca 1, 46-56), che Zaccaria ha cantato così bellamente nel suo Benedictus (cfr. Luca 1, 67-79), cantici che preghiamo tutti i giorni, al mattino e alla sera». La «coscienza di popolo» significa: «noi siamo il santo popolo fedele di Dio che, come dice il concilio Vaticano i, poi il ii, nella sua totalità ha il fiuto della fede ed è infallibile in questo modo di credere».

Infine, è con la preghiera del cardinale Rafael Merry del Val che il Pontefice ha invitato «le persone che non possono comunicarsi» a fare «adesso» la comunione spirituale. Per poi concludere la celebrazione con l’adorazione e le benedizione eucaristica. Il Papa ha anche affidato la sua preghiera alla Madre di Dio sostando — accompagnato dal canto dell’antifona Regina Caeli — davanti all’immagine della Madre di Dio nella cappella di Casa Santa Marta.

A mezzogiorno le intenzioni del vescovo di Roma sono state rilanciate, davanti all’altare della Cattedra della basilica Vaticana, dal cardinale arciprete Angelo Comastri che ha guidato la recita del Regina Caeli e del rosario.