S. Francesco 4 ottobre il mondo è mio fratello

vinonuovo.it

C’è una ragione “cristiana” per essere ambientalisti? Nel giorno di san Francesco, il più puro seguace del Vangelo, fa bene ricordare che il suo Cantico ha indicato la strada giusta.

E’ addirittura “biblico” il pregiudizio attraverso il quale la Chiesa ha troppo spesso guardato alla natura: quel “riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente» di Genesi che ha dato fondamento a una teologia non solo nettamente antropocentrica, ma – diremmo – antropo-esclusiva. E non bastano le pur numerose esperienze di buona convivenza e tutela del creato, allineate nella storia della Chiesa (dal monachesimo che risanò le campagne, al francescanesimo del cantico), per far dimenticare che la teoria cattolica ha sdoganato per secoli la relazione tra uomo e natura come rapporto o scontro di potere.
Ma c’è una differenza fondamentale: fino a poco più di un secolo fa, fino alla rivoluzione industriale affermata, la “natura” era dominante e – dunque – doveva essere vinta, imbrigliata, domata perché l’uomo potesse garantirsi (se non la sopravvivenza stessa) almeno una qualità di vita più accettabile; oggi invece, e ormai da decenni, essa è diventata minoranza rispetto alla schiacciante superiorità dei mezzi tecnico-scientifici e – come tutte le minoranze – deve pertanto essere tutelata, difesa, salvata.
Un cambiamento culturale di cui anche la teologia e ora (grazie a Laudato si’) la divulgazione pastorale cominciano a prendere atto. Ma – a dispetto delle aggressive proteste dei tradizionalisti, per i quali la “svolta verde” della Chiesa sarebbe un ritorno eretico al paganesimo panteista o almeno un cedimento in senso “materialistico” del fine eminentemente spirituale del cristianesimo – non si tratta a mio parere di rinnegamento del vero antropocentrismo, quanto del tentativo per riequilibrare in senso evangelico il rapporto con il creato e sottrarsi all’interpratazione della natura come puro “strumento” nelle mani dell’uomo.
Non è un caso che Papa Francesco abbia intitolato la sua enciclica con l’incipit del Cantico delle Creature. A ben guardare, infatti, quel testo – composto da un santo la cui esemplarità cristiana è indiscutibile, sia “da destra” che “da sinistra” – è la reiterata definizione degli esseri (animati e no) come “fratelli” e “sorelle”. Non sudditi, sottoposti, oggetti, servitori e così via. No: “fratelli”, come “fratelli” per il Vangelo sono i nostri pari in umanità. Il creato è nostro “prossimo”: ecco, a parer mio, la novità, il punto di vista diverso dal quale dobbiamo cominciare a guardare la natura.
Non si tratta dunque di puro ambientalismo, di sola preoccupazione di “sostenibilità”, di responsabilità ecologica – come, e giustamente, viene sempre più richiesto in ambito laico. Il cristiano può fare un passo oltre Greta e recuperare una spiritualità del creato che colloca l’uomo (unico e centrale, certo, ma nello stesso tempo infinitamente piccolo), all’interno di un cosmo di cui ci sfugge il mistero, il fine, ma che esiste in sé e non solo a nostro uso e consumo. Il cosmo che “Dio vide che era cosa buona”: tutto, mica soltanto l’uomo! 
Questa è la ragione “cristiana” per cui non possiamo non dirci ambientalisti: il mondo è nostro prossimo, nostro fratello.