Papa, Vangelo e geopolitica

Settimana News

di: Francesco Sisci

Francesco come global player

In Asia, patria del 60% della popolazione mondiale, fino a poco tempo fa il papa e la Chiesa cattolica erano un’entità esoterica. Maggioritaria solo nelle Filippine, che sono in realtà un’estensione dell’America Latina in Asia, nel resto del continente erano un’entità semi-sconosciuta. Stranieri, collegati a scuole e opere di bene, ed estranei alla vita della stragrande maggioranza della popolazione.

Con l’arrivo di papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, questo sta cominciando a cambiare. Si vede che il papa è attivo su grandi questioni che interessano tutti: povertà, immigrazione, ecologia, dialogo fra le religioni. È presente in grandi partite geopolitiche, come l’apertura della Cina. Le sue dichiarazioni non sono confinate ai bollettini parrocchiali, ma sono frequenti titoli di apertura dei giornali di tutto il mondo. Ha il dono di riuscire a parlare al cuore degli uomini, credenti o meno; la gente si sente toccata da ciò che dice.

Questo che è molto evidente in Asia, pare vero in misura diversa in ogni angolo del pianeta. Bergoglio è il primo papa globale, che è uscito dai confini dei dibattiti cattolici o anche dai dibattiti tra i cristiani o tra religioni monoteistiche. Non bisogna essere battezzati o pregare davanti a una croce per essere interessati alle sue parole. Un successo nella storia della Chiesa che, dopo avere “conquistato” l’impero romano e i barbari del nord Europa, si era progressivamente rinchiusa. Ma qui ci sono anche i problemi presenti e forse anche alcuni futuri.

Il doppio linguaggio

L’interesse per il papa e per tutto quello che dice livella per la prima volta in maniera immediata la comunicazione e il dibattito interno con il dibattito esterno, ciò anche grazie ai nuovi media più universali e immediati. Solo che i due piani, interno ed esterno, sono molto diversi e andrebbero affrontati anche in maniera diversa.

Il papa e la Chiesa affrontano sfide interne.

Da un lato, c’è quello che si potrebbe definire con termini politici il liberalismo. Esso si concentra sulla sfera sessuale, ma non solo. Riguarda il tema delle donne prete, l’omosessualità che vuole maggiore affermazione, il matrimonio dei sacerdoti eccetera.

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D’altro canto, c’è quello che definiremmo il tradizionalismo – il bisogno di conservare la Chiesa del passato e i millenni di continuità culturale.

Entrambe le tendenze, che in alcuni luoghi, come in America vengono tradotti in termini politici di “destra” e di “sinistra”, hanno a che fare con il radicamento della Chiesa nell’occidente e in certi modelli di pensiero occidentali (progressisti o conservatori che siano).

Questi temi erano fino a pochi anni fa praticamente esoterici, curiosità bizzarre, anche perché il dibattito avveniva a colpi di citazioni in latino di testi medievali. Pochissimi oggi riescono a seguirle, e certo non quelli che in tutto il mondo si commuovono per le parole sentite di Francesco sui temi del giorno.

In realtà, però, proprio perché il papa parla a tutti, anche tali vexatae quaestiones (per entrare in tema), che in realtà cominciano dal concilio Vaticano II, diventano di pubblico dominio e attirano, giustamente, l’attenzione generale.

Le cose di tutti

Lo slancio esterno. Oltre alle vicende interne, ci sono quelle esterne. Il papa ha dato un nuovo slancio sociale, mettendo l’accento su ambiente, povertà, migrazioni, sfruttamento del lavoro.

Francesco come global player

C’è una sfida geopolitica: dialogo con altri gruppi cristiani (ortodossi e protestanti), con i musulmani (cosa che oggettivamente argina la deriva estremistica, sia del mondo islamico che del mondo cristiano) e verso l’Asia e l’Africa dove il papa era stato per secoli marginale o sconosciuto.

In ciò il contributo della Chiesa alla pace del mondo e alla conciliazione di problemi sociali e politici nel globo è enorme. Questa cosa però crea di fatto frizioni tra la Chiesa e i gruppi di potere di tutti i tipi con agende diverse e concorrenti con quelle del papa.

Ciò può generare un dialogo e un dibattito positivo o, viceversa, creare scontri più o meno palesi in opposizione al papa e alla Chiesa. Questi elementi esterni si mischiano con gli elementi e i dissidi interni di varia natura in una combinazione difficile da seguire e trovano il oro punto di intersezione nella persona del papa, insieme punto di arrivo e di partenza di questioni interne ed esterne.

Due problemi

Ciò porta a due ordini di problemi. La solitudine del papa aumenta se non c’è l’unità della Chiesa con il papa; a quel punto si spacca la Chiesa e si dice addio a duemila anni di tradizione cattolica romana e anche alle prospettive di rinnovamento della Chiesa stessa.

Quindi, ci saranno senz’altro mille motivi teologici per vedere se il papa, nella gestione dei problemi interni o nell’esporsi all’esterno, stia andando fuori dalle righe; e il supporto teologico è fondamentale per la Chiesa.

Ma quello che il papa vede, dice e fa non può essere ridotto entro i confini della teologia, come la fede di Cristo ai tempi di Paolo non poteva essere ridotta entro i confini della tradizione giudaica: attraversava tutte le tradizioni giudaiche e si apriva anche ai non ebrei.

In questo la Chiesa deve ritrovare lo spirito dell’unità con il papa. Inoltre, la Chiesa si deve muovere attraverso una delle sue grandi forze, la sua organizzazione, i sacerdoti, le suore, i fedeli, come ha recentemente sottolineato Francesco stesso.

La Cina ha inventato la burocrazia. Essa, nei suoi eccessi, è certamente una catena al collo per la gente, ma quando funziona è un servizio senza pari, efficiente e positivo. Quindi, è vero che il clericalismo soffoca e uccide la Chiesa ma è vero anche che i sacerdoti, le suore, i laici che lavorano per la Chiesa sono la sua enorme forza. Costoro devono restare uniti al papa; in questo modo devono parlare e in questo parlare affrontano e superano problemi interni e esterni.

Francesco come global player

Inoltre c’è un problema di comunicazione sofisticata. Il papa ha successo perché parla al cuore degli uomini portando in grembo la Chiesa, ma senza averla sulla bocca tutti i minuti. Da questo forse nasce anche un’idea: è estremamente difficile parlare allo stesso modo a credenti e a non credenti. È vero che il nodo è inevitabile, ma forse bisognerebbe pensare di parlare di cose di Chiesa in modo comprensibile per chi non è nella Chiesa, al di là del gergo interno più o meno teologico.

Commando e truppe

Ciò porta a dei rischi per il futuro. Nel ’500 i gesuiti compirono un’operazione strategica straordinaria: ignorarono l’accerchiamento oggettivo di protestanti e musulmani. Quindi, pur essendo spagnoli, si schierarono con il papa e non sempre furono totalmente allineati con il re di Spagna, e arrivarono ovunque nel mondo. Nel ’600 avevano teste di ponte importanti dappertutto, persino nei posti più proibiti. È il caso della famosa missione in Cina iniziata da Matteo Ricci. Nel secolo successivo, nel ’700, i gesuiti furono sciolti.

Ciò accadde certo per l’invidia interna e gli odi esterni ma anche perché essi non erano riusciti a trasformare le teste di ponte in realtà ampie e concrete. In termini militari, che forse sarebbero piaciuti a sant’Ignazio di Loyola, i gesuiti erano dei commando, ma dopo sarebbero dovute arrivare le truppe corazzate, e i fanti, armi diverse con funzioni diverse, per allargare la testa di ponte e anche cambiare la natura della presenza sul territorio.

In altre parole, e in maniera semplicistica, ma utile ai rapidi tweet a cui ci stiamo abituando, Francesco è profetico, ma con lui serve una linea di comando e di organizzazione chiara che comunichi con l’interno (la Chiesa) e con l’esterno (la non-Chiesa) in maniera comprensibile per entrambi, ma distinta. Tale distinzione è fondamentale per “dominare” in maniera laica, nel mondo esterno, la comunicazione e “l’avanzamento del programma”, altrimenti tali agende saranno dominate da agenti esterni che, in buona o cattiva fede, possono spingere la Chiesa in direzioni diverse da quelle volute dal papa.

Francesco come global player

Perciò sembra che, quando il papa parla della sua solitudine, veda un problema reale, non solo umano, esistenziale, da risolvere con la preghiera dei fedeli. Perciò offriremmo al santo padre questa riflessione che non è una preghiera ma vorrebbe essere un’opera di bene.