Minori soli. Disturbi psichici crescenti e non curati nella metà dei ragazzi

Disturbi psichici crescenti e non curati nella metà dei ragazzi

È un grido d’allarme che nessuno ha raccolto quello lanciato nei giorni dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nel dossier ‘La salute mentale degli adolescenti’. Uno studio che per la prima volta, in modo circostanziato, tratteggia un problema che si vorrebbe dimenticare, tanto è scomodo, imbarazzante, complesso. La società che abbiamo costruito è così difficile da vivere e da interpretare da causare ai nostri ragazzi sofferenze psichiche crescenti. Vale per gli italiani vittime di disgregazioni familiari, bullismo, disabilità, dipendenze varie, sindromi da videogiochi. Ma sempre più spesso anche per gli stranieri, portatori di traumi mentali di vario tipo, come riferisce in modo circostanziato il procuratore dei minorenni di Milano, Ciro Cascone. Ma, quello che è peggio, questa emergenza ci trova del tutto impreparati. La Sinpia (Società italiana neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) spiega nel dossier che le richieste aumentano del 7% l’anno ma che solo la metà di chi avrebbe bisogno di assistenza, riesce ad accedere ai servizi territoriali.Vale per le regioni del Sud, ma anche per una città come Milano dove non esiste un reparto ospedaliero dedicato in modo specifico alla neuropsichiatria dell’adolescenza. Si rimedia con i reparti infantili, oppure con quelli per adulti. Ma le difficoltà sono facilmente immaginabili. E poi ci sono le sofferenze legate alle adozioni a rischio. Un terzo dei ragazzi in arrivo da adozioni internazionali presenta disturbi psichici. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla necessità di un accompagnamento specifico e costante – che non esiste – per le famiglie adottive.

Bambini desiderati, bambini abbandonati, bambini dimenticati negli istituti, bambini allontanati da casa. Emergenze autentiche? Solo in parte. La procura dei minorenni di Milano – Lombardia occidentale, tranne quindi Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova – che ha sulle spalle un carico di sofferenze pari circa al 10 per cento del totale nazionale, è un osservatorio efficace per capire che nel nostro Paese, quando si parla di minori, ci sono emergenze nelle emergenze. E che si stanno sottovalutando. Sono le sofferenze mentali dei giovanissimi, specialmente immigrati. Dato in aumento, sicuramente. E, all’opposto, interventi che incidono sul problema in modo del tutto marginale.

Ciro Cascone, procuratore del Tribunale dei minorenni per Milano allarga le braccia e rivela che in regione le strutture attrezzate per occuparsi di questi problemi sono molte meno di quante servirebbero. Piemonte ed Emilia Romagna, per esempio, stanno meglio, ma forse solo perché i casi di cui devono occuparsi sono meno della metà di quelli lombardi. Eppure, non si tratta di un tema marginale. Trascurare la sofferenza mentale di un adolescente vuol dire ritrovarsi tra qualche anno con un adulto problematico che poi, nel caso di un immigrato, finirà per concentrare in sé una serie di situazioni a rischio di cui comunque dovrà farsi carico la società. Ma quanti sono i ragazzi con questi disturbi? Il sorriso del procuratore, da due anni su questa poltrona tanto importante quanto scomoda, si piega nuovamente in una smorfia amara. Tanti sicuramente, troppi, considerando, per quello che riguarda i ragazzi stranieri, guerre, violenze, viaggi al limite della sopportazione, paura, privazioni. E poi situazioni in cui non di rado i ragazzi hanno fatto esperienze di soprusi inenarrabili, oppure hanno visto genitori, fratelli, parenti trucidati senza pietà. Sono fatti che finiscono per determinare contraccolpi psicologici pesantissimi, difficili da trattare e da risolvere. Sui numeri però il procuratore non azzarda stime. Si può procedere solo in modo deduttivo. E si tratta di un’altra grave carenza del nostro sistema di aiuto e di protezione dei minori che non ha ancora messo a punto un sistema efficace per monitorare in tempo reale non solo il flusso ‘ordinario’ dei minori stranieri, ma anche quello di bambini e ragazzi italiani fuori famiglia. O, meglio, la rendicontazione c’è, ma segue tre percorsi diversi. I numeri delle procure che a loro volta si servono dei dati delle comunità d’accoglienza. I dati dell’Istituto degli Innocenti di Firenze che tiene invece fa riferimento alle rilevazioni del ministero dell’Economia. E le sintesi del Garante dell’infanzia che cerca di offrire una mediazione sapiente di tutto. Ma, se si va a guardare nello specifico, cominciano i problemi.

Perché, lo racconta ancora il procuratore di Milano, le oltre 500 comunità d’accoglienza per minori esistenti nel distretto di Milano – con una decina di tipologie diverse – non sempre sono tempestive nell’aggiornamento, spesso non fanno distinzione tra minori italiani e stranieri, in altre occasioni non indicano le patologie da cui sono affetti, tanto meno se si tratta di sofferenze psicologiche. Anche perché non pochi disturbi sono difficili da accertare e sarebbe necessario l’intervento sistematico di un neuropsichiatra. Ma dove trovare tutti gli specialisti che servirebbero? Situazione ancora più a macchia di leopardo per i Comuni, a cui toccherebbe invece monitorare i minori in affidamento familiare. Le grandi città dispongono quasi sempre di strutture efficienti. I piccoli e medi Comuni molto spesso no, con il risultato che anche qui siamo di fronte a stime più o meno attendibili. Quando parliamo quindi di circa 30mila minori in tutta Italia che vivono fuori dalle famiglie di origine – 17-18 mila nelle comunità, 14mila in affido – tracciamo un quadro solo verosimile, non preciso. Certo invece che ormai la maggior parte di questi minori – circa il 50% – siano di origine straniera. E di questi almeno la metà presenta situazioni di sofferenza psicologica, cioè circa 5-7 mila ragazzi.

Numero enorme – dove a tanti ragazzi immigrati si mescola anche una percentuale crescente di adolescenti italiani – che ci lascia disarmati, e che rappresenta un nuovo motivo di preoccupazione perché le nostre capacità di intervento, di fronte a questi diversi e profondi bisogni, appaiono ancora più vacillanti. Ma è indubitabile che proprio qui andrebbe concentrata l’attenzione – quasi sempre aleatoria – della politica. Pensare che la magistratura minorile possa farsi carico di una somma di problemi che si radicano nella disattenzione del nostro sistema per le politiche sociali, e familiari in particolare, è un’illusione pari soltanto a quella che vorrebbe confinare nel privato sofferenze e disgregazioni domestiche. È vero purtroppo il contrario. Le impennate statistiche dei divorzi e delle separazioni determinano emergenze anche per quanto riguarda il numero de minori che in qualche modo finirà sotto la lente della procura minorile. Se si pensa che soltanto nel vastissimo distretto di Milano ci sono ogni anno 6mila casi esaminati dai magistrati – oltre a circa 3mila situazioni di reato – e si moltiplica tutto per dieci perché, come detto, questo è il rapporto statistico Lombardia/Italia, si vede come siamo di fronte a un esercito di sofferenza e di bisogno. Oltre centomila minori sfuggiti in vario modo all’amore, all’accompagnamento e alla tutela degli adulti. Tutte le segnalazioni vengono esaminati e poco meno della metà vengono poi indirizzate al Tribunale dei minorenni.

Nel 2017 i ricorsi nel distretto di Milano sono stati circa 2.800, di cui un migliaio ha riguardato ragazzi stranieri. Ecco l’esito più drammatico del vuoto di politiche familiari di cui troppo spesso ci si dimentica. I mancati investimenti di sostegno ai compiti della famiglia si traducono in costi sempre più ingenti che la comunità è chiamata comunque a coprire. Se spesso non riesce a farlo è perché non dispone di strutture e risorse sufficienti. Lasciare per esempio quasi ventimila minori in comunità e istituti non è una scelta, ma una necessità. Se ci fossero tante famiglie affidatarie la maggior parte dei questi ragazzi potrebbe scoprire la gioia di una nuova casa. Ma, senza risorse per il welfare, non si riesce neppure a far decollare l’affido. Sarebbe necessario investire in campagne informative, disporre di specialisti per accompagnare le famiglie a scoprire questa buona prassi solidale, creare reti familiari in modo tale che ogni nucleo affidatario sia sostenuta da un altro. Sarebbe una terapia vincente anche per prendersi cura di un minore straniero. In caso contrario anche i nuclei familiari più volenterosi e attrezzati vanno incontro al fallimento. E di nuovo il problema finisce sulla scrivania della procura per i minori. Ma forse c’è qualcosa che non funziona in una società che si vede costretta ad affidare ai magistrati i tanti, troppi esiti devianti delle sue generazioni future.

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