“L’identità cristiana, in politica, è quella della compassione e dell’accoglienza”. Intervista a Padre Francesco Occhetta SJ

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Cosa significa per un cattolico fare politica nel tempo del sovranismo leghista? E’ “cattolicesimo” quello della Lega? Questi sono, essenzialmente, gli interrogativi che l’opinione pubblica cattolica si sta ponendo dopo il voto delle Europee. Ne parliamo, in questa intervista, con un autorevole commentatore della politica italiana: Padre Francesco Occhetta, gesuita e Scrittore della prestigiosa rivista “Civiltà Cattolica”.

Padre Francesco, in questi ultimi mesi (quelli della campagna elettorale), hanno fatto discutere l’opinione pubblica alcuni gesti eclatanti di Matteo Salvini. Mi riferisco all’ostentazione del rosario in piazza duomo al termine del suo comizio elettorale. Per molti osservatori cattolici, ma anche laici, si è trattato di un gesto fuori Luogo e strumentale. Molto severo il giudizio del Cardinale Bassetti, presidente della CEI. Cosa c’è dietro quel gesto?

Si nasconde una strategia comunicativa che ha almeno tre obiettivi: rivestire il potere di sacro; utilizzare l’identità religiosa per escludere chi rimane fuori; far credere che basta il medium, l’oggetto, per testimoniarne con la vita il senso e il significato. Invece nel Vangelo il potere è servizio agli ultimi; il termine cattolico significa universale; la vita di fede si misura sulla coerenza tra le parole dette e la testimonianza vissuta. A riguardo è già stato detto tutto e comunque Salvini non ha vinto per questo.

Nel “Pantheon” della Lega ci sono “devozioni” e riti pagani sul Po (la cerimonia dell’ampolla con l’acqua del fiume), il giuramento di Pontida. Adesso ci sono aggiunti il Rosario e il Cuore immacolato di Maria. Un sincretismo blasfemo oserei dire. Padre Francesco a me sembra un “neo paganesimo”. Per lei?

Si tratta di un politeismo nato negli anni Novanta con Bossi che giustappone segni diversi con un significato univoco, simile a quello degli amuleti. I segni cristiani vengono utilizzati fra gli altri nella costruzione politica di un’identità religiosa etniconazionale, basata sulla contrapposizione tra un «noi» ideale (i padani prima, gli italiani oggi) e un «loro» da respingere (quelli «dal Po in giù» prima, gli immigrati oggi, gli europei domani ecc). È un modo di fare antico che io ho conosciuto in America Latina da molti predicatori protestanti di alcune correnti radicali.

Questa specie di “cattolicesimo identitario” (con forti venature reazionarie e xenofobe), che ha la benedizione dei circoli sovranisti europei, può costituire un pericolo per la missione della Chiesa?

Una preoccupazione, più che un pericolo. Quando si ha paura di costruire nuovi mondi – come per esempio l’Europa multiculturale – riaffiorano linguaggi identitari come quello di Trump negli Stati Uniti d’America, di Bolsonaro in Brasile, di Orban in Ungheria. L’alternativa è quella testimoniata da cattolici come De Gasperi e Moro, Dossetti e La Pira e molti altri che hanno costruito la democrazia compiendo una scelta diversa: quella dell’inclusione e della dignità, della solidarietà e, soprattutto, della laicità. Laicità che non è negazione né neutralità del proprio credo nello spazio pubblico, ma ascolto, condivisione, incontro e dialogo con le altre culture. Occorre scegliere tra inclusione ed esclusione; tra il nuovo mondo e il vecchio.

Veniamo al voto dei cattolici italiani. Recenti analisi sociopolitiche affermano che molti cattolici hanno votato Lega. Questo pone drammatici interrogativi. L’operato della Lega sul piano dell’accoglienza dei più poveri (dai migranti ai Rom) è quanto di più lontano ci sia dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa. Come spiega questa dissociazione? C’è un criterio imprescindibile su cui valutare una Proposta politica?

Alcune ricerche dicono che su 100 cattolici praticanti, 16 hanno votato Lega, 13 Pd, 5 FI, 7 M5S mentre 52 non hanno votato. È anche questa enorme fascia di popolazione che occorre rimotivare a partecipare alla vita politica. La Lega non ha vinto solamente per il tema dell’accoglienza ma anche per temi lontani da Bruxelles, come la flat tax, il decreto sicurezza bis ecc. Anche la comunicazione politica, basata sul made in Italy e sui simboli identitari, ha mortificato il logos del discorso politico ed esaltato il pathos: le paure hanno prevalso sulle speranze, le credenze sulla realtà, le parole forti su quelle da condividere. L’area moderata italiana è orfana di una forza politica e popolare che invece esiste nel Parlamento europeo.

Il protagonismo del “laicato cattolico” non è molto esaltante. Le cause sono tante e non le affrontiamo. Resta sul tappeto la questione del “che fare?” Di fronte ad una società incattivita, come molti episodi delle nostre periferie stanno a dimostrare, in cui si enfatizza “il prima gli italiani”, c’è bisogno di una “contronarrazione” alternativa. L’unico che riesce a scalfire il muro dell’indifferenza è Papa Francesco. Ma quanto importa ai cattolici italiani la parola di Francesco?

La responsabilità del Papa e della Chiesa è essere voce della coscienza sociale che distingua il bene dal male e le scelte umane da quelle dis-umane. Saremo minoranza? Il lievito conta come la farina. Questo tipo di presenza è liberante, conta come si vive e non ciò che si dice ed include l’obiezione di coscienza quando il potere non è al servizio degli ultimi. Se i media e i social moltiplicano il “cattivismo”, l’alternativa non è il buonismo, ma la regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). È la parola di Dio a ispirare l’agire politico del credente impegnato in politica con pagine luminose, come il capitolo 10 del Vangelo di Luca, in cui un samaritano, mosso dalla compassione, si ferma a curare un giudeo ferito, sebbene la sua cultura lo consideri un nemico; o come il giudizio finale nel Vangelo di Matteo, dove risuonano le parole di Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Ultima domanda: per l’Europa è arrivato il tempo di rinnovarsi. Qual è il contributo che può portare la Chiesa cattolica al rinnovamento del sogno europeo?

Difesa e sicurezza, crescita e occupazione hanno bisogno di più sovranità europea e di meno sovranità nazionale. Nel mondo stanno sorgendo sfide così grandi che si vincono solo con un’Europa più forte. Non esistono soluzioni locali a problemi transnazionali in materia di lavoro, ambiente, immigrazione, rapporto uomo-macchina, big data e così via. Certo, il voto europeo, allontanandoci dall’Europa, determinerà per il Paese un isolamento politico. Il Paese è però pieno di risorse, competenze, creatività. Più di 800mila giovani hanno fatto l’Erasmus e l’Italia silenziosa è da sempre europea. Più che preoccuparsi di bloccare chi arriva, bisognerebbe avere a cuore gli italiani che emigrano, 128 mila nell’ultimo anno tra cui 24 mila minori.
La Chiesa è chiamata a formare persone che in tempo di crisi progettino il mondo che verrà attraverso il binomio cultura-spiritualità. Lo aveva fatto Benedetto attraverso la rete dei monasteri. Lo ha voluto Ignazio di Loyola, che alla Sorbona di Parigi riuscì a mettere insieme un gruppo di religiosi di Paesi in guerra tra loro. Continua a crederci il Papa, che all’Europa chiede di tenere a cuore la dignità di tutte le persone per non smarrire il senso che l’ha fondata.