La vita di coppia è segno dell’amore di Dio per l’umanità, così come quella di una vocazione di speciale consacrazione: ma siamo capaci di raccontarlo?

Avrei potuto non festeggiarlo questo san Valentino 2017. Ma non è così. A 39 anni A. si è trovata sola perché suo marito è stato falciato in autostrada da una ruota sganciata da un Tir. A D. è accaduto dopo 8 mesi dal matrimonio, con un figlio in arrivo che non avrebbe mai conosciuto il padre. Volti conosciuti e cuori da abbracciare, con empatia oggi ancora più intensa. A loro è accaduto. Poteva accadere a me.

Una fede nuziale che viene riconsegnata da mani premurose. Non si sa mai. Ma in quel cerchietto fine, mai tolto da quel primo giorno, senti racchiusa una vita intera insieme.

Mesi fa alcuni chiedevano che i due Sinodi sulla famiglia parlassero della bellezza del matrimonio cristiano: ma han forse bisogno di sentirselo dire le coppie? La «gioia dell’amore» (l’«Amoris laetitia», bello il titolo dato da papa Francesco alla sua esortazione postsinodale) si vive e si condivide, dall’interno: sono le coppie a raccontarla con la propria vita. Perché l’amore vissuto è di per sé «diffusivo»: non puoi costringere l’impeto di un torrente o l’irrompere della luce al mattino. La felicità di un amore a due si allarga a cerchi concentrici e coinvolge (o travolge?) quanto incontra. Non c’è sponsor migliore per parlare della bellezza del matrimonio che la vita quotidiana dei due. Chi non ne fa esperienza, pur con tutta la vicinanza che possa avere con alcune coppie, può solo giungere a sfiorare quello che comunque resterà sempre per lui un mistero.

Un mistero fonte di vita e di santità. E non sono solo parole. Una coppia felice rivela al mondo la tenerezza di Dio comunicando un amore rassicurante che suscita gioia e fiducia nella vita. I teologi ci insegnano che nel matrimonio si diventa il segno visibile – il «sacramento» appunto – dell’amore di Dio per l’umanità intera e di Gesù Cristo per la sua Chiesa. E, di nuovo, non sono solo parole: un amore fedele nonostante l’infedeltà della sposa. Ma è nella relazione quotidiana dei due, nella loro testimonianza di vita che Dio, comunque, racconta il suo amore. Nella loro storia – dove l’ordinario feriale diventa straordinario – c’è una storia «sacra» perché abitata da Lui. Chi vive in coppia lo sa: 24 ore su 24, 365 giorni l’anno.

Un canto molto usato nelle celebrazioni di nozze, nato in ambito scout, recita «Io vorrei saperti amare come ti ama Dio». Ma come ci ama Dio? Ci prende per mano (diciamo pure che ci porta in braccio) nelle difficoltà, ci perdona tutte le nostre fragilità e i nostri fallimenti (leggi anche infedeltà), ci sa aspettare come il padre della parabola … Il suo amore non si arrende mai, nonostante tutto. Niente potrà mai sconfiggere un amore così: «Forte come la morte, tenace come il regno dei morti … le grandi acque non possono spegnerlo, né i fiumi travolgerlo» (Cantico dei Cantici 8, 6-7). Che un medico, provato dalla tensione, possa dirti «l’abbiamo riacciuffato in tempo» o che allarghi le braccia per riconoscere «non abbiamo potuto far nulla», fa differenza (perché nella vita la farebbe eccome) su quell’amore? Neppure la morte è in grado di scalfire un amore disegnato così dal Padre. L’amore di una coppia felice è in grado di espandersi fino ai rispettivi luoghi di lavoro dove le persone veramente realizzate fanno la differenza.

E la testimonianza di chi si è visto «precedere» dal coniuge sta lì a dimostrarcelo, spesso con una «comunione» che puoi solo intuire, ma reale e struggente.

E’ una spiritualità incarnata nella vita quotidiana, sono le relazioni – con Lui, tra i due, con i figli, la comunità ecclesiale e civile – la materia prima di quel cantiere di santità che mette la prima pietra il giorno delle nozze. Sposarsi in Cristo e nella Chiesa non è solo scambiarsi una promessa umana, significa lasciarsi avvolgere dal Suo amore e dalla sua fedeltà, riconoscere che sarebbe umanamente impossibile farcela da soli, «uomini di sabbia» in un mondo «liquido».

Nel nuovo Rito del matrimonio è ancora più evidente la profonda analogia con quello dell’ordinazione dei preti: le litanie dei santi, l’invocazione allo Spirito, l’imposizione delle mani … Due sacramenti «ordinati alla salvezza altrui» (CCC 1534). Due vocazioni che si illuminano e si sostengono a vicenda, perché, nella vita dell’altro/i, coniugi e quanti sono chiamati a speciale consacrazione vedono il riflesso dell’amore di Dio.

Siamo capaci di raccontarcelo a vicenda? Si vede tanta difficoltà in giro. Si racconta volentieri, per chi ne ha, dei propri figli, pochi parlano o scrivono della propria condizione di vita. Eppure sarebbe uno dei modi per accogliere davvero quanti faticano sulle stesse strade. Perché solo riconoscendo la grandezza del dono che hai ricevuto e la bellezza della tua vita puoi sostare in silenzio e, se occorre, tendere una mano. Come su un sentiero in montagna: non tutti sono allenati, basta rallentare un po’. La fragilità è una caratteristica della condizione umana – corpi, cuori, menti – ma cos’ha conosciuto il mondo di più fragile di un Dio che si è fatto uomo ed è morto in croce? Non c’è fragilità così grande che non sia stata «sanata» al mattino di Pasqua. Da limite a risorsa. E allora parliamone. Per credere nella propria vocazione, ordine sacro o matrimonio, oltre il rischio del mito o dell’ideologia.

Per un amore da Dio.

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