La tunica senza cuciture

settimananews

In due conferenze tenute tra la fine del 1983 e i primi mesi del 1984, che prendevano spunto dalla lettera pastorale dei vescovi statunitensi La sfida della pace: promessa di Dio e nostra risposta, il card. Joseph Bernardin (1928-1996) abbozzava i tratti portanti della sua proposta per una coerente etica complessiva della vita – racchiusa poi da lui nell’immagine evangelica della tunica senza cuciture, che rimanda oggi all’importanza strutturale di un dialogo fra le diverse sensibilità etiche e culturali presenti all’interno del cattolicesimo (non solo statunitense). A trentacinque anni di distanza le riflessioni di Bernardin mantengono tutto il loro valore e la loro attualità per la costruzione di una presenza pubblica ed ecclesiale della fede cattolica. Per questo ci è sembrato significativo offrire ai lettori di SettimanaNews una nostra traduzione della prima relazione, tenuta a Fordham University (New York) il 6 dicembre 1983.

È un privilegio essere stato invitato a tenere la «Gannon Lecture» qui all’Università di Fordham. La vita di p. Gannon come prete, gesuita e accademico delinea una misura di eccellenza a cui dovrebbe aspirare ogni persona invitata a tenere questa conferenza.

Mi è stato chiesto di trattare alcuni aspetti della Lettera pastorale dei vescovi cattolici degli Stato Uniti «La sfida della pace: promessa di Dio e nostra risposta». Ben volentieri vengo incontro a questa richiesta, ma voglio approcciare il tema con un taglio ben preciso. Il contesto in cui ci troviamo oggi per questo mio intervento lo ha plasmato nella sua sostanza. Si tratta di un contesto universitario che chiede un approccio alla Lettera che sia qualcosa di più di una semplice sintesi del suo contenuto. Sei mesi dopo la sua pubblicazione è necessario esaminare l’impatto del documento e riflettere sulla possibilità di sviluppi che sono latenti nei suoi vari temi.

Pensare il profilo morale nell’ambito universitario

Più precisamente, Fordham è un’università cattolica americana, un’istituzione che si è impegnata nell’arricchire la cultura americana attraverso la sapienza cattolica e, contemporaneamente, ha cercato di rafforzare la nostra comprensione della fede nell’orizzonte della tradizione americana. Oggi voglio discutere la Lettera pastorale nel quadro della relazione tra la nostra visione morale cattolica e la cultura americana. In specifico, desidero fare della Lettera il punto di partenza per dare forma a una coerente etica complessiva della vita nella nostra cultura.

Sempre nell’orizzonte dello spirito di un’università, ho pensato il mio intervento come un’indagine, una ricerca della necessità di un’etica della vita coerente e come un approccio ai problemi e alle possibilità che ci sono nella Chiesa e negli ampi spazi della società rispetto allo sviluppo di un’etica così intesa.

Non sottovaluto le difficoltà intellettuali legate a questo tentativo, né tantomeno la delicatezza della questione – a livello ecclesiale, ecumenico e politico. Credo però che la tradizione morale cattolica abbia qualcosa di significativo da dire davanti alle molte minacce rispetto alla sacralità della vita; e sono convinto che la Chiesa si trovi in una posizione da cui si può portare avanti una significativa difesa della vita in mondo comprensivo e coerente.

Questa difesa della vita si rifà alla posizione morale cattolica e alla posizione pubblica che la Chiesa occupa attualmente nel dibattito pubblico americano. La Lettera pastorale lega la questione dell’aborto alla guerra nucleare, ma non argomenta le ragioni di tale nesso; ed è proprio questo quello vorrei fare oggi in questa sede.

Spogliazione GesùÈ importante notare che il modo in cui questi due aspetti sono legati tra loro nella Lettera pone i vescovi americani in una posizione singolare all’interno del discorso pubblico politico della nazione. Nessun’altra grande istituzione tiene insieme questi due aspetti nel modo in cui i vescovi americani li hanno collegati l’uno all’altro. Questa è sia una responsabilità sia un’opportunità. Sono persuaso che la posizione a favore della vita (pro-life) della Chiesa debba essere sviluppata nella forma di una comprensiva e coerente etica della vita.

Sono appena stato nominato presidente del Comitato per la vita della Conferenza episcopale statunitense e intendo impegnarmi per dare forma a una posizione in cui le diverse questioni riguardanti la vita siano legate fra di loro.

Questo è anche il tema che desidererei portare avanti oggi in tre passaggi: 1) una riflessione dedicata alla Lettera pastorale sulla guerra e la pace; 2) l’analisi di una coerente etica complessiva della vita; 3) un’indagine su come una simile etica possa essere configurata all’interno del dibattito pubblico americano.

La Chiesa nel dibattito pubblico

La Lettera pastorale sulla guerra e la pace può essere letta a partire da molteplici prospettive. Oggi vorrei farlo in chiave ecclesiologica, più precisamente come un esempio del ruolo della Chiesa nell’aiutare e contribuire al dibattito pubblico. Nei primi passaggi del testo i vescovi affermano che essi stanno scrivendo per condividere con la società intera la sapienza morale della tradizione cattolica. Delineando questa meta i vescovi seguono il modello del concilio Vaticano II che invitava al dialogo col mondo come segno di amore per il mondo stesso.

Credo che il significato ecclesiologico a lungo termine della Lettera pastorale consista nell’insegnamento che essa offre sulla capacità della Chiesa di dialogare con il mondo in un modo che aiuta a configurare il dibattito politico pubblico su questioni decisive. Nel corso della stesura della Lettera un giornalista ha scritto sul Washington Post: «i vescovi cattolici […] stanno portando il dibattito pubblico su quella che è probabilmente la questione nucleare più imbarazzante tra tutte le altre, ossia sulla moralità della deterrenza nucleare […]. La loro logica e passione li ha portati fino al nucleo profondo della politica americana in materia di sicurezza».

Questo commento coglie accuratamente l’intenzione della Lettera pastorale. I vescovi volevano, infatti, avanzare la domanda fondamentale sulla dinamica della corsa agli armamenti e dell’orientamento della strategia nucleare americana. Volevamo criticare la retorica dell’epoca nucleare ed esporre la futilità morale e politica della guerra nucleare. Volevamo offrire un giudizio morale sulla politica corrente in grado di definire i limiti dell’azione politica e, al tempo stesso, di offrire orientamento a politiche in grado di portarci fuori dal dilemma della deterrenza.

Quali sono le questioni decisive per l’umano?

Ciò che ha valore oggi sono le indicazioni che possiamo apprendere dall’impatto politico della Lettera. La conclusione più saliente è che il ruolo sociopolitico della Chiesa è, alla fin dei conti, tanto importante nel definire quali siano le questioni decisive come nel decidere su di esse. L’impatto della Lettera è dipeso in parte dalle sue specifiche posizioni e conclusioni, ma anche dal modo in cui ha messo sotto scrutinio l’intero dibattitto sul nucleare.

La Lettera è stata scritta in una stagione caratterizzata dal cosiddetto «nuovo momento» dell’epoca nucleare. Il «nuovo momento» è un insieme di sensibilità pubbliche e di proposte politiche. La percezione pubblica della fragilità della nostra sicurezza è oggi una realtà palpabile (l’interesse per la trasmissione in televisione di «The Day After» è un esempio di come il pubblico sia toccato dal pericolo della nostra condizione attuale). Ma il «nuovo momento» è anche il prodotto di nuove idee, o quantomeno un forte scossone delle fondamenta radicate nelle vecchie idee.

Un altro commento scritto durante la stesura della Lettera pastorale, pubblicato sul The New Republic, identificava quelli che sono i tratti politici specifici del «nuovo momento»: «il terreno non è stabile sotto le forze nucleari degli Stati Uniti. Il problema non sta nei modi di fondare ma nei modi di pensare. La strategia tradizionale della gestione del nostro arsenale nucleare è scossa da una guerra di idee in merito al suo scopo – e, forse, si tratta della più decisiva guerra di idee nella storia».

Rischio nucleare

Il fatto significativo a cui si rimanda qui è che il «nuovo momento» è un «momento aperto» nel dibattito strategico sulla questione nucleare. Idee e prospettive sono poste sotto scrutinio, politiche consolidate vengono messe in discussione in un modo che non vedevamo dagli anni ’50. Dalla proposta del «non uso per primi», al dibattito sullo sviluppo dei missili MX, fino al concetto di «congelamento nucleare», la questione delle politiche nucleari è aperta alla ricalibrazione e a un nuovo orientamento. Il potenziale implicito nel «nuovo momento» non durerà per sempre: politiche concrete devono essere formulate, delle idee si cristallizzeranno e si giungerà a una qualche forma di compromesso. A tutt’oggi non è chiaro quale sarà il contenuto di tale consenso.

Il ruolo della Chiesa cattolica nella svolta del dibattito sul nucleare

Il contributo fondamentale della lettera pastorale «La sfida della pace» credo sia quello di essere stata una delle poche forze centrali che hanno dato luogo al «nuovo momento». Abbiamo aiutato a dare forma al dibattito, ora ci troviamo di fronte alla questione se siamo in grado di contribuire alla configurazione di un nuovo consenso in materia di politiche concernenti gli armamenti nucleari.

Il «nuovo momento» è ricolmo di potenzialità ma anche di pericoli. La dinamica delle relazioni nucleari fra le superpotenze non è stabile. È urgente che si giunga a un consenso che ci porti oltre la condizione attuale. La Lettera pastorale ha aperto uno spazio nel dibattito pubblico al fine di prendere in considerazione la dimensione morale. Come usiamo le questioni morali, ossia come le poniamo in relazione ad aspetti politici e strategici, è la chiave del nostro contributo al «nuovo momento».

Potrei dedicare questa intera conferenza alla dimensione morale del dibattito nucleare, ma il mio intento è piuttosto quello di mettere in relazione l’esperienza che abbiamo accumulato sulla questione nucleare con altri temi. Senza abbandonare la discussione sulla guerra e la pace, voglio cercare di mostrare che il nostro contributo a tale questione è parte di un potenziale più ampio che la visione morale cattolica assume all’interno della dimensione politica pubblica.

Per una coerente etica complessiva della vita

«La sfida della pace» rappresenta un punto di partenza per sviluppare una coerente etica complessiva della vita, ma non offre un quadro pienamente articolato. L’idea centrale della Lettera è la sacralità della vita umana e la responsabilità che abbiamo, personalmente e a livello della società, di proteggere e preservare la santità della vita.

Proprio perché la vita è sacra, l’uccisione anche di una sola vita umana rappresenta qualcosa di importanza incalcolabile. Più precisamente, la percezione del fatto che ogni vita umana ha un valore trascendente ha condotto tutta una corrente della tradizione cristiana ad affermare che la vita non può mai essere soppressa. Questa posizione è tenuta da un numero crescente di cattolici e si trova riflessa nella Lettera pastorale, ma non ha rappresentato la visione dominante della dottrina cattolica e non è la posizione morale principale presente nella Lettera pastorale. Quello che possiamo trovare in quest’ultima è la tradizionale dottrina cattolica che ci deve sì essere sempre una supposizione contro la soppressione della vita umana, ma che in un mondo limitato e segnato dagli effetti del peccato vi sono alcune eccezioni, strettamente definite, nelle quali la vita può essere soppressa. Questa è la logica morale che ha prodotto l’etica della «guerra giusta» all’interno della teologia cattolica.

Mutamenti di paradigma

Mentre questo modo di pensare mantiene la sua validità come metodo per risolvere casi estremi di conflitto quando sono in gioco diritti fondamentali, negli ultimi trent’anni vi è stato un sensibile spostamento di enfasi nella dottrina e nella pratica pastorale della Chiesa. Per dirla in estrema sintesi, la supposizione contro la soppressione della vita è stata rafforzata e le eccezioni sono state ulteriormente ristrette. Due esempi, uno sul piano dei principi e l’altro su quello della pratica pastorale, possono illustrare a dovere questo spostamento di paradigma.

In un pioneristico articolo, pubblicato nel 1959 su Theological Studies, il gesuita John C. Murray ha dimostrato che Pio XII aveva ridotto la triplice tradizionale giustificazione per l’ingresso in guerra (difesa, recupero della proprietà e punizione) all’unica ragione di difesa degli innocenti e della protezione di quei valori necessari per un’onorevole esistenza umana.

Il secondo esempio riguarda la pena capitale, rispetto alla quale vi è stato un mutamento di pratica pastorale. Senza negare la dottrina tradizionale, fondata nell’opera di Tommaso d’Aquino e altri autori, ossia che lo stato ha il diritto di utilizzare la pena capitale, l’azione dei vescovi cattolici, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II è andata contro l’esercizio di tale diritto da parte dello stato.

L’argomento di fondo avanzato è che vi sono metodi più umani per difendere la società e che tali metodi devono essere utilizzati da parte dello stato. Questa preoccupazione umanistica e umanitaria sta dietro la posizione tenuta dalla Conferenza nazionale dei vescovi statunitensi contro la pena di morte, l’opposizione di alcuni vescovi nei loro paesi contro la rimessa in vigore della pena capitale, e lo straordinario intervento di papa Giovanni Paolo II e dei vescovi della Florida nel tentativo di prevenire un’esecuzione della pena di morte in quello stato la settimana scorsa.

Piuttosto che espandere l’analisi specifica di questo mutamento di paradigma sia a livello dei principi che a quello delle pratiche nel pensiero cattolico, desidererei indagare la motivazione e la logica che sta dietro questo cambiamento, indicando cosa esso ci insegni a riguardo della necessità di una coerente etica complessiva della vita.

La vita e le sue molte fragilità

Fondamentale in questo spostamento di paradigma è una percezione più profonda dei molti modi in cui la vita è oggi minacciata. Ovviamente, questioni come la guerra, l’aggressione ostile e la pena capitale ci accompagnano da secoli e non sono nuove per noi. Quello che è nuovo è ilcontesto in cui sorgono tali questioni antiche e il modo in cui un nuovo contesto plasma ilcontenuto della nostra etica della vita. Vorrei dire qualcosa sulla relazione del contesto della cultura e sul contenuto della nostra etica rispetto a tre snodi fondamentali: 1) la necessità di una coerente etica complessiva della vita; 2) la disposizione necessaria al fine di sostenerla; 3) iprincipi di cui abbiamo bisogno per darle forma.

Benon Lutaaya

Il tratto culturale dominante, presente sia nei conflitti bellici sia nella medicina moderna, che induce una consapevolezza maggiore della fragilità umana è quello legato alle nostre tecnologie. Vivere, come accade a noi, in un’epoca di sbandamento dello sviluppo tecnologico significa trovarsi davanti a una dimensione qualitativa completamente nuova di questioni e problemi morali.

La guerra è sempre stata un pericolo per la vita umana, ma oggi tale pericolo è qualitativamente differente rispetto al passato a causa delle armi nucleari. Oggi minacciamo la vita in una misura inimmaginabile rispetto al passato. Come afferma la Lettera pastorale, i pericoli di una guerra nucleare ci insegnano a leggere il libro della Genesi con occhi diversi. Dal sorgere della vita fino al suo declino, una tecnologia che si espande rapidamente apre nuove opportunità di cura e attenzione, ma rappresenta anche la possibilità di nuove minacce contro la santità della vita.

La sfida tecnologica è una preoccupazione complessiva di papa Giovanni Paolo II, espressa nella sua prima enciclica Redemptor hominis e affermata nuovamente solo un mese fa nel suo discorso alla Pontificia accademia per la scienza in cui chiamava gli scienziati a orientare il loro lavoro verso la promozione della vita e non nella creazione di strumenti di morte. La questione essenziale nella sfida tecnologica è la seguente: in un’epoca in cui possiamo fare praticamente qualsiasi cosa come decidiamo ciò che dovremmo fare? Ancora più radicalmente: in un tempo in cui tecnologicamente possiamo fare tutto come decidiamo moralmente quello che non dovremmo mai fare?

Complessità e moralità

Porre queste domande lungo tutto l’arco della vita, dal grembo alla tomba, genera la necessità di una coerente etica complessiva della vita, poiché lo spettro della vita passa attraverso le questioni della genetica, dell’aborto, della pena capitale, delle forme moderne di conflitto armato e della cura per i malati terminali. Nessuna singola risposta da sé è in grado di risolverle tutte. Il mio intento è quello di illustrare il modo in cui noi ci troviamo di fronte a nuove sfide tecnologiche in ciascuna di queste aree. Questo intreccio di sfide è ciò che esige una coerente complessiva etica della vita.

Tale etica dovrà essere sapientemente affinata e strutturata con cura sulla base di valori, principi, regole e applicazioni a casi specifici. Non è mia intenzione oggi, né tantomeno ricade nelle mie competenze come vescovo, di definire tutti i dettagli di questa coerente etica complessiva della vita. A ciò sono chiamati filosofi e poeti, teologi e informatici, scienziati e strateghi, leader politici e semplici cittadini. Tuttavia, vorrei sottolineare una questione fondamentale: il bisogno di una disposizione o un’atmosfera all’interno della società è la condizione previa per dare forma e sostenere una coerente etica della vita. Lo sviluppo di tale atmosfera è una delle preoccupazioni principali del programma «Rispetto della vita» varato dai vescovi americani.

Intendiamo la nostra opposizione all’aborto e la nostra opposizione alla guerra nucleare come applicazioni specifiche di questa più ampia disposizione. Ci siamo anche espressi contro la pena di morte perché non riteniamo che il suo uso coltivi una disposizione di rispetto per la vita all’interno della società. Lo scopo di proporre una coerente etica complessiva è quello di affermare che la riuscita in ogni singola questione che minaccia la vita richiede una preoccupazione per una più ampia disposizione nella società per ciò che concerne il rispetto della vita umana.

Disposizione di fondo e principi morali

La disposizione di fondo è, certo, il luogo in cui radicare un’etica complessiva della vita, ma da ultimo nell’etica si tratta di principi che guidano le azioni dei singoli e delle istituzioni. È quindi necessario delineare in maniera fondata, quantomeno in via esemplificativa, la mia affermazione dell’esistenza di una relazione interna tra diverse questioni non solo sul piano di una disposizione generale, ma anche più specificamente su quello dei principi morali. Due esempi possono aiutare a illustrare il nodo della questione.

Il primo lo possiamo trovare nella lettera pastorale «La sfida della pace» e consiste nella connessione esistente tra la dottrina cattolica sulla guerra e quella sull’aborto. Entrambe devono certo essere viste nell’ottica di una disposizione di rispetto per la vita. Il nesso più esplicito è basato sul principio che vieta l’uccisione intenzionale di una vita innocente. Tale principio sta al cuore della dottrina cattolica sull’aborto: è a motivo del fatto che il feto è giudicato essere umano e, al tempo stesso, di non essere un aggressore che la dottrina cattolica giunge alla conclusione che un attacco diretto alla vita fetale è sempre un’azione sbagliata. Questo è anche il motivo per cui insistiamo che si deve dare protezione legale ai non ancora nati.

Lo stesso principio sostiene la conclusione più stringente, vincolante e radicale della Lettera pastorale: attacchi intenzionali diretti contro aree civili sono sempre azioni sbagliate. I vescovi cercano di rimarcare la forza di tale conclusione specificando le sue implicazioni in due modi: primo, tali attacchi sarebbero sbagliati anche se le nostre città fossero colpite per prime; secondo, ogni persona a cui si chiede di eseguire tali attacchi dovrebbe rifiutare l’ordine ricevuto. Questi due ampliamenti del principio si inseriscono direttamente nel dibattito politico sulla strategia nucleare e sulle decisioni personali dei cittadini. Per James Reston ciò rappresenta «una sorprendente sfida al potere dello stato».

Progetto artistico

L’uso di questo principio esemplifica il significato di una coerente etica complessiva della vita. Il principio che struttura tutti e due i casi, guerra e aborto, deve essere sostenuto in entrambi gli ambiti. Non può essere sostenuto da un lato e simultaneamente messo in questione ed eroso dall’altro. Quando si porta questo principio nel dibattito pubblico odierno, tuttavia, si incontra un’opposizione significativa proveniente da ambiti diversi dello spettro politico e ideologico.

Coerentemente, ovunque e sempre

Alcuni colgono chiaramente l’applicazione del principio per quanto riguarda l’aborto, ma affermano che i vescovi abbiano oltrepassato l’ambito di loro competenza quando lo applicano a scelte che riguardano la sicurezza nazionale. Altri comprendono la forza del principio quando si tratta del dibattito sulle strategie di difesa, ma ritengono che la sua applicazione all’aborto rappresenti una violazione dello spazio di scelta personale. Da parte mia sostengo che pertinenza e attuazione del principio dipende dalla coerenza complessiva della sua applicazione.

La questione della coerenza complessiva è verificata in diversi modi quando prendiamo in esame le questioni del «diritto alla vita» e della «qualità della vita». Devo ammettere che la relazione tra queste due categorie è compresa in maniera non adeguata all’interno della stessa comunità cattolica. Quello che intendo dire, è che la posizione cattolica sull’aborto chiede, a noi e alla società, di cercare di instillare un’etica sociale di profilo molto alto.

Se si afferma, come facciamo, che il diritto di ogni feto a essere fatto nascere dovrebbe essere protetto dal diritto civile e supportato dal consenso sociale, allora le nostre responsabilità morali, politiche ed economiche non si arrestano al momento della nascita. Quelli che difendono il diritto alla vita dei più deboli tra noi devono essere altrettanto visibilmente impegnati nel supporto della qualità della vita dei più fragili tra noi: l’anziano e il giovane, l’affamato e il senza tetto, l’immigrante senza permesso e il disoccupato.

Questo atteggiamento a favore della qualità della vita si traduce in posizioni politiche ed economiche specifiche per quanto concerne le pratiche fiscali, la creazione di posti di lavoro, le politiche sociali, i programmi pubblici alimentari e la sanità. Coerenza complessiva significa che non si può essere ambivalenti in materia. Non possiamo insistere su una società compassionevole e su una vigorosa politica pubblica che proteggano la vita non nata e affermare, allo stesso tempo, che questa compassione e i programmi pubblici a favore dei bisognosi erodono la fibra morale della società o ricadono al di fuori dello compito proprio della responsabilità di governo.

Etica della vita e politiche di governo

Diritto alla vita e qualità della vita sono reciprocamente complementari nelle politiche sociali nazionali. Lo sono anche per ciò che concerne la politica estera. «La sfida della pace» lega la questione su come si possa prevenire una guerra nucleare a quella su come costruiamo la pace in un mondo interdipendente. Oggi, coloro che sono ammirevolmente preoccupati di ribaltare la corsa agli armamenti nucleari devono essere anche coloro che si impegnano per una positiva politica statunitense a favore della costruzione della pace.

È questo legame che ha condotto i vescovi statunitensi non solo ad opporsi alla spinta della corsa agli armamenti nucleari, ma anche a prendere posizione contro la dinamica della politica statunitense in America Centrale che si basa prevalentemente sulla minaccia e sull’uso della forza, e che si sta allontanando sempre di più da ogni riguardo per i diritti umani in El Salvador – non riuscendo a comprendere l’opportunità di una soluzione diplomatica del conflitto centro-americano.

Martiri SJ El Salvador

Il rapporto interno allo spettro delle questioni riguardanti la vita è molto più intricato di quanto io possa avere qui abbozzato. Ho posto la questione nei termini generali di una conferenza; il bilanciamento dettagliato, la connessione e distinzione tra aspetti diversi di una coerente etica della vita, è esattamente quello che questa conferenza chiede all’università di indagare. Anche se lascio a voi questa sfida, permettetemi di aggiungere un paio di riflessioni sul compito di comunicare una complessiva e coerente etica della vita all’interno di una società pluralista.

Etica cattolica ed ethos americano

Per essere efficace una coerente e complessiva etica della vita deve essere praticata da una circoscrizione di cittadini. La costruzione di tale circoscrizione è esattamente il compito davanti al quale si trovano la Chiesa e la nazione. In questo, vi sono due sfide distinte ma complementari tra loro.

Dovremmo iniziare con l’onesto riconoscimento che la configurazione del consenso tra i cattolici sullo spettro delle questioni inerenti alla vita è ben lungi dall’essere fatto compiuto. Su tali questioni abbiamo bisogno di un dialogo che sia simile a quello che la Lettera pastorale ha aperto in materia nucleare. Abbiamo bisogno dello stesso scambio intellettuale, dello stesso livello di coinvolgimento dei preti, dei religiosi e dei laici, della stessa prolungata attenzione da parte della stampa cattolica.

Non c’è luogo migliore per cominciare che usare i guadagni conseguiti dalla Lettera pastorale. Invertire la corsa agli armamenti, evitare la guerra nucleare, avanzare verso un mondo liberato dalla minaccia nucleare, sono tutti aspetti profondamente a favore della vita (pro-life). La Chiesa cattolica è vista oggi come un’istituzione e una comunità impegnata a favore di questi compiti. Non dovremmo perdere il momento propizio: esso offre un solido fondamento per mettere in rapporto le nostre preoccupazioni sulla guerra e sulla pace con altre questioni a favore della vita (pro-life). Quello che ci sta davanti coinvolge le nostre idee e le nostre istituzioni; il nostro programma deve essere sia formativo sia politico, e richiede attenzione sia al modo in cui tali molteplici questioni sono definite nel dibattito pubblico, sia a come esse vengono decise nel corso del processo politico.

Condividere visioni e persuasioni

Alla configurazione del consenso nella Chiesa si deve aggiungere il compito più ampio di condividere la nostra visione con la società più ampia. Qui ci troviamo davanti a due questioni: la sostanza della nostra posizione e lo stile della nostra presenza nel dibattito politico.

La sostanza della posizione cattolica in materia di una coerente etica della vita è radicata in una visione religiosa. Ma la popolazione statunitense è radicalmente pluralista in materia di convinzioni morali e religiose. Quindi ci troviamo davanti alla sfida di affermare il nostro argomento, il cui profilo dipende dalla nostra fede e dalle nostre persuasioni religiose, in termini non religiosi che altri di fede diversa potrebbero trovare moralmente persuasivi. Ancora una volta, il dibattito sulla guerra e sulla pace dovrebbe essere un modello utile. Infatti, abbiamo ricevuto il supporto di persone e gruppi che non condividono la fede cattolica ma che hanno trovato persuasiva la nostra analisi morale.

Nello scambio politico pubblico sostanza e stile sono strettamente correlati tra loro. Le questioni della guerra, dell’aborto, della pena capitale, hanno una componente emozionale e spesso creano divisione. Nel momento in cui cerchiamo di dare forma e condividere la visione di una coerente etica complessiva della vita suggerirei uno stile guidato dalla seguente regola: dovremmo custodire e articolare chiaramente le nostre persuasioni religiose mantenendo, al tempo stesso, quella che chiamerei una cortesia civile verso tutti. Dovremmo affermare con vigore il nostro argomento ed essere attenti ad ascoltare quello degli altri. Dovremmo mettere alla prova la logica di tutti e ciascuno, ma non mettere in dubbio i loro motivi.

La proposta che ho abbozzato oggi è una sfida multidimensionale. Deriva dall’esperienza che ho fatto nel dibattito sulla guerra e sulla pace e dal compito che si prospetta davanti a me come presidente del Comitato «Pro-Life». Ma nasce anche dalla persuasione che oggi vi è una nuova apertura nella società verso il ruolo dell’argomentazione morale e della visione morale nella sfera dei nostri affari pubblici.

Dico questo anche se trovo che molti aspetti maggiori della nostra politica nazionale ed estera necessitano drastici cambiamenti. Realizzare questi cambiamenti è la sfida di una coerente etica complessiva della vita. Questa sfida merita l’impegno delle nostre migliori energie, delle risorse e dell’impegno come Chiesa.