Compimento del trittico profetico e mistico della santa, il Liber divinorum operum scritto nel decennio 1163-1174 completa il Liber vitae meritorume Scivias, ai quali va aggiunta la Symphonia harmoniae caelestium revelationum. Ma l’opera di Ildegarda è vastissima e si articola dall’enciclopedia (Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum) agli alfabeti artificiali (Lingua Ignota per hominem simplicem Hildegardem prolata), dal teatro sacro (Ordo virtutum) a un esteso Epistolario che è specchio acuto della vita politica e religiosa del XII secolo.
Il Libro delle opere divine inscena un’imponente galleria di visioni, un arsenale figurativo che rinnova l’immaginario europeo, vivifica la tradizione del testo miniato con tavole di purpurea e dorata plenitudine che fondano l’arte d’Occidente (basterebbe pensare al magnifico Ms. 1942 della Biblioteca Statale di Lucca, della prima metà del secolo XIII: cfr. l’illustrazione in questa pagina).
L’uomo è già – come si vede nella figura – umbilicus mundi, centro dei rapporti che collegano tutta la creazione al disegno divino, perfetta corrispondenza di microcosmo a macrocosmo: «Come l’ombelico è il punto di forza di tutte le viscere che gli aderiscono, e la circonferenza della Terra è il ricettacolo di tutte le altre creature, così tutte le azioni del corpo e dell’anima, sia buone che cattive, riguardano l’anima» (Capitoli della quarta visione della prima parte, LXXVI).
Similmente: «La Terra è resa stabile con le pietre e con gli alberi, e l’uomo è stato fatto in maniera analoga; perché la sua carne è come la terra e le sue ossa prive del succo del midollo sono simili a pietre, mentre le ossa che contengono il midollo sono come alberi. Per questa ragione l’uomo edifica la sua dimora in conformità alla propria natura, con la terra, le pietre e il legno» (Quarta visione della prima parte, LXXXII). E appena oltre: «L’essere umano siede infatti sul trono della terra e comanda a tutto il creato, che ad esso obbedisce ed è sottomesso; ed è superiore a tutte le creature» (ivi, C).
Non c’è bisogno dunque di attendere l’Umanesimo per ritrovare l’uomo al centro del creato e delle cure divine: perfezione e promessa, poiché le visioni non sono che anticipazioni di una “edificazione” armonica nella plenitudine: «Infatti i princìpi e le finalità dei misteri di cui si è parlato, le loro azioni e i loro significati, hanno un unico scopo, l’educazione dell’uomo […]; tutto ciò che la scienza di Dio indica come conveniente alla salvezza dell’anima lo portano a effetto per la sua edificazione» (Seconda visione della prima parte, XXIX).
Sorge già ora – come poi in Dante – la contemplazione della «magnificenza di Dio» che si compiace nelle opere del proprio amore: «Poiché la magnificenza della sua carità è, nell’eccellenza e nello sfolgorare dei suoi doni, tale da trascendere ogni capacità di comprensione della scienza umana» (Prima visione della prima parte, III).