I piccoli migranti vittime di trafficanti e criminali. Sguardi derubati

(Antonio Maria Vegliò) «Ogni bambino che nasce e che cresce in ogni parte del mondo è segno diagnostico, che ci permette di verificare lo stato di salute della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra nazione» ha affermato Papa Francesco celebrando la messa a Betlemme il 25 maggio scorso durante il pellegrinaggio in Terra santa.

Negli ultimi dieci anni, la presenza dei minori non accompagnati negli spostamenti umani è diventata un fattore comune delle migrazioni economiche e forzate a livello mondiale. Questi bambini soli rappresentano sempre più una componente costante dei nuovi gruppi di persone particolarmente vulnerabili in mobilità. Aumenta di anno in anno il numero di quanti varcano i confini. Sono bambini migranti fragili e indifesi, poiché non vi è nessuno che si prenda cura di loro. Viaggiano per mesi da soli via mare, oppure più spesso e con meno clamore via terra, attraversando città e deserti, con il rischio di diventare preda di gruppi armati che li vogliono arruolare per farne bambini soldato, oppure di cadere vittime di reti criminose che regolano il narcotraffico o il traffico di persone e di subire violenze e abusi di ogni sorta. Questi bambini non sono accompagnati dai loro genitori o da adulti di riferimento, perché questi sono deceduti a causa della guerra o perché, non potendo partire, mandano i figli all’estero per motivi di sicurezza o di estrema povertà.

Per mezzo delle commissioni specifiche delle Conferenze episcopali locali, ma anche tramite altre organizzazioni di carattere ecclesiale e sociale — come avviene per esempio nei Paesi del Centro America e in Europa — la Chiesa è presente alle frontiere per assistere sia i migranti e le loro famiglie, sia i bambini migranti non accompagnati, con una particolare attenzione alle vittime del traffico e dei rifugiati. Essa inoltre ha un ruolo sempre più importante nel dare informazioni e orientamenti, come pure nel denunciare le violazioni dei diritti umani. Vi è pertanto sempre maggior bisogno di interazione tra la Chiesa e le istituzioni civili nel campo delle politiche migratorie.

Spesso l’azione degli organismi ecclesiali è l’unica risposta che i migranti ricevono, con programmi di accoglienza, di inserimento e di integrazione nelle società di arrivo. Negli ultimi anni, la Conferenza episcopale statunitense e quella messicana hanno unito le loro forze per sostenere una campagna di riforma comprensiva delle politiche migratorie che incoraggia un piano d’azione per la pastorale dei migranti. Tale campagna sollecita le istituzioni a varare una riforma che rispetti la dignità umana e dia una visione legislativa olistica del fenomeno migratorio.

In ogni parte del mondo sono forti e costanti gli appelli dei vescovi. C’è bisogno di interagire maggiormente con le istituzioni e di influenzare le loro politiche migratorie per accostarsi con un atteggiamento più sensibile e più umano anche alle condizioni di vulnerabilità dei minori migranti non accompagnati.

La scorsa estate, in una Dichiarazione congiunta sulla crisi dei bambini migranti, i vescovi di Stati Uniti, Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras si sono detti «profondamente commossi per le sofferenze di migliaia di bambini e adolescenti che dal Centro America sono arrivati negli Stati Uniti, dove si trovano detenuti in attesa di essere deportati». Dall’ottobre 2013 a oggi sono più di 60.000 i bambini giunti alle frontiere degli Stati Uniti in modo irregolare, senza l’accompagnamento di un adulto. Vengono rinchiusi in luoghi di detenzione in condizioni rischiose e inaccettabili per il benessere psichico e fisico dei minorenni. Una volta in detenzione i bambini hanno il diritto di essere assistiti da un legale, se hanno denaro per pagarlo o se ne trovano uno disposto a farlo gratis. Ma questa è un’impresa impossibile perché sono senza famiglia, senza mezzi e non conoscono la lingua inglese.

Nella Dichiarazione i vescovi hanno anche chiesto che venga riconosciuto a questo fenomeno il carattere di «crisi umanitaria» perché si tratta di un’emergenza che riguarda l’intero continente americano. A fronte di questa crisi umanitaria, il Papa — nel messaggio inviato ai partecipanti al colloquio Messico – Santa Sede su mobilità umana e sviluppo svoltosi nella capitale messicana lo scorso 14 luglio — ha richiamato l’attenzione sulle decine di migliaia di bambini che emigrano soli «in condizioni estreme, in cerca di una speranza che la maggior parte delle volte risulta vana. Essi aumentano di giorno in giorno. Tale emergenza umanitaria richiede, come primo, urgente intervento, che questi minori siano accolti e protetti. Tali misure, tuttavia, non saranno sufficienti ove non siano accompagnate da politiche di informazione circa i pericoli di un tale viaggio e, soprattutto, di promozione dello sviluppo nei loro Paesi di origine».

«Purtroppo — ha ricordato il Pontefice a Betlemme — in questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie della grandi città o nelle zone rurali. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo».

Ci sono reti di trafficanti che concentrano la loro attività proprio sui minorenni migranti irregolari non accompagnati. Sono loro le vittime privilegiate dei traghettatori del mare, ma anche deglismugglers di terra, che dall’approdo in Sicilia li smistano fino in nord Europa. Alcuni di questi bambini, per esempio, rischiano anche di diventare apolidi, altri diventano “invisibili” perché viaggiano nell’ombra e vengono portati a destinazione o sfruttati e resi schiavi nel lavoro in nero, incanalati nella malavita, smistati nello spaccio o sfruttati nelle reti criminose della prostituzione.

La particolare condizione di vulnerabilità di questi bambini migranti non accompagnati richiede una nuova forma di protezione e una urgente attenzione da parte della comunità internazionale nel rispetto della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989, che stabilisce per tutti i minori il principio di non discriminazione, il principio di non respingimento e il principio del superiore interesse del bambino in tutte le decisioni che lo riguardano, prevedendo anche un’ampia serie di diritti tra cui il diritto alla protezione, alla salute, all’istruzione, all’unità familiare, alla tutela dallo sfruttamento. Questi piccoli migranti soli, che provengono da Paesi dell’Africa (regione sub-sahariana, Eritrea, Somalia, Sudan) e del Medio oriente (Afghanistan, Siria, Pakistan, Bangladesh), raggiungono le coste europee dopo un vero calvario. Il loro viaggio è già un trauma e la detenzione non può rappresentare un’opzione e un’ulteriore sofferenza da patire. Arrivano con traumi fisici, tra cui ustioni, colpi di sole, ipotermia, infezioni respiratorie e gastroenteriche acute, disidratazione (tra le patologie più comuni), ma altrettanto gravi sono i traumi psichici (stress da sradicamento, perdita dei familiari, abuso) che se non curati possono segnare per sempre la loro vita.

Questi bambini si trovano a dover fare scelte più grandi di loro e hanno perciò bisogno di trovare sicurezza e spazi di ascolto per ripercorrere il loro viaggio e ricollegarsi al presente, in modo da ricominciare a vivere una dimensione in cui sia possibile una progettualità. Alcuni di loro arrivano talmente traumatizzati da riuscire a ricordare il proprio nome solo dopo alcuni mesi. Dietro di loro si celano storie di violenza, di abbandono, di povertà e di grande solitudine. Troppo spesso la prima accoglienza è gestita in modo emergenziale, priva di un sistema organizzativo nazionale ed europeo. I minori vengono allora ospitati in strutture sovraffollate e inadeguate, a volte in promiscuità con gli adulti, in attesa di essere trasferiti altrove e di iniziare un percorso di integrazione. L’attesa può durare mesi.

Quando si parla della vita di bambini non si può parlare solo di numeri. Quanti di noi hanno avuto occasione di incontrare alcuni di questi piccoli non possono dimenticare i loro sguardi derubati dei legami, degli affetti e dell’innocenza.

Diverse associazioni caritatevoli, Chiese e conventi hanno aperto le loro porte per offrire percorsi di integrazione a questi piccoli. Sono state poi promosse iniziative di solidarietà per l’accoglienza dei bambini migranti non accompagnati e centinaia di famiglie, da sud a nord dell’Italia, con altrettanta generosità e senso di grande civiltà si sono offerte di ospitarli nelle proprie case.

Papa Francesco ricorda a ciascuno di noi che i piccoli sono «segno di speranza, segno di vita» per capire lo stato di salute del mondo. Perché «quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano».
L’Osservatore Romano, 7 dicembre 2014