Fondazione Moressa. La fuga dei giovani costa 16 miliardi di euro

L’Italia registra il tasso di occupazione più basso d’Europa nella fascia 25-29 anni (54,6%, contro una media Ue del 75%). Dai lavoratori immigrati il 9% del Pil

La fuga dei giovani costa 16 miliardi di euro

Da Avvenire

Crollano le nascite e aumentano gli anziani, sempre più giovani cercano fortuna all’estero. Al tempo stesso, da un decennio abbiamo chiuso le porte agli immigrati regolari, nell’illusione che i disoccupati italiani possano svolgere le professioni manuali. Dimenticando che gli oltre cinque milioni di stranieri residenti oggi in Italia rappresentano una forza vitale per il nostro Paese. Sono questi alcuni degli elementi chiave del IX Rapporto annuale sull’economia dell’Immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa, presentato oggi a Roma. 

Il costo della fuga dei giovani
Secondo le elaborazioni della Fondazione su dati Istat, da circa un decennio l’Italia è tornata ad essere terra di emigrazione: in dieci anni abbiamo perso quasi 500mila italiani (saldo tra partenze e rientri di connazionali). Tra questi, quasi 250 mila giovani (15-34 anni). Considerando le caratteristiche lavorative dei giovani in Italia, possiamo stimare che questa “fuga” ci sia costata 16 miliardi di euro (oltre un punto percentuale di Pil): è infatti questo il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se occupati nel nostro Paese. 

Il gap tra giovani italiani ed europei
Tra le cause di questo esodo vi sono sicuramente le (scarse) opportunità occupazionali che l’Italia offre ai propri giovani. L’Italia registra il tasso di occupazione più basso d’Europa nella fascia 25-29 anni (54,6%, contro una media Ue del 75%). Il tasso di disoccupazione italiano (19,7%) è il terzo più alto dopo Grecia e Spagna, dieci punti oltre la media europea (9,2%). Nella stessa fascia d’età, anche il tasso di Neet (chi non
studia e non lavora) è il più alto d’Europa: 30,9%, media Ue 17,1%. Inoltre, il livello d’istruzione dei nostri giovani è molto basso: tra i 25 e i 29 anni solo il 27,6% è laureato, quasi 12 punti in meno rispetto alla media europea. 

Il declino demografico dell’Italia
Secondo il rapporto in Italia si fanno pochi figli (mediamente 1,32 per donna) e il saldo tra nati e morti è negativo da oltre 25 anni. Quindi calano i giovani e aumentano gli anziani: l’Istat prevede che nel 2038 gli over 65 saranno un terzo della popolazione (31,3%). Ciò determinerà squilibri economici e finanziari, dato che proporzionalmente diminuiscono i lavoratori e aumentano i pensionati. 

Identikit degli immigrati in Italia
La presenza straniera nel nostro Paese è stabile negli ultimi anni, con 5,2 milioni di stranieri residenti a fine 2018 (8,7% della popolazione). Il saldo migratorio rimane positivo (+245mila), anche se la composizione dei nuovi arrivi è molto diversa rispetto al passato: prevalgono i ricongiungimenti familiari, si stabilizzano gli arrivi per motivi umanitari, mentre sono quasi nulli gli ingressi per lavoro. Vi è, complessivamente, una lieve prevalenza di donne (52%) e una netta dominanza di paesi dell’Est Europa (oltre il 45% del totale). Le prime nazionalità (23% Romania, 8,4% Albania, 8% Marocco) evidenziano che la maggior parte degli immigrati è qui da oltre dieci anni. 

Il “valore” dell’immigrazione
Nel 2018 i lavoratori stranieri sono 2,5 milioni, pari al 10,6% degli occupati totali. La ricchezza prodotta da questi lavoratori è stimabile in 139 miliardi di euro, pari al 9% del Pil. Gli occupati stranieri si concentrano nelle professioni non qualificate (33,3%), mentre solo il 7,6% svolge mansioni qualificate (il restante 60% si divide quasi equamente tra operai/artigiani e commercianti / impiegati). Il contributo economico dell’immigrazione è inoltre dato da oltre 700mila imprenditori nati all’estero (9,4% del totale) e, a livello fiscale, da 2,3 milioni di contribuenti. Da essi provengono un gettito Irpef di 3,5 miliardi di euro (su un ammontare di 27,4 miliardi di redditi dichiarati) e 13,9 miliardi di contributi previdenziali.