Comunione ed evoluzione

Casistiche. Equilibrismi. Aspetto di leggerne il testo per intero (sono poche pagine, ma non le ho trovate su Internet), però a un primo approccio questo annunciato sussidio della Conferenza episcopale marchigiana per “spiegare” a fedeli e sacerdoti le nuove tendenze della pastorale verso i divorziati risposati, secondo le direttive di Amoris laetitia, mi lascia perplesso e diffidente. Non per le indicazioni in esso contenute – con le quali concordo – ma per l’approccio: che mi appare il solito “dentro e fuori” del clericalismo, il barcamenarsi tra le parole per non dire chiaro e netto di aver cambiato idea.

Secondo le sintesi finora disponibili, infatti, il documento nel concreto sostiene che nelle coppie di credenti divorziati e risposati «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione» di lasciarsi oppure di convivere senza avere rapporti intimi («come fratelli e sorelle», si diceva per definire le caratteristiche finora indicate come indispensabili per ricevere l’eucaristia), per cui resta loro «aperta la possibilità di accedere al sacramento della Riconciliazione»; e quindi alla comunione. E quali sono questi fattori? Sempre dal documento: «I figli da educare o altre importanti ragioni», come l’impossibilità di rispettare l’impegno a vivere la continenza reciproca, per esempio «per la mancata collaborazione dell’altro» o comunque «per il grave danno che deriverebbero ad alcuni beni, quale quello dei figli».

Ma – cari fratelli miei vescovi – secondo voi, quale delle coppie di credenti risposati e sinceramente desiderosi di ricevere la comunione non corrisponderebbe a tali requisiti di massima? A vostro parere i coniugi che conservano l’anelito spirituale, spesso pressante, ad accostarsi all’eucaristia, non possederebbero già di per sé lo scrupolo morale necessario per esaminarsi profondamente sulla loro motivazione, chiedere perdono per la loro condizione, affidarsi insomma con tutta sincerità alla comprensione e alla misericordia del Padre?!? In sostanza: non era meglio dire bello chiaro che la decisione viene lasciata alla coscienza «rettamente formata», certo, ma anche e alla fine insindacabile, dei singoli – o magari in questo caso delle coppie??

No, istintivamente non mi piace questo cambiare prassi facendo però finta che tutto resti uguale a prima; meglio e più onesto, a mio parere, ammettere che si è mutato orientamento, che le nuove condizioni sociali e una diversa prospettiva pastorale hanno indotto a pratiche differenti rispetto al passato (che non si rinnega, perché comunque va compreso nelle caratteristiche dell’epoca), che insomma l’applicazione del Vangelo non solo permette ma richiede nel tempo affinamenti possibili e persino necessari.

E invece no, si preferiscono equilibrismi logici e verbali per non ammettere una cosa semplice: la Chiesa non è quel tutto monolitico e immutabile che ci hanno insegnato a pensare, dal dogma della Trinità al colore delle vesti dei chierichetti; la Chiesa può cambiare idea – e in effetti l’ha fatto infinite volte nella sua storia. Pur benintenzionati (la solita giustificazione di “non scandalizzare i buoni fedeli”, che altrimenti “non capirebbero” l’evoluzione), documenti del genere perpetuano invece un’idea molto clericale della comunità cristiana, nella quale sono i vertici a stabilire di volta in volta cosa “va bene” e cosa no, senza che i credenti stessi alla fine capiscano quanto sta avvenendo e col pericolo che davvero restino disorientati.

Comodo avere qualcuno che dall’alto faccia credere che le cose stanno in un certo modo, fisse per sempre, immutabili, “sicure”. Ma meglio, molto meglio, mettere le carte in tavola ed educare al senso critico e alle conseguenti scelte responsabili e autonome. Per esempio, e per tornare al caso in questione, facendo capire come forse l’eucaristia non è tanto o solo o soprattutto quell’inarrivabile e purissima realtà che meritano soltanto i “degni”, così come una lettura assai storicamente determinata dal concilio di Trento in poi ci ha subdolamente instillato, ma un pane del cammino da assumere per fare comunione tra fratelli. Così come siamo.

vinonuovo.it