Comunione e «presenza reale». La messa (come qualunque altro rito sacro) esprime «realtà» nel senso di verità originaria dell’essere, quello dell’uomo e quello di Dio

Il rito «è un atto reale, poiché è sacro». Torno a quest’affermazione di Eliade (per l’intellettuale rumeno «reale» significa «originale», relativo cioè all’essenza dell’uomo e del mondo, quella espressa ab origine e corrispondente dunque alla sua vera natura) in quanto permette di collegarsi alla riflessione con cui vorrei concludere questo breve ciclo sull’antropologia della messa: l’idea di comunione e di «presenza reale».

E’ evidente anzitutto che la liturgia cattolica – in quanto cena o pasto comune – reca in sé una trasparente allusione alla comunità: coloro che mangiano insieme infatti sono uniti, costituiscono un gruppo, creano la ecclesia(assemblea). E non c’è nemmeno bisogno di scomodare la teologia: si tratta di un significato ancestrale molto semplice e immediato, che di per sé non necessita dell’aggiunta di alcun sovrasenso sacramentale per essere compreso; non è cioè indispensabile – sempre antropologicamente parlando – che quel pane e quel vino rappresentino o addirittura siano la divinità, affinché coloro che se ne cibano percepiscano di essere un corpo solo. La liturgia cattolica ha assunto tale orizzonte mentale usandolo per i propri scopi simbolici.

Tuttavia, per dirla con Eliade, ogni rito – in quanto sacro e richiamantesi all’essenza delle cose – permette anche di raggiungere quella «realtà» che appartiene solo al divino; perciò non solo comunità con gli uomini, ma anche unità con il dio. Pure la «presenza reale», dogmaticamente affermata nell’eucaristia, troverebbe dunque un corrispettivo “naturale” già nelle strutture costitutive dell’uomo: la messa (come qualunque altro rito sacro) esprime «realtà» nel senso di verità originaria dell’essere, quello dell’uomo e quello di Dio.

Concludendo: non possiamo esimerci dal considerare che la liturgia cattolica si inscrive nel solco della ritualità e dunque porta con sé una stratificazione di significati che prescindono dal suo contenuto teologico, a volte li assumono per trasfigurarli e portarli oltre il loro ambito consueto, altre volte li contraddicono o li negano. In ogni caso, con essi bisogna fare i conti: tanto più quando sono inconsci o comunque risultano ormai lontani dalla nostra cultura e dunque non vengono più raccolti dalla nostra comprensione esplicita.

Essi però esistono, e agiscono silenziosamente sulla nostra percezione. I famosi «semina Verbi», che anche secondo il Concilio sono sparsi in tutte le religioni e le culture, si manifestano pure nelle strutture costitutive dell’uomo, nei suoi sistemi simbolici, nei suoi miti e riti… La messa – persino la più sciapa e loffia – li attiva nei fedeli che vi partecipano, in modo diverso ma al di là dei suoi contenuti razionali e del grado di consapevolezza dei presenti.

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