Cogne. Annamaria Franzoni torna libera: dimenticatemi. Un pensiero di pietà per Samuele

da Avvenire

I carabinieri del Ris di Parma nella casa dove fu ucciso il piccolo Samuele a Cogne (Ansa)

I carabinieri del Ris di Parma nella casa dove fu ucciso il piccolo Samuele a Cogne (Ansa)

Accadde proprio in questi giorni dell’anno. A Cogne c’era la neve. Era il pomeriggio del 30 gennaio 2002 quando sugli schermi delle redazioni le agenzie cominciarono a scrivere che un bambino di tre anni era stato trovato moribondo in casa sua a Montroz, frazione del paese valdostano. 17 feroci colpi alla testa, con un’arma che non fu mai trovata.

La madre era uscita quel mattino solo i pochi minuti necessari per portare l’altro figlio allo scuolabus. Ma gli inquirenti non trovarono tracce di presenze di altri, nella villetta. Per settimane Annamaria Franzoni nei talk show si proclamò innocente di un delitto che sconvolse il Paese. Innocentisti e colpevolisti. I primi dicevano: non è possibile, una madre non può fare una cosa simile e poi negarla, o dimenticare. Gli altri ribattevano: in quei pochi minuti, non può essere stato nessun altro.

Trent’anni in primo grado, sedici in secondo. Per i giudici l’imputata era capace, quel giorno, di intendere. Lei ha sempre continuato a dirsi innocente. Da oggi è ufficialmente in libertà. Il suo avvocato chiede che sulla sua vicenda scenda l’oblio. Il sindaco di Cogne ha detto che il suo paese “si è già lasciato indietro da tanto tempo quella storia”.

Terribile storia, che comprensibilmente fra quelle montagne si vuole scordare. Resta però indimenticabile il delitto di Cogne, a chi ne scrisse, a chi lesse, a chi vide Anna Maria Franzoni in tv proclamarsi tenacemente innocente. (Quei minuti che non sarebbero bastati a nessuno per uccidere e sparire, quelle tracce che non c’erano, sulla neve immacolata. C’era perfino chi scriveva ai giornali affermando: è stato il Demonio, in persona).

Una madre può uccidere, negli anni seguenti tragedie del genere si sono ripetute, spesso a causa di depressioni post partum. Ma, poi, quelle donne venivano trovate inebetite, distrutte accanto al figlio morto. La Franzoni, invece, così certa della sua verità. Chi la guardava in tv la trovava forse troppo calma, troppo padrona di sé, perfino troppo curata, per essere una donna straziata dall’assassinio di un figlio. Un noto psichiatra, consulente dell’accusa, scrisse di lei dopo averla incontrata: “Mancano adeguate capacità di controllo delle pulsioni aggressive. Il controllo della realtà e’ assente, se non in contesti molto semplici e non ansiogeni”.

Uno stato depressivo, una nevrosi isterica? La Franzoni rifiutò altre perizie psichiatriche.

Per mesi i media, e gli italiani, discussero del pigiama insanguinato, del malore mattutino della madre, dell’arma introvabile. La morte di Samuele era tragicamente vera, ma si finì col parlarne quasi come di un giallo, di una fiction di cui si attendeva l’ultima puntata in tv. Eppure, nel profondo, molti furono davvero sconvolti da Cogne. Da – sembra la sola ipotesi possibile – quella esplosione di violenza contro un figlio di tre anni: che cercò, con le manine, di difendersi dai colpi. E da quella amnesia, se autentica, assoluta. Con cui la Franzoni pareva quasi difendere più la propria immagine di sé con se stessa, che la sua figura davanti agli altri. Come se il ricordo, emergendo, potesse distruggerla.

Ora è libera, per la giustizia ha pagato. Continua a dirsi innocente. Dimenticatemi, chiede attraverso l’avvocato, ed è umanamente comprensibile. “Ci siamo lasciati alle spalle quella storia”, dice il sindaco del paese. Oblio, tutto alle spalle.

Almeno però un pensiero di pietà per Samuele, che oggi avrebbe vent’anni. Per quel bambino che la sera prima si era addormentato sereno e fiducioso, forse abbracciato a un peluche, accanto al suo papà e alla sua mamma.