Alle vere sorgenti della pace e della speranza.

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L’attualità dell’insegnamento di san Gregorio Magno

02 settembre 2020

Il 3 settembre la Chiesa celebra la memoria liturgica di san Gregorio Magno. Al grande Pontefice e dottore della Chiesa, Benedetto XVI ha dedicato due catechesi durante le udienze generali del 28 maggio e del 4 giugno 2008. Di questi testi pubblichiamo di seguito alcuni passi.

Vorrei presentare la figura di uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa, uno dei quattro dottori dell’Occidente, il Papa san Gregorio, che fu Vescovo di Roma tra il 590 e il 604, e che meritò dalla tradizione il titolo di Magnus/Grande. Gregorio fu veramente un grande Papa e un grande Dottore della Chiesa! Nacque a Roma, intorno al 540, da una ricca famiglia patrizia della gens Anicia, che si distingueva non solo per la nobiltà del sangue, ma anche per l’attaccamento alla fede cristiana e per i servizi resi alla Sede Apostolica (…).

Gregorio entrò presto nella carriera amministrativa, che aveva seguito anche il padre, e nel 572 ne raggiunse il culmine, divenendo prefetto della città. Questa mansione, complicata dalla tristezza dei tempi, gli consentì di applicarsi su vasto raggio ad ogni genere di problemi amministrativi, traendone lumi per i futuri compiti (…). Questa vita tuttavia non lo doveva soddisfare se, non molto dopo, decise di lasciare ogni carica civile, per ritirarsi nella sua casa ed iniziare la vita di monaco, trasformando la casa di famiglia nel monastero di Sant’Andrea al Celio (…).

Ma il ritiro claustrale di Gregorio non durò a lungo. La preziosa esperienza maturata nell’amministrazione civile in un periodo carico di gravi problemi, i rapporti avuti in questo ufficio con i bizantini, l’universale stima che si era acquistata, indussero Papa Pelagio a nominarlo diacono e ad inviarlo a Costantinopoli quale suo “apocrisario”, oggi si direbbe “Nunzio Apostolico”, per favorire il superamento degli ultimi strascichi della controversia monofisita e soprattutto per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di contenere la pressione longobarda (…). Dopo alcuni anni fu richiamato a Roma dal Papa, che lo nominò suo segretario. Erano anni difficili: le continue piogge, lo straripare dei fiumi, la carestia affliggevano molte zone d’Italia e la stessa Roma. Alla fine scoppiò anche la peste, che fece numerose vittime, tra le quali anche il Papa Pelagio ii. Il clero, il popolo e il senato furono unanimi nello scegliere quale suo successore sulla Sede di Pietro proprio lui, Gregorio. Egli cercò di resistere, tentando anche la fuga, ma non ci fu nulla da fare: alla fine dovette cedere. Era l’anno 590 (…).

Tra i problemi che affliggevano in quel tempo l’Italia e Roma ve n’era uno di particolare rilievo in ambito sia civile che ecclesiale: la questione longobarda. Ad essa il Papa dedicò ogni energia possibile in vista di una soluzione veramente pacificatrice (…). Si preoccupò della conversione dei giovani popoli e del nuovo assetto civile dell’Europa: i Visigoti della Spagna, i Franchi, i Sassoni, gli immigrati in Britannia ed i Longobardi, furono i destinatari privilegiati della sua missione evangelizzatrice (…).

Accanto all’azione meramente spirituale e pastorale, Papa Gregorio si rese attivo protagonista anche di una multiforme attività sociale. Con le rendite del cospicuo patrimonio che la Sede romana possedeva in Italia, specialmente in Sicilia, comprò e distribuì grano, soccorse chi era nel bisogno, aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, pagò riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi, comperò armistizi e tregue. Inoltre svolse sia a Roma che in altre parti d’Italia un’attenta opera di riordino amministrativo, impartendo precise istruzioni affinché i beni della Chiesa, utili alla sua sussistenza e alla sua opera evangelizzatrice nel mondo, fossero gestiti con assoluta rettitudine e secondo le regole della giustizia e della misericordia (…).

Nonostante le condizioni difficilissime in cui si trovò ad operare, riuscì a conquistarsi, grazie alla santità della vita e alla ricca umanità, la fiducia dei fedeli, conseguendo per il suo tempo e per il futuro risultati veramente grandiosi. Era un uomo immerso in Dio: il desiderio di Dio era sempre vivo nel fondo della sua anima e proprio per questo egli era sempre molto vicino al prossimo, ai bisogni della gente del suo tempo. In un tempo disastroso, anzi disperato, seppe creare pace e dare speranza. Quest’uomo di Dio ci mostra dove sono le vere sorgenti della pace, da dove viene la vera speranza e diventa così una guida anche per noi oggi (…).

Dobbiamo anzitutto notare che, nei suoi scritti, Gregorio non si mostra mai preoccupato di delineare una “sua” dottrina, una sua originalità. Piuttosto, egli intende farsi eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vuole semplicemente essere la bocca di Cristo e della sua Chiesa sul cammino che si deve percorrere per giungere a Dio. Esemplari sono a questo proposito i suoi commenti esegetici. Egli fu un appassionato lettore della Bibbia, a cui si accostò con intendimenti non semplicemente speculativi: dalla Sacra Scrittura, egli pensava, il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo. Nelle Omelie su Ezechiele, ad esempio, egli insiste fortemente su questa funzione del testo sacro: avvicinare la Scrittura semplicemente per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell’eresia (…). L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro (…).

Questo discorso Gregorio lo sviluppa anche nel Commento morale a Giobbe (…). L’ideale morale, egli commenta, consiste sempre nel realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai doveri del proprio stato: è questa la strada per realizzare quella sintesi grazie a cui il divino discende nell’uomo e l’uomo si eleva fino alla immedesimazione con Dio. Il grande Papa traccia così per l’autentico credente un completo progetto di vita (…).

Significativa è pure l’altra opera, i Dialoghi, in cui all’amico e diacono Pietro, convinto che i costumi fossero ormai così corrotti da non consentire il sorgere di santi come nei tempi passati, Gregorio dimostra il contrario: la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili. Egli lo prova narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, che ben potevano essere qualificate sante, anche se non canonizzate. La narrazione è accompagnata da riflessioni teologiche e mistiche che fanno del libro un testo agiografico singolare, capace di affascinare intere generazioni di lettori.

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