I principali appuntamenti dell’anno pastorale nell’Agenda Diocesana

A cura dell’Ufficio Liturgico mettiamo a disposizione l’Agenda Diocesana 2019/20; si tratta dei principali appuntamenti diocesani che caratterizzeranno questo anno pastorale.
Dalla legenda iniziale, sono stati contrasseganti con colori differenti i momenti in cui sarà presente il Vescovo Massimo, quelli riguardanti gli uffici pastorali, gli ingressi dei nuovi parroci, e, ultimo, altri appuntamenti che non rientrano nelle precedenti tre categorie.

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Un ringraziamento particolare a chi ha prestato tempo, energie e pensiero a questo prezioso lavoro.

Allegati

laliberta.info

STUDI Formazione: ufficiale il protocollo d’intesa tra Unimore e Istituto superiore di scienze religiose dell’Emilia

Diventa ufficiale il protocollo d’intesa tra l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (Unimore) e l’Istituto superiore di scienze religiose dell’Emilia (Issre) per attività didattiche, di studio e ricerca, dopo l’ultima approvazione del Consiglio di Facoltà della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, a cui è collegato l’Issre, istituzione accademica ecclesiastica promossa dalle diocesi emiliane (Modena-Nonantola, Carpi, Reggio Emilia-Guastalla, Parma, Fidenza e Piacenza-Bobbio) con sede a Modena e polo formativo a Parma, che rilascia i titoli di laurea triennale in Scienze religiose e laurea magistrale in Scienze religiose.
L’impegno di Unimore nell’attivare una politica sistematica di collaborazione tra il mondo accademico e le realtà del territorio per raccordare le attività formative con le esigenze del mondo produttivo ha intercettato l’attenzione dell’Issre di affrontare lo studio della teologia e delle scienze religiose in maniera dialogica con le scienze umane, in particolare con il campo dell’educazione, dell’istruzione, dell’educazione valoriale, del sapere storico, dei beni culturali, della conoscenza storico-artistica.
Alla conferenza stampa di domani, giovedì 19 settembre, alle ore 9, nel salone d’onore dell’arcivescovado, saranno presenti mons. Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, il direttore dell’Issre, Fabrizio Rinaldi, e Vincenzo Pacillo, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Unimore.

agensir

New York. Onu, i ragazzi cambiano clima. Greta: siamo inarrestabili

Climate Action Summit, con i delegati di 63 Paesi. Parlerà anche l’attivista svedese Greta (assente Trump), che sabato a New York è stata l’anima dell’incontro dei giovani per il clima

Greta con i dimostranti a New York (Lapresse)

Greta con i dimostranti a New York (Lapresse)

«Noi giovani siamo inarrestabili». Compita ma per niente intimorita, a dispetto dei suoi 16 anni, Greta Thunberg, ha espugnato l’Onu con il “Youth climate summit”. E da quel palcoscenico mondiale ha lanciato il suoi messaggio: è ora di agire, è giunto il tempo della responsabilità. «Milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto giovani, hanno marciato e chiesto vere azioni sul clima. Abbiamo mostrato che siamo uniti», ha detto la ragazzina svedese diventata il volto del movimento ambientalista. «Spero sia un successo, voglio ringraziare il segretario generale per aver organizzato questo evento e aver invitato così tanti giovani attivisti», ha proseguito, anticipando che parlerà anche nella sala dell’Assemblea Generale, lunedì, per il Climate Action Summit.

Sembra proprio che la staffetta sia passata a chi è venuto al mondo in questo millennio. Accanto a Greta, nello storico incontro al Palazzo di Vetro di New York, erano presenti nuove leve da tutto il mondo, compresa la rappresentante italiana dei “Friday for Future” Federica Gasbarro. Una vera e propria “onda” di volti nuovi e di incredibile energia incanalata in una giornata densa di idee, ma soprattutto di determinazione a prendere in mano la difficile sfida di spingere le potenze mondiali ad agire legislativamente.

avvenire

Senza telefonino si può stare. “Connessi” o “sconnessi” non è il vero problema

Molti genitori mi chiedono come devono comportarsi coi loro figli quando li vedono sempre collegati in Rete. Hanno paura che si trasformino in Hikikomori, i ragazzi chiusi in camera giorno e notte da soli di fronte al computer: tragedie vere e proprie sulle quali non si può scherzare. Forse anche per reagire a questi casi estremi stanno fiorendo esperimenti di sconnessioni temporali che alcuni giudicano necessari, altri reputano dannosi. Il tema è più complesso di quel che appare: bastasse un precetto per capire cosa fare, sarebbe tutto semplice. Ecco perché a mio avviso la questione non si può ridurre al dilemma: cellulare sì, cellulare no; andare sui monti o non togliersi mai gli auricolari. Dipende dai casi, dai contesti, dalle situazioni. Dalle fasi dell’esistenza. Dai caratteri, dalle sensibilità, dai momenti della vita, dagli ambienti. Dalle storie che abbiamo alle spalle.

Certo non dovremmo mai disertare la relazione personale, l’incontro diretto. Se non tocchiamo con mano, se non andiamo all’appuntamento, se rinunciamo alla verifica concreta, finiremo per relegare noi stessi e gli altri a una dimensione virtuale. È tuttavia indubbio che credere di trovare la felicità limitandoci a camminare a piedi nudi sui prati, liberi dalle mail che quotidianamente ci assediano, potrebbe risultare altrettanto illusorio.

La rivoluzione digitale ha cambiato il pensiero della realtà. Cose grosse che chiamano in causa il modo di leggere, di percepire il paesaggio, di concepire gli affetti. Troppo facile credere di cavarsela lasciando a casa lo smartphone. Questo non vuol dire che il tempo della disconnessione non possa risultare utile: ad esempio, sarebbe simpatico e istruttivo mostrare a un bambino cresciuto sugli schermi com’era la vita al tempo in cui il telefono restava attaccato alla parete, non te lo portavi dietro ed esistevano apposite cabine sulla strada dove si poteva chiamare chiunque sì, a patto di usare speciali gettoni color rame spezzati da una linea in mezzo.

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Che mondo, ragazzi! Non saremo più gli stessi di un tempo, d’accordo, ma non rinunceremo al desiderio di essere migliori, qui e ora, non chissà quando e dove. Prendiamo gli strumenti che abbiamo a disposizione, apprezziamoli ma forgiamoli secondo i nostri valori. Non diventiamo schiavi del nuovo sistema, proviamo a dominarlo, senza immaginare che ciò possa davvero accadere. Ripristiniamo le gerarchie culturali nel grande mare informatico e, soprattutto, rifondiamo l’esperienza. L’uso delle nuove tecnologie può essere rischioso in due sensi: credere che l’informazione coincida con la conoscenza e pensare alla libertà come al superamento del limite. Al contrario, se vuoi approfondire un argomento devi impegnarti e studiare, verificando le fonti senza imboccare troppe scorciatoie: in questo senso nulla è cambiato. Inoltre, se commetti un danno, devi risarcire la vittima. Tirare il sasso e nascondere la mano, lo sappiamo, è la moda che oggi i social consentono di praticare. Si tratta di un fondale fangoso in cui annaspano in tanti.

Tutto ciò andrebbe spiegato ai più giovani non in modo teorico e neppure sperimentale. Con loro dovremmo fare dei patti, stabilendo insieme le condizioni per rispettarli. Ciò che conta nel rapporto educativo è l’ingranaggio scoperto, non il trucco o, peggio ancora, l’inganno, anche se fosse a fin di bene.

Connessi o sconnessi: magari fosse soltanto questo il problema! Dobbiamo capire prima cosa significa vivere con consapevolezza questa nostra finitudine, l’unica che abbiamo.

Avvenire

Cellulari ai ragazzi? Perché sì. Senza web e telefonino oggi non si può stare

S’è concluso da pochi giorni sulle Alpi bellunesi un esperimento che raccoglie unanimi consensi, ma che a me invece pare sbagliato. Sono stati radunati in un rifugio della valle agordina, all’altezza di duemila metri, una decina di giovani, provenienti da Italia, Romania, Inghilterra, Slovacchia, metà ragazzi e metà ragazze, col compito di stare insieme cinque giorni, spesati, senza mai usare telefonino, ipad, computer. Insomma, scollegandosi dal mondo. Ce l’han fatta, come quasi tutti i 429 liceali a emiliani di Vignola, che si sottoposero alla prova per tre giorni nel marzo di quest’anno. Coro di elogi, oggi più di ieri. Si dice che si sono ripuliti il cervello. Adesso i dieci ripeteranno l’esperimento a casa un giorno alla settimana. Secondo me, quell’esperienza è un errore.

A me è capitato di trovarmi all’estero, senza media a disposizione, e dunque di ignorare cosa succedeva nella mia patria, per un paio di settimane, ed è stato quando succedeva la strage di Capaci. Ero in Tunisia, ho saputo tutto al rientro, dalla radio della navetta dell’aeroporto. M’è sembrato come se la mia patria fosse stata in guerra, e io mi fossi trovato imboscato, da disertore. Il popolo a cui appartenevo pativa un lutto devastante, ma io non lo sentivo per ignoranza. Ero estraneo al mio popolo. Una settimana senza connessione è una settimana separata dagli altri e dal mondo, una settimana da naufraghi sperduti in un’isola deserta. Il telefonino va usato sapendolo usare, è sbagliato non usarlo e non saperlo usare.

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Nel corso della giornata, e tanto più della settimana, non puoi stare senza telefonino o senza giornale, è come stare separato dal mondo. Il mondo lavora per tutti e dunque anche per te, tu devi raccogliere i risultati del suo lavoro, se non leggi i giornali o non usi il telefonino non raccogli quei risultati, è come se il mondo lavorasse per gli altri ma non per te. È quel che è successo a questi dieci ragazzi europei riuniti in un rifugio delle Alpi bellunesi, che tra l’altro hanno già di per sé una pessima connessione. Per loro in quei giorni il mondo e l’umanità si son fermati. La Storia non ha camminato. Noi siamo immersi nel fiume della Storia, che scorrendo ci porta avanti con sé. Quei ragazzi sono usciti dal fiume e son rimasti a riva, immobili. Adesso, tornati a casa e riaccesi telefonini e computer, è come se rientrassero nel fiume, ma la corrente che han perso non la recuperano più. Sì, lo so, il telefonino a scuola è dannoso, perché il ragazzo sta con metà cervello attenta a quel che dice il professore, e l’altra metà attenta al cellulare in tasca, che non vibri. L’ho detto altre volte e lo ripeto qui: il telefonino a scuola andrebbe consegnato o spento prima delle lezioni. Ma pretendere che venga lasciato a casa chiuso in un cassetto dal lunedì al sabato è un abuso.

C’è un ragazzo dalla Slovacchia, uno dalla Romania e uno dall’Inghilterra tra i dieci radunati sulle Alpi bellunesi. In quei giorni non potevano parlare con amici né consultare siti d’informazione. Si creano i nuovi europei, così? I nuovi occidentali? No, i nuovi qualunquisti. Disinformati e indifferenti. Ecco perché trovo dannoso e pericoloso l’esperimento bellunese, e spero che non prenda piede.

avvenire

Il Papa alla stampa cattolica: voce della coscienza del giornalismo

I richiami di Francesco ricevendo una delegazione di giornalisti Ucsi: “Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie”. “Liberi di fronte all’audience. Smascherate parole false e distruttive”

Il Papa alla stampa cattolica: voce della coscienza del giornalismo

Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una ‘parresia’ del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante”. Lo ha sottolineato il Papa ricevendo l’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana nel suo 60° anniversario.

“Per rinnovare la vostra sintonia con il magistero della Chiesa – ha sollecitato Francesco -, vi esorto a essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal malele scelte umane da quelle disumane. Perché oggi c’è una mescolanza lì che non si distingue, voi dovete aiutare in questo”. Questo significa, ha proseguito, “anche essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: ‘sì, sì’, ‘no, no’, perché il di più viene dal maligno”.

Per il Papa, “la comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere”.

“Quante volte il giornalista vuol andare su questa strada, ma ha dietro di sé una direzione editoriale che dice ‘no, questo non si pubblica, questo sì, questo no, e si passa tutta quella verità nell’alambicco delle convenienze finanziarie della direzione editoriale. E finisci comunicando quello che non è vero, che non è bello e che non è buono”, ha sottolineato il Pontefice a braccio. “Da molti vostri predecessori – ha quindi ricordato papa Francesco – avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario. Possiate dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive“.

Secondo papa Francesco, “nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle. Porto spesso questo esempio: una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano. Qualcosa non funziona”.

Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha – ha aggiunto il Papa -; di raccontare le ‘buone notizie’ che generano amicizia sociale, non raccontare favole, no, ma buon notizie reali; di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi”. 

“Vi ringrazio perché già vi sforzate di lavorare per questo, anche con documenti come la Laudato sì, che non è un’enciclica ecologica, ma sociale, e promuove un nuovo modello di sviluppo umano integrale: voi cooperate a farlo diventare cultura condivisa, in alternativa a sistemi nei quali si è costretti a ridurre tutto al consumo”, ha concluso.


L’ALTRO DISCORSO AI DIPENDENTI DEL DICASTERO DELLA COMUNICAZIONE

“Passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo”. È questo, per il Papa, il segreto di una comunicazione “autenticamente cristiana”. Nel discorso a braccio rivolo ai membri del Dicastero per la comunicazione, Francesco ha denunciato come la “cultura” dell’aggettivo “è entrata nella Chiesa, e noi tutti dimentichiamo di essere fratelli”. “La vostra comunicazione sia austera, ma bella”, l’antidoto proposto dal Papa, secondo il quale “la bellezza non è rococò, si manifesta a se stessa, dà se stessa il sostantivo”.

IL TESTO INTEGRALE

Essere comunicatori cristiani, in questa prospettiva, significa “comunicare con la testimonianzacomunicare coinvolgendosi nella comunicazione, comunicare con i sostantivi, le cose, comunicare da martiri, cioè da testimoni di Cristo. Imparare il linguaggio dei martiri e degli apostoli”. Francesco ha pronunciato inoltre un “no” alla “rassegnazione che tante volte entra nel cuore dei cristiani: vediamo il mondo in modo pagano”. “L’aria di mondanità non è una cosa nuova del XXI secolo, c’è sempre questo stato pericolo”, ha spiegato il Papa mettendo in guardia ancora una volta da questa “tentazione”. “Non avere vergogna di essere pochi, non avere paura del futuro della Chiesa”, l’invito: “Siamo una chiesa di pochi, come il lievito. La rassegnazione, la sconfitta culturale viene dal cattivo spirito, la lamentela della rassegnazione”. “Siamo pochi si ma con la voglia di ‘missionare’, di fare vedere agli altri chi siamo con la testimonianza”, l’esortazione a non avere paura, sulla scorta di San Francesco, che mandava i suoi frati a predicare dicendo loro: “Predicate il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”.

avvenire