Televisione. Scuola: su Tv2000 una serie per dare voce agli insegnanti

Il ruolo e il valore dell’insegnante sono al centro di “Maestri”, ciclo di sei documentari di Andrea Salvadore sulla scuola primaria in onda su Tv2000 da stasera i venerdì in seconda serata

Un'immagine di “Maestri”, inchiesta in sei puntate di Gabriele Salvadore da stasera su Tv2000

Un’immagine di “Maestri”, inchiesta in sei puntate di Gabriele Salvadore da stasera su Tv2000

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La scuola la fa l’insegnante. Se qualcuno avesse dei dubbi, può ricredersi vedendo da stasera alle 22,50 su Tv2000 la serie Maestri di Andrea Salvadore, sei puntate in onda il venerdì in seconda serata a ruota di un ciclo di film in materia che include Maria Montessori con Paola Cortellesi eIl club degli imperatori con Kevin Kline.

Maestri racconta chi sono oggi gli insegnanti della scuola elementare che forma gli italiani di domani, figure fondamentali a cui spesso non viene riconosciuto il ruolo, l’autorevolezza, il peso simbolico e neppure uno stipendio adeguato. Di sicuro tra gli oltre 283mila maestri, in maggioranza donne, non tutti sono eroi, ma molti di loro si avvicinano ad esserlo.Sicuramente le insegnanti di Genova e di Matera che vedremo stasera. Donne che danno tutto per i ragazzi che gli sono stati affidati, che alla capacità di relazionarsi con loro, di mettersi sullo stesso piano, aggiungono stratagemmi didattici che rendono la scuola un divertimento. Ammettono pure di ritenersi fortunate perché quando entrano in classe stanno bene e non amano l’ultimo giorno di scuola.

Senza anticipare nient’altro, diciamo solo che chi stasera si sintonizzerà su Tv2000 assisterà a testimonianze commoventi e alla dimostrazione che esiste un’Italia del bene, che funziona a dispetto della burocrazia, dove c’è qualcuno che fa molto di più del proprio dovere, che già sarebbe tanto.Bella anche la riflessione di Marco Rossi Doria, esperto di politiche educative, nella rubrica a chiusura della puntata.

Ma la scuola è una realtà complessa, con un ovvio risvolto della medaglia. E su questa complessità ha indagato, mercoledì scorso, una prima serata evento con una presa di posizione netta sin dal titolo: Giù le mani dalla scuola. A firmare lo speciale lo stesso Salvadore con la collaborazione di Fausto Della Ceca e la regia di Paolo Ferrazza, mentre la conduzione è stata affidata a una conduttrice di punta dell’emittente, Paola Saluzzi, affiancata da Enrico Selleri, altro volto noto di Tv2000. Di tutto rispetto il parterre in studio e in collegamento: l’editorialista del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli, la scrittrice Michela Murgia, il direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti, la psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, il fondatore di “Skuola.net” Daniele Grassucci, il preside della scuola professionale “Elis” di Roma Pierluigi Bartolomei, l’attore Giulio Scarpati e la senatrice a vita Liliana Segre.

Tutti insieme, una volta tanto con pacatezza pur senza rinunciare alle proprie idee, hanno dato vita a un dibattito sulla situazione attuale della scuola che, negli ultimi quarant’anni, è andata incontro a un drammatico svuotamento di senso. Una perdita e uno svilimento valoriale e istituzionale che ha investito la figura del docente, la famiglia e soprattutto i suoi protagonisti principali: gli alunni.

L’analisi della crisi della scuola odierna e la necessità di riscoprirne le potenzialità e la bellezza ricorrono spesso anche nel magistero di papa Francesco, che Scarpati ha reso “presente” con la lettura di alcuni discorsi. Un apporto significativo alla riflessione è stato offerto anche dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, con un intervento video nel quale ha invitato a comprendere le difficoltà in cui ora si trova la scuola: «In questo totale cambiamento d’epoca, i ragazzi – ha spiegato – sono molto più fragili perché si sono indebolite le relazioni famigliari. Si è anche impoverito il rapporto relazionale tra di loro. Una volta andavano tutti a giocare in cortile, ora tutti stanno dietro il proprio schermo digitale».

In questo senso nel corso della serata è emersa anche la più che opportuna proposta di prevedere tra le materie scolastiche l’Educazione al virtuale. Bassetti si è inoltre detto preoccupato (lo aveva fatto anche Liliana Segre) dell’esplosione di violenza nelle scuole: «I ragazzi sono spesso aggressivi verso i compagni e persino verso i professori e i presidi. I ragazzi – ha aggiunto – vanno abituati che ognuno può realizzare se stesso soltanto nella misura in cui cammina e si educa con gli altri. Capace di vedere nell’altro un altro se stesso».

Il presidente della Cei ha infine ribadito, volendolo sottolineare con forza, come l’Italia sia « il fanalino di coda dell’Europa anche nella retribuzione degli insegnanti» . In conclusione, Giù le mani dalla scuola e Maestri sono programmi che rendono concrete le parole del direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante, che in occasione della presentazione dei palinsesti della nuova stagione spiegava come l’emittente cattolica lavori «nell’ottica di un servizio pubblico, nell’interesse di tutti i cittadini, con uno stile informativo che si muove su principi di pluralismo, obiettività, completezza, imparzialità e indipendenza». È così che Tv2000 continua a crescere e a svolgere realmente, da emittente privata, un servizio pubblico.

A 29 anni dal delitto, causa di beatificazione. Rosario Livatino, martire di giustizia

Caro direttore,

«I giovani lo raggiunsero e gli spararono. Un attimo prima di morire, quando i giovani gli si avvicinarono, gli chiese: ‘Che cosa vi ho fatto?’. Ma ormai la macchina della morte stava per giungere», così moriva, il 21 settembre 1990, Rosario Angelo Livatino, giudice a latere al Tribunale di Agrigento. Il racconto dei suoi ultimi istanti di vita, con il disperato tentativo di sfuggire agli assassini che lo tallonavano e lo uccisero, è nella confessione di uno dei killer, poi pentitosi, del gruppo di fuoco della Stidda. Un’esecuzione spietata, con la quale si consumò quello che a molti apparve da subito un martirio consumato in odio alla giustizia e alla fede incarnati in quel giovane magistrato, indifeso di fronte alle pistole, ma forte e saldo nei suoi convincimenti morali ed etici, improntati alla fede in Cristo.

Che Livatino fosse un cristiano tutto d’un pezzo è fuor di dubbio. Nella sua agenda del 1978, ad esempio, si legge un’invocazione che suona come consacrazione di una vita intera: «Ho prestato giuramento: sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito esige». E nel 1986, nel corso di una conferenza tenuta a Canicattì, eccolo specificare il rapporto tra fede e giustizia: «La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana; e forse può in esso rinvenirsi un possibile ulteriore significato: la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge».

Dunque Livatino era un giudice per il quale la ricerca e l’applicazione della giustizia non potevano essere disgiunte dalla fede. E pure per questo, probabilmente, fu ammazzato. Ultimata la fase diocesana, si è aperta quella Vaticana per la beatificazione. Sono ancora molte le questioni da chiarire. Le tante testimonianze già raccolte aiutano a definirne la figura e il bagaglio culturale e spirituale e il pentimento dei suoi aguzzini ne conferma il carisma. Però va ulteriormente indagato il contesto in cui l’omicidio maturò, per provare, oltre ogni possibile dubbio, quanto l’odiumfidei fosse radicato nei mandanti e in qualche modo determinò l’eliminazione violenta dell’uomo che già san Giovanni Paolo II, in maniera indiretta, incluse nella categoria dei nuovi martiri, il 9 maggio del 1993, nel giorno che sarebbe passato alla storia come quello dell’anatema contro i mafiosi.

Prima di raggiungere la Valle dei Templi, il Pontefice si fermò in visita agli anziani genitori del giovane giudice. Un incontro di pochi minuti, dal quale scaturì il grido che scosse le coscienze, quel «Convertitevi!» che segnò uno spartiacque nella considerazione del fenomeno mafioso sotto il profilo sociale, culturale e soprattutto ecclesiale. Le parole del Santo Padre hanno segnato l’inizio di un’epoca nuova nel cui cielo brilla la figura di Livatino, che ventinove anni dopo ricorda ai cristiani e non solo a essi, quale sia il vero approdo cui tendere: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».

da Avvenire