Inps, su app e sul web il nuovo servizio CIP

L’Inps mette in campo un nuovo servizio di informazioni riservato ai lavoratori di-pendenti del settore privato, denominato CIP (Consultazione Info Previdenziali), disponibile sia sull’App “Inps mobile” sia sul sito www.inps.it. A CIP si accede con il proprio pin, sia per l’App sia per il sito internet. Il servizio consente di raggiungere una serie di informazioni ulteriori rispetto a quelle presenti nei normali estratti conto dei contributi.
Si tratta di dati e notizie di carattere generale, ma anche personali, che l’interessato può visualizzare all’interno di vari periodi di riferimento. Ad esempio, iniziando dalla denominazione del datore di lavoro, viene riportata la propria categoria di inquadramento contrattuale (dirigente, quadro, impiegato, operaio ecc.), il tipo di rapporto (a tempo indeterminato, a termine, part time ecc.), la retribuzione imponibile ai fini previdenziali. A queste informazioni CIP aggiunge la novità di dati che finora non erano noti all’interessato perché presenti solo nelle denunce del datore di lavoro, come i conguagli effettuati per gli assegni familiari (distinti in arretrati e correnti), gli analoghi conguagli per i permessi e i congedi per la maternità e la paternità che danno diritto ai contributi figurativi, oltre ai conguagli per periodi di malattia utili anche questi per gli accrediti figurativi.
Il servizio CIP, appena avviato, sarà prossimamente sviluppato presentando altre informazioni sul rapporto di lavoro, come le giornate lavorate, le assenze, altri tipi di conguagli effettuati dal datore di lavoro, gli accantonamenti al Fondo di Tesoreria, il contratto collettivo applicato ecc. Un’ulteriore novità, annunciata dall’Inps, sarà la possibilità di segnalare (attraverso un link o un tasto) eventuali discordanze tra le informazioni del CIP e la situazione invece nota al lavoratore, che potrà quindi descrivere sinteticamente le differenze rilevate ed inviarle direttamente all’ufficio competente. Col nuovo servizio l’Inps intende attuare una maggiore pubblicità e trasparenza del suo operato, offrendo agli assicurati una accessibilità totale ai dati e ai documenti che detiene come pubblica amministrazione, insieme ad una partecipazione per la tutela dei propri diritti.
Attualmente CIP non è disponibile per i lavoratori dipendenti del settore agricolo.

Avvenire

Dalle vette delle Dolomiti Maria «veglia» sull’Europa

da Avvenire

Martedì, 13 Agosto 2019

Madonna di Campiglio rilancia la devozione a Nostra Signora d’Europa, sorta nel santuario di Gibilterra. E l’amplifica con un carillon di sette campane, in grado di eseguire – accanto alle tradizionali melodie liturgiche – anche l’Inno alla gioia:la composizione tratta dalla Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven eletta nel 1972 inno d’Europa. «È il regalo di un benefattore – spiega il parroco, don Romeo Zuin – che ha pensato d’impreziosire la nostra chiesa con questa opera d’arte».

Attenzione: questa «nostra chiesa» non è la chiesa parrocchiale della località incorniciata dalle Dolomiti di Brenta, ma il luogo di culto sorto nella sua frazione settentrionale, il Passo Campo Carlo Magno che unisce la Rendena alla Val di Sole. Una chiesa affollata d’estate e nella stagione sciistica, sorta negli anni Novanta come risposta della comunità campigliana all’espansione turistica di questa sua località. Qui, sui prati da cui svettano le Dolomiti patrimonio Unesco, una leggenda di oltre sei secoli vuole che il fondatore del Sacro Romano Impero abbia fatto riposare il suo esercito. Era scaturita da questo mito l’idea di don Ernesto Villa, allora parroco di Campiglio: attingere alla figura di Carlo Magno, primo unificatore del Vecchio Continente nel segno del cristianesimo, per dedicare il nuovo luogo di culto a Nostra Signora d’Europa. Lo consacrò il 5 agosto 2005 l’allora arcivescovo di Trento, Luigi Bressan.

E proprio lunedì della scorsa settimana – nel 15° anniversario dell’evento – don Zuin ha scenograficamente rimosso il drappo che copriva la nuova struttura campanaria temporaneamente esposta all’interno della chiesa. L’assemblea liturgica riunita per la Messa ha così potuto ammirare non solo i sette bronzi realizzati dalla fonderia Grassmayr di Innsbruck in Austria, ma anche i loro ceppi lignei, tutti decorati a pirografo da due artisti lombardi legati al committente. La campana maggiore, dedicata a Nostra Signora d’Europa, reca impresso a fuoco anche “Francesco Sommo Pontefice”, “Lauro Tisi arcivescovo di Trento” e “Romeo Zuin parroco di Madonna di Campiglio”. Le altre sei lasciano invece l’intera scena al santo patrono d’Europa cui ognuna è votata: Benedetto da Norcia, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Cirillo, Metodio, e Teresa Benedetta della Croce. Questa mattina, nell’ambito degli eventi inaugurali, è intervenuto in chiesa Umberto Folena.

«Ci troviamo a parlare dell’Europa dei padri. A fare memoria», ha detto l’editorialista di Avvenire, il cui incontro è stato parte integrante del festival “Mistero dei monti” promosso ogni anno dall’Azienda per il turismo di Campiglio Pinzolo e Val Rendena. Entro la prima mattinata di giovedì, solennità dell’Assunta, le campane scenderanno nella chiesa parrocchiale di Campiglio: lì, alle 17.30, saranno benedette dallo stesso Bressan, invitato per la Messa patronale della comunità. Su “al Campo”, come dicono i campigliani, torneranno però già la mattina successiva.

Per tutto il mese rimarranno in chiesa. A settembre, poi, verranno innalzate sulla sua facciata esterna dalla Sabbadini Campane di Fontanella (Bergamo). Raggiunta la loro collocazione definitiva, scandiranno il mezzogiorno con l’AveMaria di Lourdes e l’Inno alla gioia: una quotidiana e suggestiva preghiera a Nostra Signora d’Europa.


I giovani vogliono adulti testimoni credibili e in ascolto

da Avvenire

Martedì, 13 Agosto 2019

Chi è l’adulto? Participio passato del verbo adolescere, è sinonimo di “cresciuto”: in quasi tutte le culture è apparso desiderabile giungere a una reale maturità, e così il passaggio verso il mondo delle responsabilità è stato ritualizzato in una festa. Invece sono in molti a rilevare come oggi, almeno in Occidente, essenziale sia rimanere o ritornare giovani, se possibile per tutta la vita. A livello antropologico si tratta di una deregulation senza precedenti. Non è più definito che cosa sia proprio di ogni generazione e ciò che ci si debba aspettare dalle diverse età. Ognuno può prendersi il ruolo dell’altro. Le possibilità di ciascuno si moltiplicano, così come una competizione in cui chiunque può rivelarsi avversario. Per il cristianesimo si tratta dell’implosione di un rapporto tra le generazioni apparentemente imprescindibile per la trasmissione della fede: in famiglia e poi in comunità gerarchicamente strutturate i grandi educano i piccoli alla vita, introducendo a un ordine spirituale che si vorrebbe riflesso in quello sociale.

Sebbene in qualche angolo del pianeta sembri funzionare ancora, internet materializza ovunque lo scardinamento di quel modello, connettendo ormai “orizzontalmente” ragazzi e adulti a ogni latitudine, senza distinzione di ruoli e identità. Non deve dunque sorprendere che, in ambito cattolico, persino il Sinodo dei vescovi si orienti a non concepire più i giovani semplicemente come “destinatari” della fede: non c’è semplicemente un messaggio da trasmettere da chi sa a chi non sa, ma un’esigenza continua di convertirsi insieme alla novità del Vangelo. Potremmo allora legittimamente chiederci: i giovani hanno ancora bisogno degli adulti? In che cosa possiamo aiutarli? Come ci interpella questo tempo?

Ci sono questioni che investono la fede stessa in cui i millennials stanno evidentemente facendo da apripista e come da enzimi nel corpo sociale. Intensa, ad esempio, è generalmente la loro sensibilità per la cura della casa comune, nelle sfide che riguardano il rispetto per il creato e la necessità di cambiamento nei nostri comportamenti quotidiani. Durante un incontro sul rapporto tra economia e ambiente, ad esempio, un ragazzino di 12 anni interviene raccontando a tutti che quest’anno in quaresima ha vissuto il digiuno dalla plastica. Alla domanda: «Ma cosa vuol dire?», così risponde: «Ogni sabato vado a fare la spesa con mia mamma e vigilo su come fa gli acquisti, chiedendole con insistenza di limitare la plastica, in modo da scegliere confezioni ecologiche e materiali riciclabili». D’altra parte, gli adolescenti che fanno notare al loro prete come i foglietti della preghiera avrebbero potuto esser stampati fronte-retro e su carta riciclata sono gli stessi che vanno sollecitati con un certo vigore affinché non trasformino in una discarica lo scenario alpino in cui stanno pranzando al sacco. L’adulto, insomma, rimane determinante a strutturare in habitus ciò da cui mente e cuore sono attratti, favorendo e accompagnando il passaggio dall’entusiasmo a convinzioni che muovono poi i comportamenti reali.

Il punto, forse, è riconoscere la circolarità delle sollecitazioni: anche dal più piccolo, sempre più spesso, si è messi in questione e chiamati a crescere ancora. In questo il contesto contemporaneo si dimostra realmente nuovo. Più si trascorre tempo incontrando i ragazzi e i giovani del nostro Paese, più ci si rende conto che verso i loro adulti di riferimento essi costituiscono una costante provocazione al confronto e all’apertura. Dove le gerarchie si sono indebolite e i ruoli sono diventati sempre più interscambiabili, la sostanza delle parole e dei comportamenti è la vera questione. In questo, spazzando via molte formalità, i giovani esercitano a propria volta una propria maieutica, che chiede a chi li ha preceduti di venire nuovamente o maggiormente alla luce. Durante una conferenza sui temi della finanza due adolescenti si stavano dimostrando attentissimi. Erano collaboratori di Radio Immaginaria, un network dei ragazzi. Dialogando con loro a margine dei lavori arrivano importanti domande: «Che cosa possiamo dire ai nostri genitori per convincerli ad essere più consapevoli di come usano il denaro? Come possiamo far capire loro che non possono lamentarsi di un mondo che non funziona, se poi loro stessi con le loro scelte contribuiscono a farlo andare così? Si dice che noi giovani non siamo interessati ai grandi temi, per esempio all’economia e della finanza, ma quanto dipende dal modo in cui ci vengono trasmessi?». Domande a degli adulti, sugli adulti: l’incontro tra generazioni rimane quindi imprescindibile, a condizione che includa l’interlocutore e divenga uno scambio.

In realtà, il cambiamento d’epoca ci riconduce così ai fondamentali dell’educazione. Adulto è chi si assume la responsabilità di ciò che dice e di ciò che fa, del mondo così come è configurato, della sua bellezza e delle sue miserie. Sa di non sapere, riconosce il proprio potere e i suoi limiti: quelli strutturali, ma anche quelli necessari a dare agli altri spazio e respiro. Fragile, limitato, in movimento, l’adulto fa una proposta, si posiziona, si colloca con un carattere proprio nella complessità. È il contrario del bambino che scalpita, si gonfia e grida pretendendo di esser tutto e di ottenere tutto. Non è rigido, perché della realtà conosce le sfumature e l’instabilità: la sua coerenza non è ostentazione di principi, ma duttilità e costanza, partecipazione ai problemi altrui, affidabilità. Di fronte alle domande dei giovani, l’esortazione Christus Vivit (CV) di papa Francesco lancia un appello alla Chiesa che per essere credibile ai loro occhi «a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo. Una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo. Come potrà accogliere così i sogni dei giovani?» (n. 41).

La prima generazione del nuovo millennio non vuole fare a meno o liberarsi di noi adulti, anzi. Il punto è che molte volte non riusciamo a interagire, perché le aspettative reciproche non si incrociano. Vorremmo che fossero pronti ad ascoltare quello che abbiamo da dire e da trasmettere e loro si aspettano, piuttosto, di trovarsi davanti a persone che li comprendano, che li guardino con fiducia e che li sollecitino nelle loro potenzialità e nel superamento di difficoltà e disagi. È capitato durante una lezione con diverse classi di licei e di istituti tecnici di Matera. Ci eravamo preparati, volevamo dare il meglio di noi; abbiamo cercato di arrivare con una presentazione ben fatta e accattivante; rischiavamo di parlare troppo. Fino a quando una insegnante ha chiesto la parola: possiamo mostrarvi quel che abbiamo realizzato noi? I ragazzi hanno cominciato, allora, a condividere la loro preparazione al nostro evento: in modo più originale e innovativo si sono fatti portavoce, gli uni verso gli altri, dei principali messaggi che noi adulti intendevamo trasmettere. E allora, perché chiamare dei relatori? La risposta non ha tardato a venire, con un momento di dialogo insieme ai ragazzi. Domande precise, puntuali, profonde: chiedevano una testimonianza credibile, aiuto, speranza e racconti di vita. «Siamo chiamati a investire sulla loro audacia ed educarli ad assumersi le loro responsabilità» (DF 70): a questo ci richiama il Sinodo. «Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole» (CV230).

Futuro cercasi per la “baita” dei Papi in Val d’Aosta

da Avvenire

Martedì, 13 Agosto 2019

Una nuova vita per quella che è stata la “casa dei Papi” in Valle d’Aosta. È l’obiettivo di un vero e proprio bando di concorso che la Famiglia salesiana, proprietaria dell’intero immobile e del terreno circostante, ha deciso di lanciare in queste settimane. Lo fa rivolgendosi a una agenzia specializzata, il Cpa Service, ma l’intenzione è quella di salvaguardare un pezzo di storia di questa valle e anche della Chiesa. Bisogna risalire a un decennio fa per ritrovare le immagini di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, che scelgono per il loro riposo estivo questo piccolo chalet a Les Combes in Valle d’Aosta.

Per dieci anni, a partire dal 1989, papa Wojtyla decide di passare un periodo di riposo non a Castel Gandolfo, ma nel verde della montagna. E così quella casetta diventa uno scenario conosciuto in tutto il mondo, perché qui si trasferiscono anche gli inviati e i vaticanisti di molte testate per cogliere i momenti di queste vacanze papali – in particolare le lunghe passeggiate negli oltre 13mila metri quadrati attorno all’edificio –, ma anche luogo nel quale viene pubblicamente recitato nel giorno di domenica la preghiera mariana dell’Angelus. Anche Benedetto XVI alcuni anni dopo per due volte tornerà in questa valle. Nel frattempo accanto alla baita “papale” sorge una vera e propria struttura ricettiva per ospitare il seguito pontificio e le forze della sicurezza chiamate a vegliare sulle vacanze del Vescovo di Roma: duemila metri quadrati di edificio che arriva a ospitare fino a 120 persone.

La baita che ospita il Papa permetteva a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI di poter ammirare dalla finestra della camera da letto il Monte Bianco. Una vista mozzafiato. Ora la casa che fungeva da base estiva per il Pontefice è diventata una sorta di museo, mantenendo intatto l’arredamento e la disposizione dei mobili di quei periodi. Ma se per la baita il futuro appare piuttosto delineato, così non è per l’altra struttura, quella che ospitava il seguito. Con il tempo è forse venuto meno la curiosità di salire fino a quella località, per “vedere” e “passeggiare” sui luoghi in cui il Papa veniva a riposare. E mantenere questa struttura appare complesso e costoso. A dispiacere è proprio il mancato utilizzo della struttura, che al contrario potrebbe offrire diverse possibilità di utilizzo.

Proprio da questa considerazione nasce il bando promosso dalla proprietà salesiana e gestita dalla Cpa Service: un concorso per dare idee sul futuro di questa casa. Ovviamente esistono alcuni vincoli ambientali, storici e della Soprintendenza, ma «cerchiamo di raccogliere idee tra giovani architetti, fondazioni, associazioni, startup, persone fisiche, per ripensare un futuro». Si tratta di una «sfida», riconoscono i promotori del bando (o come lo definiscono loro un “open innovation”), che si dicono fiduciosi di poter ricevere quell’idea vincente (si possono mandare proposte presentate in duemila battute entro il 30 ottobre all’indirizzo mail info@cpaservicesrl.com), che magari eviti la messa in vendita della struttura e ne promuova un utilizzo nuovo e innovativo. Anche per ricordare la figura di san Giovanni Paolo II. E l’idea più innovativa sarà quella vincente, che comunque non vincolerà né l’attuale né la futura proprietà. Gli attuali gestori, però, non nascondono la speranza di trovare un progetto che faccia tornare all’antico splendore questo angolo di paradiso in Valle d’Aosta.

Tv. È morta Nadia Toffa dopo una lunga battaglia contro il cancro

da Avvenire

Dopo una lunga battaglia contro il cancro è morta a 40 anni Nadia Toffa, storica conduttrice e inviata de “Le Iene“.

Lo ha annunciato stamattina lo staff della trasmissione tv.

Hai combattuto a testa alta, col sorriso, con dignità e sfoderando tutta la tua forza, fino all’ultimo, fino a oggi“, si legge sulla pagina Facebook de Le Iene.

Sarà don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, a celebrare i funerali di Nadia Toffa, il 16 agosto alle 10,30 nel Duomo di Brescia. Lo ha annunciato lo stesso Patriciello sulla sua pagina Facebook. “Nadia ha voluto che fossi io a celebrare il suo funerale. Mi costa molto, ma vado a Brescia volentieri e con grande riconoscenza. Partirò nel pomeriggio di Ferragosto per trovarmi in chiesa alle 10,30 del 16. Ho il dovere di portarle tutto l’affetto e la gratitudine degli abitanti della “Terra dei fuochi””.

Toffa per anni si è battuta per le popolazioni della Terra dei Fuochi. “Era il 2013”, ricorda su Facebook Patriciello, “e il resto dell’Italia non conosceva ancora il dramma di Terra dei Fuochi, il genocidio che ormai da oltre un decennio colpisce le province di Napoli e Caserta nell’indifferenza delle istituzioni, dei tanti politici e di tutte quelle ‘figure’ che rispetto al problema si sono avvicendate in questi anni. Tante chiacchiere, molte promesse! Tutto in fumo. Nadia Toffa, inviata delle Iene, arrivò con la sua troupe sul nostro territorio, incontrò gli attivisti storici e con i suoi servizi, anche contestati da molti negazionisti che le hanno augurato la morte, accese i riflettori sul nostro dramma”.

Don Maurizio Patriciello e Nadia Toffa

Don Maurizio Patriciello e Nadia Toffa

“In questi anni – conclude il sacerdote – Nadia Toffa non ha mai abbandonato il popolo campano, e durante le sue interviste il suo sorriso solare e rassicurante si spegneva solo di fronte al dolore degli intervistati. Sapeva sostenere, essere vicina a chi soffriva, a chi aveva subito il torto più grande per un essere umano. Quel che è veramente cambiato, è che oggi Nadia non c’è più lasciandoci sgomenti, mentre la Terra dei Fuochi brucia ancora, brucia sempre, brucia di più. Continua a toglierci il respiro e la vita”.

La camera ardente è stata allestita al teatro Santa Chiara – Mina Mezzadri di Brescia, in contrada Santa Chiara 50.

Nata a Brescia nel 1979 e laureata in lettere a Firenze, le prime apparizioni sul piccolo schermo sono arrivate all’età di 23 anni in due reti locali: prima ha debuttato su Telesanterno, in Emilia-Romagna, poi il passaggio a Retebrescia, dove ha lavorato per quattro anni. Il grande salto a “Le Iene” è arrivato nel 2009, con numerosi servizi e inchieste su truffe farmaceutiche, smaltimento illegale di rifiuti e gioco d’azzardo. Proprio sul fenomeno dell’azzardopatia, nel 2014 ha fatto uscire il suo primo libro dal titolo “Quando il gioco si fa duro”. Un altro importante traguardo per Nadia Toffaè costituito dalla vittoria del “Premio Luchetta”, che si è che si èaggiudicato insieme a Marco Fubini, a giugno 2018: a valerle il premio è stato un servizio incentrato sulla prostituzione minorile nella periferia barese.

A stravolgere la vita dell’inviata è un malore nel dicembre del 2017 che l’ha costretta a una pausa dal lavoro. Al suo ritorno in tv, due mesi più tardi, ha rivelato la natura della sua malattia: “Ho avuto un cancro”. Poche settimane dopo, Nadia Toffa ha pubblicato un libro dal titolo “Fiorire d’inverno” in cui ha raccontato la propria esperienza alle prese con la malattia “Vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, una opportunità” così si presentava il racconto. In particolare la parola “dono” associata alla malattia ha scatenato una serie di polemiche e prese di distanza. La giornalista è stata accusata di aver semplificato un argomento troppo delicato.

Dopo l’uscita del libro, Nadia Toffa aveva continuato a pubblicare sui canali social gli aggiornamenti sulla sua salute, sui cicli di chemioterapia e sugli impegni in tv con “Le Iene“, stavolta nel ruolo di conduttrice. “Sono come mi vedete, sono me stessa” si descriveva nella sua bio di Instagram.

Innumerevoli i messaggi di cordoglio per la morte di Nadia. Tra tutti, ricordiamo quello del presidente Sergio Mattarella, che si dichara “colpito dalla prematura scomparsa” e “ricorda la vivacità e simpatia del suo impegno di giornalista e il coraggio con cui ha affrontato la malattia”.

Trasforma un kalashnikov in uno strumento musicale per dire “no alla guerra”

repubblica.it

(Francesco Consiglio) A Bagdad un uomo ha realizzato un particolare liuto unendo un Ak-47 a una scatola di munizioni. Anni fa in Colombia l’artistaCésar López aveva creato le escopetarra per opporsi alla cultura della violenza. Esiste nel mondo un simbolo di guerra più conosciuto del kalashnikov? Un musicista cinquantenne iracheno ha pensato di trasformare il fucile d’assalto sovietico Ak-47 da strumento di morte a strumento di pace. L’uomo che ha realizzato questo particolare liuto è Majed Abdennour, un insegnante che vive a Bagdad

San Massimiliano Maria (Rajmund) Kolbe Sacerdote francescano, martire 14 agosto

Zduńska Wola, Polonia, 8 gennaio 1894 – Auschwitz, Polonia, 14 agosto 1941

Massimiliano Maria Kolbe nasce nel 1894 a Zdunska-Wola, in Polonia. Entra nell’ordine dei francescani e, mentre l’Europa si avvia a un secondo conflitto mondiale, svolge un intenso apostolato missionario in Europa e in Asia. Ammalato di tubercolosi, Kolbe dà vita al «Cavaliere dell’Immacolata», periodico che raggiunge in una decina d’anni una tiratura di milioni di copie. Nel 1941 è deportato ad Auschwitz. Qui è destinato ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Nel campo di sterminio Kolbe offre la sua vita di sacerdote in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. Muore pronunciando «Ave Maria». Sono le sue ultime parole, è il 14 agosto 1941. Giovanni Paolo II lo ha chiamato «patrono del nostro difficile secolo». La sua figura si pone al crocevia dei problemi emergenti del nostro tempo: la fame, la pace tra i popoli, la riconciliazione, il bisogno di dare senso alla vita e alla morte.

Etimologia: Massimiliano = composto di Massimo e Emiliano (dal latino)

Emblema: Palma
Martirologio Romano: Memoria di san Massimiliano Maria (Raimondo) Kolbe, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e martire, che, fondatore della Milizia di Maria Immacolata, fu deportato in diversi luoghi di prigionia e, giunto infine nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia, si consegnò ai carnefici al posto di un compagno di prigionia, offrendo il suo ministero come olocausto di carità e modello di fedeltà a Dio e agli uomini.