Un #Meeting2019 a Rimini a misura di bambini e ragazzi

comunicato stampa

XL EDIZIONE

MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI

Nacque il tuo nome da ciò che fissavi

18-24 AGOSTO 2019 – FIERA DI RIMINI

Un Meeting a misura di bambini e ragazzi

Rimini, 13 ago.2019 – Anche quest’anno il Meeting pensa ai più piccoli con il Villaggio Ragazzi: 3000 metri quadrati interamente dedicati ai bambini e ai ragazzi da 1 a 12 anni, con mostre, spettacoli e laboratori e con l’obiettivo di accogliere i più piccoli, aiutandoli ad entrare pienamente nel tema del Meeting proposto ai grandi.

«Gli incontri, le mostre, gli spettacoli, i libri proposti sono parte integrante del Meeting, di esso ne condividono gli intenti, ne partecipano della proposta, ne respirano la tensione», spiega uno degli ideatori del Villaggio, Luigi Ballerini, psicoanalista e scrittore di libri per ragazzi. «Il Villaggio Ragazzi parte da una stima verso i più giovani – riconosciuti come ricchi di domande, di questioni, di slanci e desideri – e dalla volontà di consentire loro di fare una vera esperienza del Meeting. Se i partecipanti sono piccoli, la proposta pensata per loro ha l’ambizione di essere grande, mai scontata e banale, mai puro intrattenimento senza contenuti».

Il programma 2019 del Villaggio ragazzi propone due mostre: “Le inaspettate vie di Hoghwarts, luci e ombre dei personaggi della saga di Harry Potter”, dedicata all’amicizia fra i personaggi della celeberrima saga, e “Scopriamo il mondo con gli occhi di Leonardo”: una spettacolare videoproiezione a cura di Anna Gibellato, storica dell’arte e guida turistica, per esplorare il genio di Leonardo (dai 7 anni), con visite guidate, sia in italiano sia in inglese.

Lo spettacolo quotidiano del Villaggio è ispirato alla poesia di Karol Wojtyla “Il nome”, da cui è tratto anche il titolo del Meeting 2019 “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi” Non mancheranno poi gli appuntamenti e i personaggi tradizionali del Villaggio come il simpatico Capobanda, tra i protagonisti del teatro, o il magico spettacolo con le bolle di sapone. Ogni giorno, decine di laboratori artistici, di matematica, scienze, scrittura, lettura, balli di gruppo, giochi da tavolo, per ogni età, e la Libreria dei ragazzi. Quest’anno al Villaggio si potrà anche giocare con Harry Potter e andare a caccia di Horcrux.

Ogni giorno alle 21, il Villaggio proporrà uno spettacolo serale. Il 18 agosto andrà in scena “Stai tranquilla, tanto andrà tutto malissimo. Federico Fellini, un uomo grande come un bambino” con disegni dal vivo, in scena Pietro Grava e Anna Formaggio, regia di padre Marco Finco, proposto dal Centro Culturale Rosetum, e liberamente tratto dal libro di Andrea Pallucchini “Il mio nome è Federico Fellini”. Il 19 agosto FinalMente Scienza presenta lo spettacolo scientifico interattivo “Magia v/s Scienza”, con Stefano Rossi e Alessio Meneghelli, in un coinvolgente susseguirsi di esperimenti di chimica, fisica ed illusioni ottiche. Adatto a tutte le età, dai 6 ai 99 anni. Il 20 agosto il Teatro laboratorio Brescia presenta lo spettacolo animato “DIABOU N’DAO Fiabe africane” di e con Anna Teotti, regia di Sergio Mascherpa. Il 21 agosto andrà in scena “Emanuela e il lupo”, spettacolo di Livio Valenti, con Eleonora Angioletti e Livio Valenti, proposto da Teatro Nata. Il 22 agosto sarà la volta di un classico “I tre porcellini”. Lo spettacolo di Tiziano Feola e Benedetto Zenone è proposto dal Centro Culturale I guardiani dell’oca. In scena i pupazzi di Ada Mirabassi, musica e versi di Antonio Cericola. Il 23 agosto tornerà al Meeting il Maestro Villa insieme a Mariella Chieco nello spettacolo con canzoni “Grammatically so all over the world”.

Il 19 e il 20 agosto, al Villaggio Ragazzi del Meeting di Rimini arriverà un ospite speciale, ovvero Prezzemolo, direttamente dal Parco di divertimento Gardaland. L simpatica mascotte sarà a disposizione di chiunque vorrà fare insieme un selfie. A cura di Gardaland anche divertenti quiz su foto e filmati del Parco. Saranno messi in palio gadget e premi per chi risponderà correttamente.

Il villaggio è un luogo speciale, colorato e accogliente, dove bambini e ragazzi possono partecipare, nel modo più adatto all’età e alle loro esigenze, alla vita del Meeting, facendo esperienza in pieno dei temi che il festival propone, anche se in altri linguaggi, ai grandi. Il titolo della quarantesima edizione «è in perfetta sintonia con il Villaggio e il suo spirito. Il nome, ciò che mi appartiene e mi rende riconoscibile e chiamabile nel mondo, nasce dall’incontro con l’altro. E il Villaggio vuole proprio essere un luogo di incontro. Incontro tra bambini e ragazzi, fra pari quindi, sperimentando la possibilità di stare insieme in un modo ordinato, divertente e interessante al tempo stesso. Incontro tra i giovani e gli adulti che fanno loro compagnia e propongono le attività come una libera offerta cui aderire con lo slancio di cui si è capaci. Incontro con i libri, i laboratori, gli spettacoli, le mostre per coltivare le passioni già nate e scoprirne di nuove. Perché al Meeting, al Villaggio Ragazzi, si diventa un po’ più grandi. Anche in una settimana. Anche solamente in qualche giorno», conclude Ballerini.

Giovedì 15 agosto 2019 FESTA DELL’ASSUNTA IN CATTEDRALE

Giovedì 15 agosto, sarà celebrata con particolare solennità in Cattedrale la festa di Santa Maria Assunta, a cui è intitolato il Duomo.

Il vescovo Adriano Caprioli presiederà alle 11.00 la solenne concelebrazione eucaristica; il canto sarà animato dalla Cappella Musicale del Duomo.

La festa mariana inizierà in Cattedrale alle ore 8.00 con la recita delle lodi mattutine davanti alla grande pala raffigurante la Vergine Assunta nella parte superiore e in basso gli apostoli, eseguita dal pittore marchigiano Federico Zuccari e collocata nell’abside del coro in una preziosa cornice lignea. Il dipinto fu eseguito alla fine del sec. XVI per l’abside della chiesa di San Domenico di Correggio, su commissione del correggese cardinale domenicano Girolamo Bernieri, che già aveva affidato all’artista marchigiano l’esecuzione degli affreschi nella cappella di San Giacinto nella basilica di Santa Sabina a Roma, inaugurata in occasione del giubileo del 1600. L’apprezzamento per questo dipinto, che in origine aveva forma rettangolare, fu duraturo, come ebbe a sottolineare Angelo Mazza, che ne diresse il restauro eseguito nel laboratorio di Giorgio Zamboni e Avio Melloni. Assai “interessata” fu l’attenzione del duca di Modena che nel sec. XVIII lo requisì per la propria collezione dove rimase sino alla fine del secolo, quando il duca Ercole III lo cedette alla cattedrale reggiana, dalla quale aveva fatto asportare la “Madonna di San Luca” di Annibale Carracci, sciaguratamente prelevata poi dagli agenti di Napoleone “Liberatore” ed ora esposta al Louvre. Il restauro permise il recupero della firma dell’artista “Federicus Zuccarus F”, ma soprattutto nella parte inferiore sinistra il volto del cardinale Bernieri. Particolare efficacia poi acquistò la figura dell’apostolo San Giacomo maggiore, ritratto in abito di pellegrino con il bordone in mano, l’ampio cappello da viaggio e la conchiglia: simboli che ben si collegano al Giubileo. Infatti, il quadro dello Zuccari fu dappirma destinata alla cappella delle reliquie del Duomo, dove sostituì l'”Assunta” di Francesco Vellani, che rimpiazzò nell’abside la tela di Carracci. Per inserirlo nella preesistente cornice, il dipinto fatto eseguire dal cardinale Bernieri fu ampiamente danneggiato. Infatti, il pittore incaricato nel Settecento dell’adattamento “violentò” la tela, tagliandone un’ampia striscia nella parte inferiore, eliminandone disinvoltamente gli angoli, aggiungendone la parte terminale della centina, ripiegandone la porzione terminale e occultando alcune figure con dense pennellate.

Nel pomeriggio di Ferragosto alle ore 17.00 è poi prevista la preghiera del Santo Rosario, a cui seguirà alle 18.00 la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal canonico mons. Francesco Marmiroli. Sarà possibile ottenere in cattedrale l’indulgenza plenaria.

Di ben 28 parrocchie della diocesi, l’Assunta è titolare: Cattedrale di Reggio, Àncora di Sassuolo, Arceto, Bibbiano, Casola Querciola, Castellarano, Castello Querciola, Castelnovo ne’ Monti, Castelvecchio di Prignano, Debbia, Visignolo, Dinazzano, Fabbrico, Felina, Gombio, Minozzo, Miscoso, Nigone, Succiso, Pianzo, Poiago, Pontone, Puianello, Quara, Reggiolo, Sesso, Toano, Ventoso.

Gar

Nella foto: La pala dell’”Assunta” di Federico Zuccari

Ales Bello: Edith Stein, modello di “resistenza”

edith stein

da Settimana News

«Sono tempi difficili che richiedono una resistenza meditata, seria e costruttiva». E la figura di Edith Stein, la sua opera e soprattutto la sua vita donata alla difesa dei diritti umani fino alla morte in un campo di concentramento, possono essere un faro, un punto di riferimento. Ad attualizzare il messaggio della Stein nel giorno in cui si ricorda la sua morte, è la filosofa Angela Ales Bello, già decano di Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense.

Era il 9 agosto del 1942 quando Edith Stein fu uccisa ad Auschwitz-Birkenau. Monaca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, filosofa, mistica tedesca, vittima anche lei della ideologia nazista perché di origine ebraica. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II la proclamò santa e l’anno successivo la dichiarò patrona d’Europa.

«Credo che il suo messaggio sia di carattere in primo luogo morale e poi politico», dice la filosofa Ales Bello. «Con l’idea che se gli esseri umani vogliono costituire una comunità, essa deve basarsi fondamentalmente su valori etici e poi tradursi in una comunità politica. Questa era la sua idea della comunità statale».

  • Quale messaggio la Stein rivolgerebbe oggi all’Europa?

Lei pensava che la sovranità dei singoli Stati non fosse in contrasto con una comunità più ampia che potesse includerli tutti, mantenendo le diversità e tuttavia unendoli nei comuni ideali. Una comunità allargata, pacifica, in cui non ci fossero contrasti. Aveva nella sua gioventù partecipato alla prima guerra mondiale come crocerossina per cui conosceva il negativo della guerra e il male che ne proviene e riteneva appunto che il superamento di questa dovesse essere una condotta di vita orientata da valori umani e religiosi. L’Europa, secondo la Stein, ancora oggi dovrebbe essere legata da questi comuni valori superando gli egoismi ma anche le superficialità e gli atteggiamenti di moda che non sono positivi.

  • Cosa intende per “atteggiamenti di moda”?

Gli esseri umani hanno sempre una parte positiva e una parte negativa. La parte negativa è quella che porta alla dispersione e alla superficialità e qualche volta anche al male. Non a caso la Stein è morta per il suo essere originariamente ebrea. Per fortuna oggi non ci sono contrasti così forti come nelle epoche passate in Europa. Ma ci sono altri tipi di contrasti che impediscono di cogliere gli elementi comuni che potrebbero rafforzare non solo l’Europa, ma anche il mondo intero. Mi riferisco al contrasto con i popoli stranieri, con chi non è della stessa razza, addirittura con chi la pensa diversamente. Di fronte ad uno scenario simile, è necessaria una educazione profonda, permanente, di tutti, a valori di convivenza e valori umani che rischiano, in ogni epoca e in particolare nella nostra, di essere dimenticati.

  • Sovranismi, chiusure dei confini, individuazione di un nemico. Oggi, si ripresentano le stesse tentazioni e le stesse oscurità del passato. Cosa c’è dietro a questa amnesia del passato?

Purtroppo, non si conosce la storia e anche se si conosce non la si vuole ricordare perché prevalgono gli interessi e i successi immediati. Prevalgono i protagonismi personali che spesso indicano anche una grande debolezza psichica. Ci sono stati nel nostro passato uomini politici importanti come Schumann e De Gasperi che hanno meritato di essere riconosciuti perché hanno costruito nel bene e nel bene vuol dire nel bene di tutti, per la crescita di tutti, non soltanto dell’Europa.

  • Come era la «resistenza» di Edith Stein?

È stata una resistenza non solo personale, ma attiva e per il bene comune. Sappiamo che inviò addirittura una lettera al Pontefice dell’epoca perché potesse dire una parola a favore dei diritti umani. Noi oggi siamo fortunati perché abbiamo un papa come Francesco al quale non abbiamo bisogno di chiedergli nulla. Credo però che il suo esempio possa coinvolgere soprattutto i giovani nel mostrare di non essere schierati dalla parte dell’egoismo, dalla parte di una cieca chiusura che in linea di principio non serve all’umanità e dal punto di vista pratico è anche fallimentare.

  • Cosa direbbe Edith Stein ai giovani?

Ci sono moltissime conferenze e scritti in cui Edith Stein si rivolge ai giovani. Però la cosa interessante che dovremmo tenere presente è che la Stein si rivolge agli adulti perché insegnino ai giovani. Credo che un punto di fondo della nostra epoca sia la carenza purtroppo negli adulti, non nei giovani. Dovremmo allora da adulti compiere un’opera di formazione che vuol dire conoscenza, educazione intellettuale e pratica, ma vuol dire soprattutto una formazione spirituale.

 

Salmo 51: Miserere mei, Deus

Salmo 51

da Settimana News

Chissà quante volte abbiamo recitato o cantato questo Salmo per qualche defunto. Ma… chi è morto giace e chi è vivo preghi innanzitutto per se stesso intanto che è in tempo. Anche in questo Salmo è un vivo che prega: un ebreo prima di Cristo, gran peccatore ma pentito.

Per i defunti o per i vivi?

Uno come il re Davide, santo e peccatore, con sul cuore una serie di gravi misfatti: adulterio con Betsabea (corresponsabile e desiderosa di diventare la prima donna nel regno?), uccisione pur indiretta di Uria marito di lei e soldato fedele del re, strategia vigliacca di Davide pur di arrivare ai suoi scopi malvagi… Credeva di averla fatta franca, ma troppe erano le lingue e gli occhi intorno a lui; soprattutto occhi e parola del profeta Natan, pur amico e sostegno politico del re. E Natan, da vero amico, glielo dice in faccia: Sei adultero e assassino, hai messo Dio da parte a favore del solo tuo io!

Certo, Davide, da re, poteva decidere: uccido anche te e ti metto a tacere. Non l’ha fatto: rientra così nei ranghi dei pentiti e quindi servo del Dio santo (cf. 2Sam 11–12).

In un contesto storico e vitale più o meno come quello nasce il Miserere. Ora, 3000 anni dopo, lo rileggiamo secondo l’ultima traduzione della CEI. Ne distingueremo alcuni temi: il peccato e il pentimento, la preghiera del peccatore, le invocazioni a Dio, gli impegni del convertito, la rilettura per la comunità di allora e di sempre.

Il senso del peccato nel Miserere

L’orante (Davide o chicchessia) sa di aver peccato e gravemente; ma si vede come uno impastato di peccato e di cattiveria fin dalla sua nascita: Pietà di me, o Dio, nel tuo amore, nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità, lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro… Il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto. Contro di te, contro te solo ho peccato anche se agli occhi della gente potrei averla fatta franca e perciò a te solo io elevo la mia supplica di perdono e di rinnovamento anche col prossimo.

Ma, appunto, non c’è solo il delitto commesso in un momento di follia e di egoismo feroce: Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Qui si intravvede sia un’idea pessimistica sulla sessualità e la generazione (mentalità di quel tempo: ricordiamo anche le purificazioni delle puerpere e di Maria santissima stessa (!), sia forse l’intuizione di quella condizione generale di peccato che noi dicevamo “peccato originale originato da quello dei progenitori”. Quindi un profondo senso del singolo peccato e della situazione di male comune a noi poveri mortali e peccatori, chiamati però almeno a pentirci.

La speranza nella preghiera

La situazione di quel peccatore poteva dirsi disperata, come di chi sentiva le proprie ossa spezzate da Dio! Ma non per chi ha fede nel Dio di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, di Davide, nel Dio cioè che è amore, misericordia, sapienza, salvezza e giustizia: Dio, per la Bibbia, è giusto sia quando punisce (o ci lascia nei nostri guai, che sarebbe il vero castigo), sia quando perdona e salva, perché è fedele alle sue promesse, fedele con se stesso e quindi anche col peccatore pentito. Su questa base si eleverà anche la straordinaria Buona Novella del Vangelo.

Sulla fede in quel Dio scaturiscono le invocazioni del nostro salmista: abbi pietà, perdona la mia colpa, cancellala, lavami tutto, rendimi puro, gradisci la sincerità del mio cuore, aspergimi con rami di issopo come si usava dai sacerdoti ebrei nei riti di purificazione specialmente dei lebbrosi prima che venissero riconosciuti con una carne ridiventata più bianca della neve; e ancora: non privarmi della tua presenza, in particolare da quella del tempio, crea in me un cuore puro e rinnova in me uno spirito saldo e generoso, non basta infatti una purificazione esteriore, fammi sentire gioia e letizia, liberami dal sangue, dalle macchie del sangue versato ingiustamente o, forse meglio, dalla vendetta esigita per sé dalla legge del taglione e da parte di autorità o di singoli vendicatori.

Preghiera e impegni

Solo invocazioni nelle preghiere? In quelle egoistiche magari, non nel Miserere. L’antico salmista, infatti, si sente in dovere innanzitutto di lodare e ringraziare il suo Dio giusto: la mia lingua esalterà la tua giustizia e proclamerà la tua lode… ti offrirò il sacrifico di un cuore contrito e affranto, che vale più di mille offerte rituali come olocausti e altre oblazioni di bestie e o di cose. E un altro impegno: insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. 

Di solito, in Salmi come questo incontriamo anche dure invettive contro peccatori e nemici; invece, qui, come nel Salmo 22 (“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), non solo mancano, ma addirittura leggiamo la volontà di evangelizzazione: comunicherò ad altri come me la tua opera di salvezza per incoraggiarli a mettersi anche loro sulle tue vie! Questa era già una vera conversione del cuore, ben più di una semplice aspersione con issopo o… acqua santa.

Alla fine del Salmo è evidente un’aggiunta non si sa di chi, certamente di secoli dopo, dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio da parte dei Babilonesi (586 a.C.). Si intravvede anche una mentalità diversa: quella che tornò a valorizzare anche i riti sacrificali delle liturgie del tempio. Anche queste infatti avevano il loro senso, se sorte da un insieme di cuori simili a quello del salmista.

Infine, appare evidente a tutti noi la continuità profonda tra il Miserere e il Vangelo: Dio ha tanto amato il mondo, non quello degli angeli ma il nostro!, da mandarci addirittura il suo vero Figlio con il suo Pane, il suo Sangue, il suo Spirito (Gv 3,16…). E san Paolo insisterà sull’Evangelo della giustizia di Dio per la salvezza del mondo (Rom 1,16-17…): senza un po’ di Antico Testamento alle spalle, non si potrebbe ascoltarlo correttamente.

Le vie della penitenza

Nella Chiesa, almeno dal II millennio, le vie per il perdono dei peccati postbattesimali si sono quasi ridotte al pur valido sacramento della penitenza-riconciliazione; non era così nelle Chiese del Nuovo Testamento e in quelle successive (qualche accenno soltanto: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori… Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia (Mt 5-6): date in elemosina e tutto sarà puro per voi (Lc 11,41); la carità copre una moltitudine di peccati (1Pt 4,8); e un esempio dai Padri della Chiesa: «Vuoi festeggiare in modo puro Natale o Pasqua? Offri i tuoi beni a qualche povero e invitalo a pranzo con te».

Senza rinnegare giuste prassi, però, può essere utile ed evangelico allargare le vie della penitenza. Anche per la crisi del sacramento e più ancora del senso del peccato (e smettiamola di dare come penitenze solo preghiere!). E anche il Miserere può rivelarsi un’ottima Parola al riguardo. Come anche pagine tradizionali e moderne dellaEvangelii gaudium di papa Francesco, pagine rivolte a “me” che vivo in una Chiesa santa e peccatrice, dentro un mondo tanto povero di Dio e della sua giustizia, della quale però avverte nostalgia e sete.

E con il Miserere prego anche per tutti noi il Dio giusto perché anche, anzi soprattutto, misericordioso. Con papa Francesco che tanto vi insiste.

 

Governo, meglio la crisi in chiaro

da Settimana News

Dunque la crisi si è aperta. Economia, società, politica, istituzioni sono sotto stress. Chi ha senso di responsabilità non può che nutrire viva preoccupazione per le sorti del paese.

Un crisi troppo attesa

Tuttavia, era nelle cose e, in un certo senso, è bene così. Anzi si è tirata troppo in lungo una situazione francamente insostenibile, che ci ha regalato – si fa per dire – lunghi mesi di estenuanti contese (e persino indecenti baruffe) interne al governo e la sostanziale paralisi della sua azione.

Si immaginava che quella conflittualità interna si potesse chiudere con le elezioni europee, ma non è stato così.

Mettiamo in fila le ragioni per le quali l’epilogo, cioè la rottura della litigiosa maggioranza, era scritto: a cominciare dalla bizzarria del “contratto” (di governo), istituto privatistico per definizione inadatto a sostenere un esecutivo, che presuppone una visione comune o almeno visioni compatibili; due partner di governo dichiaratamente alternativi, con programmi non componibili se non in termini di mera giustapposizione e di sommatoria incrementale di promesse elettorali esorbitanti finanziariamente insostenibili e palesemente in collisione  con i vincoli di bilancio e i parametri europei.

Due forze politiche asimmetriche per natura, cultura, organizzazione, qualità della classe dirigente, base di consenso sociale e territoriale; l’opposto comportamento nel voto cruciale circa il nuovo presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen.

Rovesciamento dei rapporti di forza

Da ultimo e decisivo il rovesciamento dei rapporti di forza tra 5 Stelle e Lega sancito dal voto europeo rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno e alla base dell’originario accordo di governo.

Non giriamoci intorno: è questa ultima la vera ragione del colpo di grazia all’esecutivo Conte deciso a freddo da Salvini. Palesemente pretestuosa la causa prossima: il voto sul Tav.

Battaglia storica e simbolica dei 5 Stelle sulla quale essi già avevano capitolato (la mozione parlamentare votata alla sconfitta era solo un pietoso escamotage grillino per salvare la faccia presso i propri frustrati sostenitori), e la Lega aveva già incassato la vittoria con il sì formale del premier Conte alla Torino-Lione. Anch’egli costretto a una giravolta.

Salvini si è risolto a fare il passo decisivo al chiaro scopo di capitalizzare il consenso accreditato dai sondaggi e da molteplici test elettorali, come del resto da gran tempo gli chiedevano i suoi e soprattutto la storica base elettorale dei ceti produttivi e delle regioni del nord.

Questa la verità, al netto dell’ipocrisia.

Bontà di una crisi di governo

Ciò detto, come si diceva, è bene che una situazione oggettivamente insostenibile, che aveva assunto profili grotteschi, abbia avuto un suo epilogo e, a seguire, un limpido svolgimento istituzionale: che la crisi sia parlamentarizzata (bene ha fatto Conte a pretenderlo, non cedendo ai diktat di Salvini, questi sì inaccettabili, perché il premier si dimettesse subito, con la classica crisi extraparlamentare che è stata la regola patologica della nostra storia repubblicana, cui solo Prodi nel 2008 fece eccezione, esigendo che in parlamento e dunque pubblicamente e solennemente ciascuno, singolo o partito, si assumesse la responsabilità della sfiducia).

Bene che sia il presidente della Repubblica a gestire la crisi; bene che si vada sollecitamente a elezioni se Mattarella accertasse che non vi sono in parlamento altre maggioranze possibili. In modo che, al dunque, a dirimere una matassa già troppo e troppo a lungo aggrovigliata sia il popolo sovrano.

Finalmente, dopo tante forzature e stravaganze, il ripristino di una sana normalità istituzionale.

È tuttavia legittima la domanda: perché Salvini lo ha fatto? Già si è detto: per capitalizzare il suo consenso e puntare dritto a palazzo Chigi. Ma vi sono altre due concause a valle: la consapevolezza che fosse alle viste una legge di bilancio che manifestamente non avrebbe potuto recepire le sue esorbitanti promesse specie in tema di fisco; l’imminente varo, fissato ai primi di settembre, del taglio di 345 parlamentari, che avrebbe inibito il ricorso alle urne per sei mesi se non per un anno (in sede applicativa di tale riforma costituzionale con la conseguente, necessaria riforma elettorale).

Troppo per chi appunto non vuole attendere, a rischio che sfumi il momento magico.

Verso le elezioni

Ora si profila un percorso accidentato e insidioso per il paese e segnatamente per la sua stabilità finanziaria. Ma quantomeno un percorso disciplinato da regole e procedure costituzionali garantite da un arbitro affidabile come il capo dello Stato.

Molto probabilmente, a valle, si profilano elezioni al calor bianco nelle quali Salvini è il grande favorito. Anche perché egli ha a disposizione varie opzioni: correre da solo, con Fratelli d’Italia in un fronte sovranista, con una FI debilitata e ancillare, facendo alleanze prima oppure dopo il voto a parlamento insediato.

Egli è il solo che dispone di tutte tali opzioni. Sarà interessante vedere chi sarà l’effettivo antagonista: un PD rinvigorito alla guida di un più largo fronte democratico (in realtà ancora tutto da costruire) ovvero i 5 Stelle, certo in cattiva salute, plausibilmente guidati da un’altra leadership, magari quella del premier uscente Conte, che, in qualche passaggio, compreso l’ultimo, ha trasmesso l’impressione di ambire a un protagonismo politico.

Così come si imporrà, a dispetto delle smentite di rito, il tema di una eventuale interlocuzione tra PD e 5 Stelle prima o più facilmente dopo il voto, con l’obiettivo di non consegnarsi a sicura minorità a fronte di un Salvini largamente favorito, quasi senza competitor.

Ostilità verso l’Unione Europea

Certo è che la posta in gioco è alta: in Italia e per la stessa Europa, che considera il nostro paese (tra i fondatori della UE) l’avamposto del sovranismo.

Con all’orizzonte un governo apertamente ostile all’euro e alla UE, non esattamente in linea con le storiche alleanze internazionali del nostro paese.

Se vi siano stati corruzione internazionale e passaggio di tangenti da Mosca alla Lega lo stabilirà la magistratura, ma persino più importante è sostare sulle parole registrate con le quali esordisce l’uomo vicino a Salvini al centro Russiagate in quella conversazione: la Lega quale primo attore della battaglia per una Europa che guarda più a Mosca che non a Bruxelles e a Washington.

Questo sì un “cambiamento”, una storica rottura. Se buona o cattiva lo decideranno gli elettori. Non opache collusioni. Con un corollario politico interno: uno scostamento dell’Italia dai canoni della democrazia liberale occidentale ed europea.

Non si sottovaluti la circostanza che il prossimo parlamento eletto, in concreto la sua maggioranza politica, sarà chiamato a eleggere il successore di Mattarella al Quirinale.

Il papa, l’Europa e il sovranismo

«Il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. “Prima noi, noi… noi”: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre»: è un passaggio dellìintervista che La Stampa ha fatto a papa Francesco (9 agosto).

Il tema maggiore, non unico, è l’Europa e il suo futuro.

Nelle decine di interviste che ha concesso in questi sei anni di pontificato, il papa ripercorre, sviluppa, chiarisce, sminuzza i temi del suo magistero. Nei confronti dell’Europa i riferimenti maggiori sono cinque discorsi: al Parlamento e al Consiglio d’Europa (25 novembre 2014), in occasione del premio Carlo Magno (6 maggio 2016), per i 60 anni del Trattato di Roma (24 marzo 2017) e alla conferenza su ri-pensare l’Europa (28 ottobre 2017).

L’intervista e i discorsi

I capitoli che sviluppa di più nei suoi discorsi sono quelli legati all’identità del continente, alle sfide maggiori da superare, alle prospettive del futuro fino al ruolo e alla responsabilità dei credenti europei per l’oggi.

Nell’intervista afferma: «La propria identità (di popolo e di nazione, ndr) non si negozia, si integra. Il problema delle esagerazioni è che si chiude la propria identità, non ci si apre. L’identità è una ricchezza – culturale, nazionale, storica, artistica – e ogni paese ha la propria, ma va integrata nel dialogo. Questo è decisivo: dalla propria identità occorre aprirci al dialogo per ricevere dalle identità degli altri qualcosa di più grande».

C’è una identità anche del continente: «Il punto di partenza e di ripartenza sono i valori umani, della persona umana. Insieme ai valori cristiani: l’Europa ha radici umane e cristiane, è la storia che lo racconta». Quando Francesco parla di «radici cristiane» – espressione che non cita, ad esempio nel discorso al parlamento europeo – non allude a forme di neocristianità o a richieste di ruoli di potere, quanto piuttosto alla dialettica fra spazio sacro e spazio profano che ha propiziato nell’Occidente la conquista delle sue libertà, dallo stato di diritto alla stessa democrazia.

«L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale» (premio Carlo Magno). Come è decisivo il superamento,  già vissuto dal monachesimo benedettino, dal servus (schiavo) al miles (soldato), dalcives (cittadino) alla persona costituita ad immagine di Dio (re-inventare l’Europa), così ogni sviluppo dell’identità europea richiede il dialogo. «La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegnando loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. Il tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare non strategie di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione» (premio Carlo Magno).

Nell’intervista non riprende argomenti approfonditi nei discorsi, come il superamento della laicità ideologica per una laicità inclusiva, l’economia sociale di mercato, la fecondità demografica, il rapporto fra le generazioni, la pace e la democrazia. Si concentra sulla questione più urgente, quella appunto del sovranismo e del populismo.

Quest’ultimo – ammette –  lo ha obbligato a superare l’approccio latino-americano in cui il riferimento al popolo nella teologia e nella cultura civile ha sempre un senso positivo, mentre in Europa affianca le spinge sovraniste: «una cosa è che il popolo si esprime, un’altra è imporre al popolo l’atteggiamento populista». È il passaggio da un popolo strutturato nelle sue diversità e pluralità a una entità ideologica di supporto al potere.

Oltre le confessioni

Sull’onda dell’urgenza entra nella questione della migrazioni, ricordando anzitutto il diritto alla vita. Per poi aggiungere in ordine all’accoglienza: «Vanno seguiti dei criteri. Primo: ricevere, che è anche un compito cristiano, evangelico. Le porte vanno aperte, non chiuse. Secondo: accompagnare. Terzo: promuovere. Quarto: integrare.

Allo stesso tempo, i governi devono pensare e agire con prudenza, che è una virtù di governo. Chi amministra è chiamato a ragionare su quanti migranti si possono accogliere».

Il compito dei cristiani è anzitutto segnato dal superamento dei confessionalismi. In ordine al contributo per l’Europa del futuro, «non separo cattolici, ortodossi e protestanti. Gli ortodossi hanno un ruolo preziosissimo per l’Europa. Abbiamo tutti gli stessi valori fondanti» (intervista).

«L’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società» va rettamente compreso. «Nella visione cristiana, ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L’intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato fra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione “ridotta”, che non rende onore all’uomo» (Consiglio d’Europa).

settimananews

«Riconciliazione, rinnovamento, restauro: indicativo divino e imperativo umano»: è stato questo il tema del nono Congresso dei teologi dell’Asia che si è svolto a Medan, in Indonesia, dal 5 al 10 agosto

L’Osservatore Romano

(Riccardo Burigana) «Riconciliazione, rinnovamento, restauro: indicativo divino e imperativo umano»: è stato questo il tema del nono Congresso dei teologi dell’Asia che si è svolto a Medan, in Indonesia, dal 5 al 10 agosto. L’incontro fa parte di una serie che, iniziata nel 1997, raduna ogni tre anni i teologi asiatici (anche coloro che si trovano a vivere fuori dal continente) di confessioni cristiane diverse, per un confronto ecumenico su come promuovere un rinnovamento della teologia in un contesto, come quello asiatico, che vive di rapidi cambiamenti anche in campo religioso. La scelta del tema del congresso di Medan, la cui organizzazione non è stata facile dal momento che inizialmente doveva tenersi a Colombo, in Sri Lanka, ha voluto rispecchiare la volontà di proporre una riflessione su cosa i teologi devono fare oggi per contribuire a rendere sempre più visibile la presenza dei cristiani in Asia; si è così discusso del loro ruolo in rapporto alla custodia della creazione, alla difesa della vita, alla costruzione della pace e della giustizia a partire da una riflessione biblica e teologica che tenga conto delle peculiarità dell’Asia e proprio dalla lettura di queste peculiarità sappia indicare delle soluzioni ecumeniche.
Approfondire e sviluppare tra «indicativo divino e imperativo umano» è stato un modo per rispondere all’istanza, tanto diffusa tra i cristiani in Asia, che sia necessario rinnovare la teologia tenendo conto del pluralismo religioso e culturale che caratterizza il continente, dove sono anche presenti rifiuti e condanne di tale pluralismo. Per questo il congresso «non è stato un mero esercizio accademico ma un’opportunità e un’esperienza per i teologi dell’Asia per valutare insieme come favorire una ricerca sulla rilevanza del Vangelo che conduce all’essere riconciliati con Dio in Cristo e partecipare alla missione di Dio, dove l’essere nuovi in Cristo può essere una strada di rinnovamento e di restauro della creazione di Dio»: parole di Mathews George Chunakara, segretario generale della Conferenza cristiana in Asia, che è stata uno dei principali sponsor dell’incontro. Quella a Medan è stata inoltre «un’opportunità ecumenica», come ha detto padre Clarence Devadass, a nome della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, dove coordina la riflessione teologica, rilanciando l’importanza della testimonianza ecumenica che può aiutare i teologi a lavorare sempre più insieme per la Chiesa “Una” su aspetti concreti, come la riconciliazione delle memorie e la custodia del creato.
Il convegno si è articolato in quattro relazioni tematiche, sessioni seminariali su singoli aspetti della riflessione teologica, momenti di condivisione di esperienze e di progetti, letture della Bibbia con un confronto sulla pluralità esegetica nella Chiesa; con le quattro relazioni tematiche sono state offerte delle piste di ulteriore riflessione, soprattutto in una prospettiva ecumenica, ai teologi alla luce delle tante esperienze che segnano la vita delle comunità cristiane, chiamate a convivere, come è stato detto più volte, da una parte con il desiderio di rafforzare l’annuncio della Parola di Dio e dall’altra con le difficoltà quotidiane di vivere in una società interreligiosa. Anche nelle quattro relazioni tematiche centrale è stata la riflessione sull’impegno dei cristiani nella salvaguardia del creato, come anche nei workshop dove è emerso quanto i cristiani, insieme, già operano nella denuncia dello sfruttamento del creato e nella formulazione di nuove proposte per uno stile di vita fondato sui valori cristiani. Anche nello spazio riservato al dialogo interreligioso si è parlato della salvaguardia del creato, sottolineando gli aspetti comuni alle religioni su questo aspetto; non sono mancate le voci di coloro che hanno testimoniato il clima di crescente intolleranza in tante realtà, chiedendo un maggior impegno delle religioni nella condanna di ciò.
In Indonesia si è parlato inoltre dell’ormai imminente prima assemblea ecumenica delle donne asiatiche, promossa dalla Conferenza cristiana dell’Asia, che si terrà il prossimo novembre a Taiwan; questo incontro vuole essere un’occasione per tutte le comunità cristiane di riflettere sul ruolo delle donne nella Chiesa e nella società, in Asia, nel ventunesimo secolo, per promuovere un rinnovamento che renda le comunità sempre più prossime al modello evangelico, proseguendo nella rimozione di tutte le forme di discriminazione e di emarginazione che condizionano la vita delle donne. Il congresso di Medan è stata insomma un’opportunità ecumenica per i teologi (alcuni molto giovani) per condividere ricerche e progetti così da rendere sempre più viva la testimonianza cristiana in Asia, contribuendo alla definizione di uno stile di vita fondato sui valori cristiani, finalmente rispettoso del creato.
L’Osservatore Romano, 12-13 agosto 2019

I leader religiosi della Repubblica Centrafricana pronti per l’assemblea mondiale a Lindau.  Aspettando la pace

L’Osservatore Romano

Alla prossima assemblea mondiale delle religioni per la pace — in programma dal 20 al 23 agosto a Lindau, in Germania, sul tema «Prendersi cura del nostro futuro comune» — una speciale sessione sarà dedicata alla Repubblica Centrafricana. A essa parteciperanno leader religiosi locali che potranno condividere le loro esperienze con le oltre ottocento personalità invitate all’assemblea mondiale.