Salmi: il libro della vita

Settimana News

Il monaco di Bose residente a Gerusalemme e docente allo Studium Biblicum Franciscanum (SBF) ha preparato una bella introduzione letterario-teologica al Salterio, “Il libro della vita”, come lo definisce nel primo saggio presente nel volume (pp. 15-48, Il libro della vita, già edito nel 2016 nella Festschrift per Roberto Vignolo). Esso non rispecchia solo le varie età dell’uomo, dalla nascita all’infanzia, alla giovinezza, dalla maturità alla vecchiaia, ma anche le varie situazioni esistenziali che l’uomo si trova a vivere: nascita, giovinezza, lavoro e preghiera, peccato e malattia («la morte nella vita», «la preghiera del corpo», P. Beauchamp), il tempo che rimane prima della morte, non escludendo la risurrezione quotidiana.

Anatomia del Salterio
Salmi

Il corpo centrale del volume (“Anatomia del Salterio”, pp. 49-182) rappresenta il contenuto dell’ultimo corso sui Salmi tenuto da Mello allo SBF nell’anno accademico 2014-2015. Il numero dei salmi è inferiore a 150, considerati i salmi doppi. Il Salterio è un volume unico, da leggere di seguito.

I vari salmi hanno una loro consequentia/akolouthia da rispettare. I Salmi vanno letti e interpretati non singolarmente, ma all’interno della raccolta, del rispettivo libro e del Salterio tutto.

Le concatenazioni fra i salmi, così da formare diverse raccolte o unità minori, sono date da molteplici fattori: argomento del salmo (“tema”: giustapposizione), affinità dell’inizio e della fine (concatenazione); coincidenza verbale (analogia); disposizione interna (ad es., salmi gemelli); sequenza acrostica (di due salmi consecutivi).

I contatti verbali iniziali e finali sono i più importanti. Questi i vari casi: inizio e fine (termini estremi); inizio e inizio (termini iniziali); fine e fine (termini finali); fine e inizio (termini intermedi).

Elementi utili per la struttura, la datazione e l’identificazione della natura delle varie raccolte sono le soprascritte – molto seguite da Mello – che sono di tipo liturgico – al capo-coro, strumenti musicali, toni musicali, tipi di salmo, le indicazoni liturgiche), l’attribuzione ad autori (o, meglio, al destinatario), le sovrascritte biografiche che attualizzano il salmo nella vita di Davide).

Raccolte e datazione

Grazie ad appositi accorgimenti (dossologie alleluiatiche e beatitudini), nel Salterio sono stati individuati cinque libri. Per quanto riguarda la sua prima parte sono state identificate tre raccolte davidiche: Davide 1 (Sal 3 – 41); Davide 2 (Sal 51 – 72); Davide 3 (Sal 138 – 145). A queste si aggiungono tre raccolte levitiche: Core 1 (Sal 42 – 49); Core 2 (Sal 84 – 89); Asaf (Sal 73 – 83).

Sal 2 – 89 appare essere il “Salterio primitivo”, con salmi attribuiti a un autore o a un destinatario, mentre gli altri sono tutti anonimi. Sal 90 – 150 appare come un prolungamento liturgico più recente.

Mello ipotizza le seguenti tappe della composizione e i rispettivi criteri di datazione:

Epoca monarchica antica: Davide 1 (Sal 2 – 41) + Davide 2 (Sal 51 – 72) + Davide 3 (Sal 138 – 145);

Epoca deuteronomistica: Elohista (= Core 1 + Davide 2 + Asaf) = Sal 42 – 83;

Epoca esilica: Davide 1 + Elohista + Core 2 = Sal 2 – 89 (Salterio primitivo);

Epoca postesilica: Salterio primitivo (Sal 2 – 89) + Salmi del Regno (90 –106: verso il 350 a.C., poiché 1Cr 16,36 cita la dossologia del Sal 106).

Redazione finale: Sal 1 (Sal 19B; 119); + Sal 2 106 + Sal 107 + Hodu (“Rendete grazie”) (Sal 108 – 110) + Hallel(“Alleluia”) (Sal 111 – 117) + Hodu (Sal 118) + Sal 120 – 134 (Salmi delle salite o graduali) + Hallel (Sal 135) + Hodu(Sal 136) + Davide 3 (Sal 138 – 145) + Hallel (Sal 146 – 150).

La dinamica letterario-teologica del Salterio sembra andare dalla supplica alla lode.

Mello analizza le caratteristiche principali di ogni salmo, inserendole nell’unità di partenza, e poi all’interno dei vari libri di cui si compone il Salterio. Presenta, infine, gli indicatori letterari e il contenuto espresso nei vari generi letterari (con protagonista il singolo o la collettività).

I libri

Il primo libro (Sal 3 – 41) sembra concentrarsi dapprima sull’inimicizia (Sal 3 – 14); quindi sul Re-Messia (Sal 15 – 24), poi sul tempio (Sal 25 – 34) e, infine, sulla malattia (Sal 35 – 41).

Il secondo libro (Sal 42 – 72) comprende anzitutto la prima raccolta coraita (Sal 42 – 49) caratterizzata dai nomi plurali femminili per il singolare (Mello pensa che “Dio degli eserciti” significhi “Dio tutto-tenente/pantokrator”), da un forte anelito di Dio e del suo tempio, con l’affermazione dell’inespugnabilità di Sion e del pellegrinaggio delle genti.

Segue la seconda raccolta davidica (Sal 51 – 72) in cui è prevalente la supplica. Davide 2 è la raccolta più (auto)biografica. La sequenza non è concentrica ma progressiva nel pensiero e nell’esperienza spirituale, applicata poi a Davide. Dal discernimento – si veda la sovrascritta maśkil che ha a che fare con l’intelligenza/śeqel – si passa alla compassione, poi alla fiducia, quindi alla lode e, infine, alla memoria.

Nel Salterio il culto non viene criticato dall’esterno, come avviene nei profeti in rapporto a un criterio esterno quale la giustizia sociale, ma dall’interno, cercando di purificarlo, raffinarlo e interiorizzarlo.

Il terzo libro (Sal 73 – 89) comprende la raccolta di Asaf (Sal 73 – 83), Core 2 (Sal 84 – 88) e il Sal 89 che ne è la conclusione messianica.

I salmi di Asaf (Sal 73 – 83) tradiscono un’origine settentrionale, mettono l’accento sull’interiorità, ricercano la vicinanza di Dio, risentono dell’influsso teologico deuteronomico e presentano spesso uno stile “profetico”, cioè un discorso diretto di Dio. È la serie salmica più prossima alla memoria storica e alla lamentazione collettiva. Temi fissi, senza un ordine preciso, sono: vicinanza di Dio (Sa 73; 75; 77), lamentazione (Sal 74; 79; 80; 83), Canto di Sion (Sal 76), profezia (Sal 75; 81; 82), storia (Sal 77; 78).

La raccolta Core 2 (Sal 84 – 88) alterna la lode alla supplica, con la voluta messa al centro del Sal 86 (supplica – lode – supplica) e l’aggiunta del Sal 89 come conclusione messianica.

Alla fine del “Salterio elohista” (Sal 42 – 89, II e III libro), si constata che il nome generico di “Dio/Elohim” finora impiegato quasi esclusivamente si rivela col suo nome specifico di YHWH. Questo Nome ha una “grazia” specifica, che è quella giurata fedelmente a Davide.

Altro tema fondamentale è quello della città di Dio. Su questo punto Core 1 (Sal 42 – 49) e Core 2 (Sal 84 – 88) hanno salmi con temi paralleli. La menzione di Elohim è originaria e fa trasparire l’origine settentrionale di questi salmi, mentre negli altri libri (I, IV e V) predomina la menzione di YHWH.

Salmi

Il quarto libro (Sal 90 – 106) comprende solo salmi “orfani” (tranne il Sal 90 che ha il titolo che lo attribuisce a Mosè).

Nei Salmi del Regno (Sal 93 – 100) si riscontra un monoteismo pratico, che afferma la superiorità di YHWH su tutti gli altri dèi (retroterra mitologico), mentre in DeuteroIsaia il monoteismo è più teorico (insistenza degli altri dèi, ridotti a idoli).

Negli altri salmi si constata che il nome divino è legato alla misericordia e al perdono, con salmi alleluiatici e meditazioni storiche (Sal 105 – 106) che tradiscono una teologia sacerdotale che ignora il patto sinaitico o deuteronomico (patto bilaterale, soggetto alla Torah, menzionata solo in 105,45). Si allude solo al patto noachico e a quello con Abramo.

Il quinto libro (Sal 107 – 150) è complicato a livello compositivo, ma ha un profilo linguistico e teologico molto distintivo. In esso prevale. I Sal 146 – 150 sono addirittura un” trionfo alleluiatico”. L’invito halelujah ricorre dieci volte, all’inizio e alla fine di ogni salmo (prima di questo libro solo quattro volte!). La lode a cui si invita si struttura a partire da tre radici: hlljdh e brk, cioè la lode, il ringraziamento e la benedizione.

Il Sal 107 è un grande inno di ringraziamento; i Sal 108 – 110 sono davidici; i Sal 111 – 112 sono salmi “gemelli”, alfabetici per stichi, alleluiatici. I Sal 113 – 118 costituiscono l’Hallel pasquale; il Sal 119 è un torrente di elogio alla Torah, probabilmente il salmo più recente di tuto il Salterio, una «meraviglia meccanica» (D.N. Freedman).

I Sal 120 – 134 sono “canti graduali/delle salite”. Il tema di fondo è la benedizione che viene da Sion, e dunque la centralità di Gerusalemme, come nei salmi di Core. Tolti gli aggiustamenti redazionali posteriori (inserzione di Sal 122 e 132 e ripetizione di formule redazionali), il nucleo originario sembrerebbe piuttosto nord-israelitico, con l’insistenza non tanto sul tempio e su Gerusalemme, quanto sulla famiglia, sulla campagna e sulle gioie domestiche. Confluito a Gerusalemme, il materiale avrebbe subito una rielaborazione in prospettiva “sionista”.

Mello ipotizza che il titolo di “gradini” alluda non tanto al pellegrinaggio al tempio, quanto al luogo sopraelevato dal quale i sacerdoti, nel tempio, proclamavano la benedizione. Questa era in ogni caso collegata al pellegrinaggio al tempio, come momento culminante delle grandi feste. I quindici salmi graduali potrebbero essere la risposta di Israele alla benedizione sacerdotale (composta oltretutto da quindici parole!).

Il Sal 134 è alleluiatico; il Sal 136 è il “grande Hillel” che conclude la celebrazione pasquale ebraica; il Sal 137 una lamentazione. I Sal 135 – 137 potrebbero essere un’appendice ai canti delle salite, un loro prolungamento nella lode storica, quasi assente nei Sal 120 – 134.

I Sal 138 – 145 sono la raccolta di Davide 3. I salmi di Davide vecchio? (E. Cortese). In essi è assente la gioia, anche se si parla ancora di amore/ḥesed. Il Sal 139 è il salmo della “conoscenza”, un salmo sapienziale che insiste sulla conoscenza di Dio e sulla finitezza dell’uomo. È parallelo al Sal 144, che nota la finitezza dell’uomo, anche del Re. Tutt’intorno, i Sal 138, 140 – 143 e il Sal 145 hanno come tema quello del nome di Dio.

I Sal 146 – 150 sono la dossologia finale del Salterio e, nella liturgia ebraica, l’Hallel quotidiano che si recita tutte le mattine. Serie anonima nel TM, nella LXX è attribuita ai profeti Aggeo e Zaccaria: come dire che il Salterio si conclude con lo spegnimento della profezia di Israele.

Non va dimenticato che i Sal 1 – 2 sono, secondo Mello, il «programma editoriale» del Salterio: il messia è il salvatore nella misura in cui è anche uomo obbediente alla Torah. Il seguito del Salterio si farà più gratuito, culminando nella pura lode alla grazia di Dio.

Mello sostiene che tutto il Salterio ha un’«ossatura messianica» – più che una «cornice regale» di cui parla qualche autore –, che lo struttura anche oltre il Sal 89. Sono messianici i Sal 2, 45, 72, 110, 132, 144 (tesi di dottorato di Kuttianickal allo SBF, diretta da Mello). Da parte sua, Mello sostiene la messianicità anche dei Sal 18 e 20-21.

Salmi sapienziali

Quatto ai salmi sapienziali, Mello identifica dapprima dei criteri di riconoscimento: criteri retorici (ammonizione “figli ascoltate”, la beatitudine, la struttura alfabetica, il paragone, l’enigma o la domanda retorica, il detto “è meglio”, il detto numerico, il sintagma “allontanarsi dal male”) e i criteri tematici (l’amore del Signore e la coppia giusto-empio).

Nel Salterio, secondo Mello, si costaterebbe il fatto che i salmi sapienziali sono continui a quelli messianici nei punti di svolta da un libro all’altro, con uno sviluppo parallelo delle due tematiche. In tal modo, secondo lo studioso, il messianismo dei salmi è stato “doppiato” da una riflessione sapienziale che lo riattualizza o “democraticizza”, nella vita del credente, esattamente come avviene nel manifesto editoriale dei Sal 1 – 2.

Mello ricostruisce in tal modo un itinerario sapienziale presente nel Salterio: Dio conosce la via dei giusti (Sal 1); i giusti possiederanno la terra (Sal 37); l’uomo nel benessere non capisce (Sal 49); il mio bene è stare accanto a Dio (Sal 73); la scienza del cuore (Sal 90); l’imitatio Dei (Sal 112); come la tenebra, così (Dio è) la luce (Sal 139); buono verso tutti (Sal 145). Alla fine del Salterio si precisa che YHWH è buono non solo con Israele e con i puri di cuore (Sal 73,1) ma che «YHWH è buono con tutti: la sua misericordia su tutte le creature»).

Il lungo capitolo dell’Anatomia del Salterio si conclude con alcune considerazioni sul rapporto tra il Salterio e l’evangelo. Vengono elencati tenta luoghi salmici citati più o meno letteralmente nel NT.

Lessico del Salterio

Dopo il corpo centrale del libro, il volume di Mello riporta tre contributi già comparsi su Liber Annus, la rivista ufficiale dello SBF: uno sull’ordine dei Salmi (pp. 183-220), che riprende vari temi già svolti), uno sulla struttura teologica del Salterio (pp. 221-247): il Messia è perfettamente obbediente alla Torah, libro I; Sion è la città partecipe della pace messianica, libri II-III; la Torah di YHWH ri-costruisce Sion, libri IV-V. Molto interessante è il capitolo finale, riguardante “Il lessico del Salterio” (pp. 247-282).

Salmi

All’interno di quattro grandi temi letterario-teologici indicati dalla scuola esegetica tedesca (Lamento/Klage, Supplica/Bitte, Ringraziamento/Danke, Lode/Lob) – da scrivere però con le iniziali in maiuscolo –, Mello studia la semantica variegata di ventotto termini fra vocaboli e radici verbali (povero/umile, angoscia/avversario, abbandonare, dimenticare, nascondere, obbrobrio, preghiera, ruggito, confidare, rifugiarsi, porgere l’orecchio, compatire, amore e fedeltà, felicità, meraviglia, ringraziare, ricordare ecc.). Un capitolo molto suggestivo.

Due osservazioni. Il livello scientifico del volume avrebbe forse richiesto la traslitterazione scientifica dell’ebraico e non quella semplificata. Il carattere impiegato è inoltre infelice e induce a confondere la consonante alef () con la consonante ain (). In molti casi la alef è traslitterata in modo non corretto oppure tralasciata qualora sia in posizione iniziale. La traslitterazione indicata a p. 12 nota 1 mi sembra inoltre errata per quanto concerne proprio la consonante alef, indicata con lo stesso segno grafico della lettera ain.

La bibliografia scelta è riportata alle pp. 283-288.

Mello è un grande conoscitore delle letteratura biblica, midrashica, targumica e patristica. A partire dalla sua lunga frequentazione orante e scientifica del Salterio ha potuto quindi proporre un’introduzione ai Salmi che si raccomanda per la sua chiarezza didattica e per l’abbondanza delle proposte interpretative avanzate sia a livello letterario che teologico.

ALBERTO MELLO, Il libro della vita. Leggere i Salmi, Edizioni Terra Santa, Milano 2019, pp. 288, € 18,00, ISBN 978-88-6240-661-1.

“Preti della comunità”, sposati o no. Favorire l’esperienza di preti sposati a partire dal Sinodo su Amazzonia

La pedofilia nella Chiesa, l’accesso delle donne al ministero ordinato, la riforma della curia e il sinodo dell’Amazzonia sono le grandi sfide di Francesco per quest’anno. E se è vero che ha affrontato con coraggio la prima di esse e che la riforma della curia vaticana sembra essere bene incamminata, è anche vero che non ha chiuso il dibattito sull’accesso delle donne al diaconato e, quindi, al sacerdozio.

Dopo l’estate, è di turno il Sinodo dell’Amazzonia; un incontro in cui tornano sul tavolo tre riferimenti capitali del pontificato di papa Bergoglio: la preferenza per i poveri e le periferie del mondo, la riforma delle comunità cristiane e la creazione di un nuovo modello di governo della Chiesa.

Víctor Codina è uno dei teologi esperti, nominato su proposta della Rete ecclesiale panamazzonica e co-redattore del documento preparatorio del sinodo del prossimo ottobre.

In questo testo, scritto dopo aver consultato 100 mila persone di 170 etnie indigene e nove paesi della regione, si sostiene che i problemi che affliggono l’Amazzonia siano: la sistematica violenza sotto forma di violazione dei diritti umani, soprattutto in relazione alle donne, il narcotraffico, la diffusione del consumo della droga, la distruzione delle culture, le migrazioni forzate, la tratta degli esseri umani, gli assassini dei leader indigeni e popolari.

Amazzonia ministeri

Mi sembra – come molto bene ha detto Víctor Codina – che i cittadini del Primo Mondo siano interessati al dibattito che si è aperto sui preti sposati, ma – vi prego – non permettete che gli alberi vi impediscano di vedere il bosco della tragedia umana e ambientale che stanno provocando gli interessi delle grandi multinazionali con la ricerca compulsiva delle ricchezze naturali (legno e metalli), la costruzione di infrastrutture (paludi e strade), il loro accaparramento della terra e, naturalmente, l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria.

Nel segno di questa «urgenza più grande» dev’essere intesa la proposta di una Chiesa dal volto amazzonico, ossia, una Chiesa che difende il territorio e la vita dei suoi membri, femminile, decentralizzata, decolonizzata, promotrice di vocazioni indigene e abilitata a ordinare sacerdoti «indigeni», «rispettati e accettati dalla loro comunità, anche se hanno già una famiglia costituita e stabile».

Le reazioni in alcune Chiese del Primo Mondo non si sono fatte attendere: il card. W. Brandmüller e l’estrema destra nordamericana hanno definito il documento preparatorio e la proposta di ordinare sacerdoti sposati il frutto di un complotto eversivo incoraggiato dalla Chiesa tedesca per abolire il celibato.

Ecco – rispondo loro – una cortina di fumo con cui nascondere l’«urgenza più grande», così presente nel campanello d’allarme di Víctor Codina.

Più ragionevole, mi sembra, ciò che ha dichiarato il card. W. Kasper: d’ora innanzi spetterà a ciascuna conferenza episcopale «decidere se è favorevole» ad attuare qualcosa di simile a ciò che sarà dibattuto – e probabilmente approvato – nel prossimo sinodo e che naturalmente sarà sottoposto all’approvazione del papa.

E anche ciò che è stato detto da François Glory, missionario in Brasile da trent’anni e da Antonio José Almeida, uno studioso del problema.

Per il primo dei due, «l’ordinazione degli uomini sposati può rafforzare il clericalismo», perché le comunità di base amazzoniche funzionano grazie alla divisione dei diversi servizi svolti da équipes di laici. L’emergere di questa nuova modalità potrebbe finire col concentrare tutto di nuovo sul prete, anche se sposato. Con questa proposta – conclude – non si risolve il problema.

Si può risolvere – sottolinea invece Antonio José Almeida – se si promuovono i «sacerdoti della comunità» che, sposati (o no), rafforzano la corresponsabilità delle équipes di laici nei settori dell’annuncio, del culto e della carità o della giustizia, in modo particolare, per la presenza dei cristiani nelle periferie del mondo e la comunione ecclesiale. In definitiva, se si favorisce un nuovo modello di prete che – agli antipodi di quello che predomina nella maggior parte delle Chiese del Primo Mondo – celebra i sacramenti perché sostengano la missione e la comunione ecclesiale.

In definitiva, in questo Sinodo si recupera una forma di governo che, anche se a molti potrà sembrare «rivoluzionaria», è molto tradizionale: le comunità propongono alternative che il papa ratifica, se ritiene fondata l’istanza.

Alla luce di questa prassi (dal basso verso l’alto) può aprirsi un’epoca in cui aumenterà il numero delle Chiese che desiderano diagnosticare la loro situazione e dibattere la loro programmazione futura.

La Germania ha deciso di avviarsi su questa strada. Ma quando lo faranno i vescovi, almeno quelli del Paese Basco? Non perdo la speranza che qualcosa del genere avvenga tra di noi; benché ci sia chi, viste le decisioni di carattere economico che recentemente si stanno prendendo, pensa che io stia chiedendo la luna.

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Parrocchie senza prete. Quali soluzioni?

Si è svolta a Torreglia (PD) dal 24 al 27 giugno la 69ª Settimana di aggiornamento pastorale promossa dal Centro orientamento pastorale (COP). I lavori hanno avuto come oggetto “La parrocchia senza preti. Dalla crisi delle vocazioni alla rinnovata ministerialità laicale”. Tra i relatori: F. Garelli, G. Villata, A. Steccanella, L. Bressan, L. Tonello, L. Voltan e A. Mastantuono.

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I lavori hanno preso avvio con la presentazione della situazione del clero in Italia; è innegabile – ci dicono i dati statistici – che, in tre decenni, il numero dei preti si è ridotto di circa il 16%, con grandi differenze a livello territoriale (situazione assai critica al Nord e più favorevole al Sud), con un’età media di oltre 61 anni, ma anche in questo caso con rilevanti differenze territoriali 1/3 del clero ha più di 70 anni, mentre il clero giovane (con meno di 40 anni) rappresenta il 10% del corpo sacerdotale.

La consapevolezza che il fenomeno ha i caratteri della permanenza e non può essere superato con il ricorso a soluzioni tampone previste dal Codice (can. 517 §2), ha stimolato una riflessione sulla Chiesa in cui il senso di corresponsabilità di tutti e uno stile più sinodale possono contribuire allo slancio missionario, poiché quest’ultimo diviene l’oggetto di tutti i fedeli, non per salvaguardare la sua organizzazione ma per una sempre maggiore fedeltà al mandato evangelico.

Soggetto collettivo

Se nella figura “anteriore” della Chiesa, così come si è costituita nel secondo millennio, la comunità parrocchiale di fatto si è identificata con i servizi resi quasi esclusivamente dal parroco e dai suoi collaboratori, la Lumen gentium (n. 26) invita a pensarci come «soggetto collettivo». La constatazione e l’interrogativo: «Quando assistiamo alle celebrazioni domenicali e ci chiediamo chi è il soggetto: il prete che viene da fuori e continua a tener viva l’eucaristia per persone spesso anziane – cosa assolutamente legittima – oppure una comunità “soggetto collettivo” che accoglie il prete affinché la presieda nel nome dello stesso Cristo?» conduce ad abitare la mancanza di preti spostando l’attenzione dal «che cosa fare» a «chi è coinvolto», in parole più semplici: ad una riflessione sulla Chiesa che superi la tentazione del clericalismo che nasce dal dimenticare che «la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il santo popolo fedele di Dio» (papa Francesco).

Il concilio Vaticano II aveva provato a disegnare una Chiesa in cui «… comune è la dignità dei membri in forza della loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia di essere figli, comune la chiamata alla perfezione, una la speranza e l’indivisa carità» (LG 32). Il sogno è stato mille volte ripensato, ammorbidito e ostacolato.

Corresponsabilità e sinodalità

Ci si augura che sia ormai superata (?) la visione di comunità ecclesiali in cui la relazione dei preti con i laici era costruita sui vecchi modelli dell’accentramento e della delega benevola, che rispecchiava una visione «gerarcologica» (Congar) o «piramidale» (papa Francesco), nella quale l’unico soggetto della missione salvifica era la gerarchia, mentre i laici erano esecutori o poco più; come non è più sufficiente parlare di collaborazione dei presbiteri con i laici, quasi che solo sul piano operativo – e sulla spinta della necessità – si dovessero costruire delle convergenze; è, invece, il momento di strutturare una vera e propria prassi di corresponsabilità, che rispecchia l’ecclesiologia del popolo di Dio tutto intero come “soggetto” della missione.

Il ricorso alla «corresponsabilità di tutto il popolo di Dio» sembra essere una delle strade da percorrere per abitare e superare la mancanza del clero, ma con le necessarie specificazioni.

L’idea che rimanda alla corresponsabilità nel Concilio (ricordiamo che il termine “corresponsabilità” non è presente nei testi conciliari) si fonda sull’asserto che in forza del battesimo tutti, ciascuno per la sua parte, siamo responsabili della comunione e della missione della Chiesa. Corresponsabilità ha qui a che fare certamente con la Chiesa. Non già però con la sua organizzazione o il suo funzionamento, ma con la sua radice – la comunione – e il suo senso ultimo – la missione –, cioè l’essere segno e strumento di tale comunione.

Parrocchia senza preti
Laici, non specialisti del sacro

Nella proposizione attuale della corresponsabilità sembra assente, o poco esplicitato, l’orizzonte ampio e fondamentale della comune responsabilità di fronte al mondo, quello dell’evangelizzazione.

È necessario purificarla da una declinazione eccessivamente funzionale alla gestione ecclesiastica allo scopo di riguadagnare la corretta referenza della comune responsabilità ecclesiale. In altre parole, è indispensabile recuperare la corretta prospettiva conciliare, in base alla quale, quando si parla di comune responsabilità ecclesiale, il riferimento non è tanto alla conduzione/gestione ecclesiale, bensì al comune impegno per la testimonianza della fede. Esiste il rischio che la stabilità e la partecipazione alla «cura pastorale», proprie dei ministeri laicali, conducano a qualche forma di clericalizzazione dei laici, trasformandoli in un «clero di riserva» (a disposizione del «clero ufficiale») o in una nuova categoria di specialisti del sacro estranei di fatto alla vita del mondo.

La corresponsabilità non è prima di tutto un aiuto ai pastori, ma espressione della vita cristiana, che trova luogo e forma principalmente nella vita concreta del territorio, della gente, del luogo di lavoro.

È necessario partire da questo riferimento fondamentale, perché esso chiarisce che i laici sono abilitati e riconosciuti nella loro responsabilità ecclesiale anzitutto e propriamente come laici, cioè non in forza di eventuali incarichi intraecclesiali, ma in forza della loro concreta vita cristiana, secondo la vocazione e lo stato di ciascuno.

L’ambito dell’impegno laicale non è peculiarmente la cura pastorale della comunità cristiana, ma si esprime nella responsabilità testimoniale nel servizio della comunità ecclesiale e sociale.

Una rinnovata visione della ministerialità

Come far vivere le comunità nel «vacuum lasciato da preti diventati itineranti» (C. Theobald)?

La risposta consiste nel creare progressivamente una nuova cultura ministeriale nella Chiesa alla luce di due condizioni: in primo luogo, la presa di coscienza, da parte delle nostre comunità, del loro ruolo di presenza missionaria in seno alla società; in secondo luogo, la scoperta che esse non dispongono automaticamente di preti a volontà ma che questi sono un dono fatto alla comunità che deve, a sua volta, sempre chiedersi di quale ministero ha bisogno per compiere la missione. Un processo – questo – che rimanda a comunità sinodali consapevoli di essere un popolo in cui «tutti fanno tutto, ma non allo stesso modo né allo stesso titolo» (Conferenza episcopale francese).

Dire sinodalità è affermare il camminare insieme, in cui il pastore esercita uno specifico e irrinunciabile compito di guida in un’effettiva, e mai definibile in partenza, interazione con gli altri carismi e ministeri di natura battesimale.

Parrocchie senza prete

Il sorgere di nuovi ministeri ecclesiali non può avvenire per una sorta di accanimento terapeutico su alcuni che vengono quasi precettati per il servizio alla comunità, ma nasce da un’opera di discernimento comune di sacerdoti e laici che si pongono insieme il tema della praticabilità della vita cristiana in quel luogo.

Per quanto nasca da una radice carismatica, un ministero deve avere una figura precisa e godere quindi di una certa stabilità riconosciuta come tale almeno dalla Chiesa diocesana. Se, mediante il battesimo e la cresima, ogni cristiano diventa presenza di Vangelo nel suo ambiente, il riconoscimento di questa persona da parte della comunità e del prete responsabile la trasforma in presenza di Chiesa.

Un ministero suppone quindi un riconoscimento pubblico e un mandato esplicito, ma anche un rendere contodell’azione svolta; in effetti, alla persona inviata sono attribuiti una funzione o un compito ben definiti e stabiliti in una lettera di missione.

Esperienze

All’interno della Settimana COP sono state presentate alcune esperienze già in atto. Le ricordiamo brevemente.

  • Le unità pastorali

È un’esperienza che coinvolge ormai numerose diocesi in Italia; ha innescato un processo di revisione e di rilettura della figura classica e abituale della parrocchia che ha condotto ad una serie di acquisizioni: la riscoperta dell’evangelizzazione, come compito prioritario, appartenente a tutto il popolo di Dio; non più solo il prete come unico referente della pastorale della parrocchia, ma tutti i battezzati che desiderano vivere la loro fede in stile di corresponsabilità; non più la singola parrocchia, caratterizzata dalla coppia “campanile al centro, confini alla periferia”, ma più parrocchie insieme che agiscono, almeno in alcuni ambiti, come soggetto unitario di evangelizzazione.

  • Assunzione di responsabilità da parte di laici e di famiglie

Accanto alla figura di un responsabile parrocchiale laico (cf. can. 517 § 2) sono presenti in Italia alcune esperienze di responsabilità parrocchiale affidate ad una famiglia. In forza del sacramento del matrimonio, la famiglia non solo è luogo originario di relazioni generative al suo interno, ma anche nei confronti della comunità.

  • Le équipes di animazione pastorale

L’attivazione delle équipes contribuisce a rafforzare l’idea di Chiesa che si realizza in un luogo e permette alla singola comunità di continuare ad essere artefice della missione della Chiesa sul territorio localizzandosi e generando vita di fede. In quanto figura pastorale qualificata ed efficace, manifesta una ricca simbolica ecclesiale. Il gruppo evita l’identificazione e la concentrazione dell’azione sulla singola persona (clericalismo); permette un confronto a più voci evitandole personalizzazioni (sinodalità); consente la promozione di una collaborazione efficace (comunione); configura in piccolo la comunità stessa con la varietà dei doni e delle operazioni (soggettualità); traduce in operatività le indicazioni degli organismi di consiglio (prassi pastorale).

La Madre Teresa delle prostitute

È possibile perdonare? In Svezia, da bambina fu vittima di abusi, e dopo la fuga da casa finì nella rete della prostituzione, per poi cadere nella dipendenza da alcool e droghe. E’ stata vittima di violenze. Oggi, migliaia di persone la chiamano l’“Angelo delle prostitute di Malmskillnadsgatan”, una delle strade del centro di Stoccolma; a volte anche la “Madre Teresa delle prostitute”. Questa è la storia di Elise Lindqvist, e del mistero del perdono

vaticannews

Charlotta Smeds – Città del Vaticano

La domanda nasce spontanea quando la incontri. Com’è possibile? Com’è possibile che questa donna, che fin dall’infanzia in Svezia ha vissuto vicende tanto drammatiche, abbia gli occhi che trasmettono solo una profonda pace e gioia?

Voglio incontrare il Papa

Incontro Elise Lindqvist al suo arrivo a Roma: è venuta per salutare il Papa al termine di un’udienza, nel mese di maggio. Ha un solo desiderio: “Voglio ringraziare Papa Francesco per la sua battaglia contro la tratta degli esseri umani”.

Elise Linsqvist saluta il Papa dopo l’udienza a maggio

Elise Linsqvist saluta il Papa dopo l’udienza a maggio

Elise Lindqvist ha la stessa età del Papa: entrambi sono nati nel 1936. Ha anche la sua stessa instancabile grinta, sebbene raccolta in un corpo di appena 1 metro e 50. Per riuscire a dare meglio la mano a Francesco, dopo l’udienza, Elise sale un grandino sulla transenna. “Ho sentito parlare di te”, le dice il Papa, “fai un lavoro meraviglioso!”. Lui si riferisce alle notti trascorse da Elise a dare sostegno e consolazione alle donne di strada a Stoccolma. Da oltre 20 anni le cerca per dare loro sostegno, fare loro da madre e ricordare loro che c’è una vita oltre la strada. E lei questo lo sa bene, perché era una di loro. 

Elise Lindqvist da bambina

Elise Lindqvist da bambina

Un’infanzia drammatica

Elise Lindqvist nasce in un piccolo villaggio svedese, e dall’età di 5 anni gli abusi sessuali diventano parte della sua vita quotidiana. Lei sottolinea che non era il padre ad abusare di lei, ma persone vicine alla famiglia. Spaventata, ubbidiva, convinta che ciò facesse parte di tutto quello che i bambini dovevano sopportare. “Quando mi dicevano di venire a mangiare a casa loro, sapevo il prezzo che dovevo pagare. Dopo correvo via, con la minaccia che sarei stata uccisa se avessi raccontato”. Il dolore provato da Elise era causato dal non potersi fidare di nessun adulto: era stata abbandonata da tutti coloro che avrebbero dovuto difenderla. Addirittura la madre guardava da un’altra parte mentre gli uomini la portavano in un’altra stanza. A scuola, il maestro mandava gli alunni fuori in cortile per la ricreazione, mentre a lei diceva: “Elise, resta qui!” Suo padre era l’unico che a volte la prendeva in braccio e le diceva: “la mia piccola”. Da tutti gli altri, invece, veniva punita per essere “brutta e stupida”. “Penso che senza quelle piccole manifestazioni di tenerezza di mio papà non sarei sopravvissuta”. Ma con la morte del padre, avvenuta quando Elise aveva 10 anni, la vita diventa per lei ancora più dura. Il nuovo compagno della mamma fa abuso di alcool e aggredisce continuamente Elise. “Un giorno mi punta il fucile addosso, e io, a soli dieci anni, lo supplico di sparare, perché non volevo più vivere”. Ma il fucile è scarico e l’uomo spara a vuoto. “Il Signore mi voleva viva, anche se ancora non sapevo della sua esistenza”.

Elise Lindqvist da bambina

Elise Lindqvist da bambina

“Quanto sei bella”

A quattordici anni scappa di casa e arriva in una città, dove una famiglia buona si prende cura di lei. “Quando la mamma della famiglia mi spogliò la prima sera, pensai rassegnata che tutto sarebbe continuato anche qui. Invece, mi spogliò soltanto per lavarmi, e lo fece in modo molto delicato”. Elise, a questo punto della storia, diventa molto seria. “Quello che mi succede adesso, è quello che succede a migliaia di ragazze oggi. I papponi riconoscono le vittime perfette e sanno come acchiapparle”. Nel caso di Elise, si trattò di una donna che un giorno le si avvicinò e le disse: “Come sei bella…”
“Era una bellissima signora. Nessuno fino ad allora mi aveva mai detto ‘bella’, e in un attimo caddi totalmente in suo potere. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei. La chiamavo ‘mamma’, e lei mi comprava vestiti e trucchi. Un giorno mi disse che avrei dovuto lavorare per lei, vendendo il mio corpo ai suoi clienti. Avevo 16 anni, e ho ubbidito.”
Elise non sa esattamente quanti anni ha lavorato per questa signora. Si ricorda solo come ha smesso, dopo aver subito una violenza particolarmente forte da parte di un cliente. Tornò dalla sua padrona e le disse che non ce la faceva più a prostituirsi. “Sono stata fortunata. Se oggi una ragazza si rifiuta di continuare a prostituirsi, viene uccisa e il suo corpo sparisce. La mia padrona ha aperto la porta e mi ha buttato giù dalle scale: ‘Non hai più niente da fare qui’”.
A questo punto, Elise inizia a vivere come una senza tetto, prendendo il cibo dai bidoni della spazzatura per strada. “Conoscevo solo rapporti distruttivi, e finivo con uomini violenti. Per consolazione mischiavo alcool e pasticche, e cadevo in una dipendenza sempre più disperata”.

Elise Lindqvist all’età di 80 anni

Elise Lindqvist all’età di 80 anni

La luce di Gesù

La guardo e vedo un viso che esprime solo pace e gioia. Non c’è traccia del suo racconto drammatico, nessuna amarezza né rancore. “Nel 1994, vengo ricoverata in un centro di recupero. Tutti avevano paura di me. Appena qualcuno si avvicinava, lanciavo dei calci, e se vedevo un uomo, gli sputavo e gridavo parolacce. Conoscevo solo la rabbia”. Elise racconta di come per lei, in questo centro, le persone si comportassero in modo strano. “Tutti sorridevano. All’inizio mi dissi che ero sicuramente finita in un manicomio. Quei sorrisi erano provocanti… Dopo un po’, iniziai a pensare che la ragione di quei sorrisi fosse sicuramente un uso di fantastiche sostanze chimiche, e per questo cominciai a chiedere le ‘pasticche’ che prendevano loro”. Invece, al posto delle pasticche, quelle persone portarono Elise in una cappella e cominciarono a pregare per lei. Diffidente e chiusa, Elise assisteva, ignara di cosa stessero facendo intorno a lei.
“Non sapevo niente di Dio, e della preghiera: per me la Chiesa era un posto di morte.” A un certo punto, avviene quello che lei descrive come un “intervento soprannaturale”. Ho avuto la sensazione fisica di fare una doccia, ma una doccia di luce e di pace. Gesù era l’unico che poteva guarirmi: ero un caso umano impossibile. E così è stato. In quel momento, io sono ‘nata’. E quando oggi mi chiedono quanti anni ho, io rispondo ’25’: 25 anni fa Gesù mi ha dato la vita e ho imparato a camminare nel suo amore.”

Niente guarigione senza perdono

Qualche mese più tardi, quando si era abituata a vedere con occhi nuovi, compiendo i primi passi del suo cammino di fede, il padre spirituale di Elise le confida che deve fare un passo ulteriore: deve perdonare! “Di nuovo, ho reagito presa da una forte rabbia. Come poteva pretendere che avrei dovuto perdonare il male che tante persone mi avevano fatto?” Elise, a questo punto, racconta di come le hanno spiegato che non sarebbe mai potuta guarire se non avesse perdonato. “È stato un processo lungo e doloroso, sempre in cappella a pregare, nome dopo nome. Da ultimo, sono riuscita a perdonare mia madre, che non mi ha amato e non mi ha difeso. Ho capito che non era in grado, e che anche lei, a sua volta, era una vittima”.

Elise Lindqvist ascolta una donna di strada

Elise Lindqvist ascolta una donna di strada

L’Angelo delle prostitute

Da oltre 20 anni, Elise Lindqvist utilizza la sua drammatica esperienza per aiutare altre donne: “La prima volta che sono uscita di notte, sulla famosa via delle prostitute di Stoccolma, la Malmskillnadsgatan, ho visto me stessa, e ho capito che questa era il posto dove dovevo operare”.

Di notte, Elise Lindqvist distribuisce indumenti per ripararsi dal freddo

Di notte, Elise Lindqvist distribuisce indumenti per ripararsi dal freddo

La sua opera consiste nell’essere una presenza materna, costante: una persona che ascolta, abbraccia, porta qualcosa da bere e offre indumenti per riscaldarsi nelle fredde notti invernali.
“Ogni volta che riesco a salvare una ragazza dalla strada, quello è per me il premio più bello, ma la mia presenza serve soprattutto a dare consolazione e coraggio; a far sapere loro che c’è chi le ama, e che non sono sole”, racconta. “Mi chiamano “mamma”.
Il 18 ottobre 2016, in occasione della Giornata europea contro la tratta degli esseri umani, Elise è stata invitata a parlare al Parlamento Europeo. Nel suo discorso ai parlamentari, ha sottolineato le responsabilità delle istituzioni: adottare risoluzioni concrete che bandiscano totalmente la tratta degli esseri umani, dal momento che tutti gli Stati membri sono consapevoli del problema.
“Ho concluso dicendo che tornerò quando compirò 90 anni per vedere se hanno tenuto fede all’impegno preso”.
Attraversando la Piazza alla fine dell’Udienza, le chiedo perché zoppica, e lei risponde di sfuggita: “Mi hanno buttato giù da una scala mobile qualche tempo fa. A certe persone, la mia presenza vicino alle prostitute dà fastidio”.
 

Elise Lindqvist all’Udienza del Papa a maggio

Elise Lindqvist all’Udienza del Papa a maggio

L’anniversario. Fiat 500 per il compleanno si regala la Dolcevita

Lanciata a Roma una serie speciale “estiva” nella data storica per il modello più venduto del Gruppo Fca

La Fiat 500 Dolcevita davanti alla Fontana di Trevi a Roma

La Fiat 500 Dolcevita davanti alla Fontana di Trevi a Roma

avvenire

Fiat, e con lei tutto il Gruppo FCA, celebra a Roma un 2019 particolarmente significativo sul piano storico e dal punto di vista delle prospettive di sviluppo in tutti i mercati. Nel giorno del dodicesimo compleanno della moderna Fiat 500 – che venne lanciata il 4 luglio del 2007 con una grande festa sulle rive del Po, dedicata a tutta la città di Torino – e a pochi giorni dal 62° anniversario dal lancio della Nuova 500(mostrata in anteprima al Presidente del Consiglio Adone Zoli, nei giardini del Viminale il primo luglio del 1957 e lanciata ufficialmente il giorno successivo a Torino) debutta infatti a Roma una serie speciale “estiva”della 500, la Dolcevita, che rafforza l’immagine esclusiva e raffinata di questo modello vera icona dei nostri giorni, e proiettata verso lo sviluppo dell’offerta in questo e negli altri segmenti presidiati da Fiat.

Per il suo look, per le sue caratteristiche e per i suoi contenuti l’ultima arrivata tra le 500 ha tutti gli ingredienti per consolidare il successo di un modello che lo scorso anno, nel suo undicesimo anno di vita, ha registrato il miglior progressivo di sempre con quasi 194.000 unità immatricolate(totale Fiat 500 e Abarth 595). Senza contare che da 2 anni è l’auto più venduta del Gruppo
FCA,
 oltre ad essere leader in Europa nel segmento delle city-car. La Fiat 500 inoltre è la capostipite dell’omonima famiglia – composta dai modelli 500, 500X e 500L – che poche settimane fa ha raggiunto la quota record di tre milioni di unità vendute in Europa.

La nuova serie speciale 500 Dolcevita è dedicata a un cliente raffinato alla ricerca di esclusività ed eleganza. Sono gli stessi valori alla base del più autentico stile italiano, quello che nell’immaginario collettivo coincide con la “Dolce Vita”. E come si addice a una diva dell’epoca, la nuova vettura è “vestita” esclusivamente di una candida livrea Bianco Gelato, impreziosita dalla linea di bellezza rosso/bianco/rosso che avvolge l’intera silhouette. A siglarne l’eleganza il logo “Dolcevita” cromato in corsivo, un dettaglio di stile che spicca sul posteriore, che si sposa perfettamente con la modanatura cromata sul cofano, le calotte degli specchietti cromate e le fasce laterali con targhetta “500”. Il tutto è completato dagli eleganti cerchi in lega da 16″ in bianco diamantato e dal tetto in vetro Skydome sulla versione berlina. Disponibile anche nella configurazione cabrio, la serie speciale 500 Dolcevita può essere equipaggiata scegliendo tra le motorizzazioni 1.2 da 69 CV, abbinato al cambio automatico Dualogic o cambio manuale, 0.9 Twin Air da 85 CV e 1.2 GPL da 69 CV, entrambi con cambio manuale.

La nuova 500 in chiave “vacanze romane” amplia la collezione di oltre 30 serie speciali che si sono succedute in questi ultimi 12 anni, vetture uniche nate dalla collaborazione tra il Centro Stile Fiat e brand iconici – dalla moda alla nautica di lusso, dalla tecnologia all’heritage – con cui il marchio ha esplorato territori inusuali per una city-car. Forte della sua innata vocazione di trendsetter, di recente la Fiat 500 ha compiuto un ulteriore passo avanti con la nuova gamma che si arricchisce di aggiornamenti importanti, tra cui spiccano le due nuove versioni top di gamma Star e Rockstar. Ma il 2019 segna anche un anniversario di importanza storica: i 120 anni dalla fondazione di Fiat, che avvenne l’11 luglio del 1899. Un traguardo che solo pochissime Case
automobilistiche nel mondo possono annoverare e che oggi anticipa il futuro, con l’impegno nella espansione della globalizzazione e nella transizione verso le prossime soluzioni di mobilità.

Scenari. L’intelligenza artificiale, il volto del nuovo antiumanesimo?

Per il filosofo Éric Sadin «saremo chiamati sempre meno a dare istruzioni alle macchine e sempre più a riceverle da loro. Così l’intelligenza artificiale mina il nostro diritto a determinarci»

Il filosofo Eric Sadin

Il filosofo Eric Sadin

da Avvenire

«È la nostra intera tradizione umanistica che è in pericolo con progressiva messa al bando dell’essere umano in qualità di essere che agisce ad opera dell’intelligenza artificiale» dichiara il filosofo Éric Sadin, classe 1973, uno dei più acuti critici dell’espansione dell’IA, di cui Luiss University Press ha pubblicato Critica della ragione artificiale (pagine 208, euro 21,00)

Perché l’intelligenza artificiale introduce «un nuovo regime di verità»?

A caratterizzare l’intelligenza artificiale è l’estensione della sua expertise che continua a migliorare. I sistemi sono ora in grado di analizzare situazioni di ordini sempre più diversi e di rivelare degli stati di fatto alcuni dei quali addirittura ignorati dalla nostra coscienza. E lo fanno a una velocità che supera le nostre capacità cognitive.

Può spiegarlo meglio, per favore?

Oggi stiamo vivendo un cambiamento di stato delle tecnologie digitali. Non hanno più lo scopo di permetterci di manipolare facilmente le informazioni ma pretendono di rivelare la realtà dei fenomeni di là dalle apparenze. Oggi i sistemi computazionali hanno una vocazione inquietante, enunciare la verità. Alla tecnica sono attribuite prerogative di nuovo genere come quella di illuminare con la sua luce il corso delle nostre vite.

Come tutto questo si manifesta nel nostro quotidiano?

Quando le tecniche sono chiamate a dirci la verità, si riconosce a loro la facoltà di parola. Succede con gli altoparlanti connessi con cui interagiamo oralmente. O con i chatbot o con gli assistenti vocali digitali progettati per guidarci nel vivere quotidiano. Saremo sempre più circondati da spettri incaricati di amministrare le nostre vite. È ciò che chiamo power-kairos, la volontà dell’industria digitale di essere continuamente presente al nostro fianco per influenzare le nostre azioni. L’imminente lotta industriale vedrà una competizione di presenza, dove ogni attore si sforza di imporre il suo impero spettrale a spese di tutti gli altri.

Secondo lei l’umanità si sta dotando di strumenti per rinunciare alla sue prerogative decisionali…

Viviamo la svolta ingiuntiva della tecnologia. È un fenomeno unico nella storia dell’umanità che vede le tecniche richiederci di agire in un modo o nell’altro. Questo non avviene in modo uniforme ma agisce a diversi livelli. Può cominciare come incentivo, per esempio con un’applicazione dicoaching sportivo che suggerisce un tipo di integratore alimentare. Oppure avviene a livello prescrittivo, come in caso di valutazione della concessione di un prestito bancario o nel settore del reclutamento che si avvale di robot digitali per selezionare i candidati.

Che conseguenze avrà?

Parliamo spesso della favola della complementarietà uomo- macchina ma più il livello delle competenze automatizzate sarà perfezionato, più la valutazione umana sarà emarginata. Fino a raggiungere livelli coercitivi, emblematici nel mondo del lavoro, che vede i sistemi ordinare alle persone i gesti da eseguire. Il libero esercizio della nostra facoltà di giudizio è sostituito da protocolli progettati per guidare le nostre azioni.

Per questo lei considera l’intelligenza artificiale un antiumanesimoradicale?

Con il pretesto di facilitare del lavoro, essa ha nascosto il capovolgimento in atto. Le tecnologie digitali e gli strumenti per il supporto decisionale sono diventati organi decisionali. Saremo sempre meno chiamati a dare istruzioni alle macchine e sempre più a riceverle da loro. Così l’intelligenza artificiale marginalizza l’esercizio della nostra facoltà di giudizio e mina il nostro diritto a determinarci liberamente e in coscienza.

Come accade?

Nella loro ambizione di governarci continuamente, questi sistemi stabiliscono una relazione strettamente utilitarista con l’esistenza, collegando ogni azione debba a un fine, che si tratti del cosiddetto comfort o ottimizzazione delle sequenze delle nostre vite. È la singolarità degli esseri e della pluralità umana che viene gradualmente neutralizzata da modalità di organizzazione automatizzate che dissipano il conflitto, la deliberazione e la concertazione, principi alla base della vita politica democratica. C’è la volontà di eliminare tutte le incertezze, le debolezze, le fallibilità che nasce dalla negazione della nostra umanità per stabilire una società presumibilmente perfetta, una sorta di estremo igienismo.

Come difenderci?

La velocità degli sviluppi, presentati come ineludibili, ci priva della capacità di pronunciarci in coscienza. Mentre i corifei dell’automazione del mondo sono molto intraprendenti, a dispetto delle conseguenze per la civiltà, noi ci ritroviamo colpiti dall’apatia.

Quindi?

Prima di tutto bisogna contraddire i tecno- discorsi e riportare testimonianze provenienti dalle realtà dove questi sistemi operano, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali… Dovremmo manifestare il nostro rifiuto rispetto a determinati dispositivi quando si ritiene che minino la nostra integrità e dignità. Contro l’assalto antiumanista, bisogna imporre un’equazione semplice ma intangibile: più si tenta di privarci del nostro potere di agire, più è necessario agire.

Sette donne tra i membri della Congregazione dei religiosi

Sette donne tra i membri della Congregazione dei religiosi

Infornata di nuovi membri al Dicastero che si occupa degli Istituti di Vita Consacrata. Per la prima volta il papa nomina anche superiori degli isituti femminili

da Avvenire

Entrano anche le superiori generali delle Famiglie religiose femminili tra i nuovi membri della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. La Congregazione, guidata dal prefetto il cardinale Joao Braz de Aviz, è composta di cinque uffici e si occupa di promuovere e regolamentare le forme di vita consacrata e monastica nella Chiesa Cattolica. Nello specifico papa Francesco ha nominato i nuovi membri del dicastero vaticano i porporati Angelo De Donatis, vicario generale del Pontefice per la diocesi di Roma; Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, e camerlengo di Santa Romana Chiesa; Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Valladolid; come significativa nella scelta tra i vescovi vi è stata quella ricaduta sul gesuita italiano Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia (Turchia); il Pontefice ha inoltre nominato membri vari superiori generali di importanti famiglie religiose, tra questi: l’attuale preposito della Compagnia di Gesù il venezuleano Arturo Sosa Abascal, gli italiani Saverio Cannistrà preposito generale dell’Ordine dei carmelitani scalzi e Roberto Genuin, ministro generale dei cappuccini. Come significativa la scelta del Papa di scegliere sette donne che sono alla guida di importanti Congregazioni femminili: tra queste suor Yvonne Reungoat (Figlie di Maria Ausiliatrice, “Salesiane di Don Bosco”) e le italiane Simona Brambilla (Suore Missionarie della Consolata) e Luigia Coccia (Suore Missionarie, Pie Madri della Nigrizia, “Comboniane”). La presenza di donne come membri nei dicasteri è uno dei segni che papa Francesco vuole dare per dare maggiori responsabilità alle donne nella Chiesa.

Reggio Emilia. Bimbi sottratti, metodi sospetti. Per 20 anni lo stesso copione

Modena, Reggio Emilia, Salerno, Biella… «stessi operatori, stessi drammi». E a “Chi l’ha visto” la prova dei lavaggi di cervello

La disperazione di una donna cui i servizi sociali hanno tolto la figlia (Fotogramma)

La disperazione di una donna cui i servizi sociali hanno tolto la figlia (Fotogramma)

da Avvenire

«Mi sono occupato di ’Ndrangheta per anni, ma questa inchiesta è umanamente devastante». Così il procuratore capo di Reggio Emilia ha commentato ‘Angeli e Demoni’, l’inchiesta che avrebbe fatto emergere un giro di affidamenti illeciti di bambini nella provincia di Reggio Emilia. Corposo il materiale raccolto in mesi di indagini e intercettazioni su figli strappati ai genitori ‘per essere sottoposti a lavaggio del cervello’, convinti di ‘aver subìto abusi in realtà inesistenti’, indotti attraverso falsi ricordi ad accusare i genitori. Un sistema lucroso (centinaia di migliaia di euro secondo gli inquirenti) messo in opera da anni dalla rete dei servizi sociali della Val d’Enza reggiana. Le sedute psicoterapeutiche erano condotte dagli operatori dell’associazione Hansel&Gretel di Moncalieri ( Torino), con il loro metodo del ‘disvelamento progressivo’ o ‘empatico’: agli arresti il fondatore Claudio Foti (‘alterava lo stato psicologico attraverso suggestioni’ e così ‘convinceva il minore dell’avvenuto abuso’), con la sua attuale compagna Nadia Bolognini. Chiaro il procuratore capo: «Abbiamo fatti, non critiche a metodologie».

E allora ecco i fatti. 
Sono 277 le pagine dell’ordinanza con cui il gip di Reggio Emilia Luca Ramponi ha disposto 17 misure cautelari e indagato 27 persone: vi sono le pressioni subite dai bambini, la violenza psicologica con cui venivano indotti a dire e pian piano a credere ciò che ‘dovevano’ dire e credere, il tutto con l’ausilio di metodiche che, se non fossero state registrate e riprese dai Carabinieri, sembrerebbero incredibili. Qualche esempio. Una delle psicoterapeute vuole rimuovere la figura del padre dalla mente del piccolo: «Dobbiamo fare una cosa grossa – gli dice – sai qual è?, l’elaborazione del lutto… quel papà non esiste più come papà, è come fosse morto, dobbiamo fargli un funerale ». Chiaro perché i regali e le lettere portati dai genitori non venivano consegnati ai figli, sempre più certi di essere stati abbandonati.

Il metodo di Hansel&Gretel e affini
I bambini – continuano gli inquirenti – ‘anche in tenera età, subivano ore di lavaggi del cervello intercettati, dopo esser stati allontanati dalle famiglie at- traverso le più ingannevoli attività’. Tra queste, ‘relazioni mendaci, disegni artefatti con l’aggiunta mirata di connotazioni sessuali’ e addirittura ‘terapeuti travestiti da personaggi cattivi delle fiabe in rappresentazione dei genitori intenti a fargli del male’.

La macchinetta della ‘verità’
E poi i ‘falsi ricordi di abusi sessuali ingenerati con gli elettrodi di quella spacciata ai bambini per macchinetta dei ricordi’. Nessun elettrochoc, come sbrigativamente titolato dai giornali, ma un ‘Neurotek’, macchinario Usa il cui utilizzo non è certo previsto dal sistema sanitario italiano: il bambino riceve sulle dita impulsi elettromagnetici mentre ‘confessa’. Non un elettrochoc, certo, ma se veniva applicato un effetto lo aveva. Facile immaginare la paura di quei piccoli, soprattutto leggendo quali domande suggestive fossero loro rivolte durante gli impulsi. Questo nell’Italia del 2019, dove se un maestro bacchettasse le dita di un alunno sarebbe radiato.

Satana, da copione
E così, quasi da copione (visti i pregressi di Finale Emilia vent’anni fa, di cui parleremo poi), ecco arrivare le ‘confessioni’ anche sul satanismo. Il meccanismo è perverso, sempre lo stesso: la bimba nel 2011 è stata allontana dal nucleo familiare solo per problemi economici. Ma solo dal 2017, quando inizia la terapia a ‘La Cura’ di Bibbiano con la Bolognini – attuale compagna di Foti, anche lei ai domiciliari – ‘emersero racconti di abusi sessuali seriali, subiti da lei, dal fratello e dalla sorella da parte dei genitori’. Di peggio: ‘Subito dopo la seduta con la citata terapeuta nel 2018 avrebbe iniziato a manifestare sintomi di una sorta di possessione demoniaca, giungendo a raccontare omicidi plurimi commessi dal padre quando lei aveva tra 2 e 4 anni… La notte di Halloween uomini mascherati portavano 5/6 persone per volta, immobi-lizzate con iniezioni presso la sua abitazione, ove il padre le uccideva e ove i bambini venivano poi stuprati’. Infine ‘il padre truccava il volto dei bambini col sangue dei cadaveri e li dava alla madre’. Gli inquirenti precisano che la Bolognini ha atteggiamenti fortemente induttivi per far emergere nella ragazzina ‘l’essere cattivo che dimorava dentro di lei’.

I danni nel tempo
Torture psicologiche indelebili. Lo dice il gip: diventati adolescenti, quei bambini ora ‘manifestano profondi segni di disagio’, caduti nella droga e nell’autolesionismo. Questi dunque i risultati ottenuti da ‘esperti’? Niente di nuovo, per chi conosce già le vicende analoghe avvenute venti anni fa nel Modenese, seguite fin dagli esordi da ‘Avvenire’ e oggi approdate nelle otto imperdibili puntate di ‘Veleno’ di Pablo Trincia. Anche lì si verificò uno strano ‘picco’ di presunti abusi sui bambini, tant’è che una ventina furono prelevati la notte nelle case o al mattino a scuola e mai più fecero ritorno. Dopo le sedute con gli operatori della Hansel&Gretel (allora non c’era la Bolognini ma la prima moglie di Foti, Cristina Roccia) cominciarono uno a uno a raccontare di messe nere, sangue di cadaveri bevuto scoperchiando lapidi e bare in pieno giorno, decine di bimbi accoltellati sulle croci e decapitati da loro stessi. Orrori mai avvenuti (non mancava un solo bambino nei paesi), ma gli ‘esperti’ ci credettero e fioccarono allontanamenti definitivi, arresti, condanne. Anche gli assolti non rividero più i figli.

Il vero dramma a ‘Chi l’ha visto’
Mercoledì ‘Chi l’ha visto’ ha ripercorso i punti di contatto tra la Bassa Modenese e l’attuale caso di Reggio Emilia (in entrambi opera la psicologa Valeria Donati). Grande il turbamento quando hanno parlato di spalle due delle ex bambine, all’epoca torchiate da psicologhe e assistenti sociali con i soliti metodi. Oggi, donne di 27/28 anni, sono ancora convinte di aver squartato decine di bambini. E per questo piangono, tremano: «Certo che l’ho fatto, lo ricordo benissimo»… La Cassazione ha stabilito da anni che nulla di ciò era avvenuto, ma ormai sono marchiate a vita, si credono ancora assassine, prostrate dal pentimento di ciò che non hanno fatto. In studio c’era una delle madri (assolta), mater dolorosa impietrita a veder sua figlia ridotta così, mai più vista da 21 anni fa.

L’odio lgbt per i maschi
Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza (ora ai domiciliari) è attivista lesbica. In qualche caso (forse tre) ha sottratto i minori e li ha affidati a coppie lesbiche. Una volta addirittura alla sua ex compagna Fadia Bassmaji, ai domiciliari. Non solo: le due affidatarie lesbiche, dice l’ordinanza, imponevano alla piccola ‘un orientamento sessuale vietandole tassativamente i capelli sciolti’, ritenuti ‘appetibili per i maschi’. Atteggiamento che il gip definisce ‘ideologicamente e ossessivamente orientato’. Dalle intercettazioni emerge che le due instillavano nella piccola l’idea che il padre l’avesse abusata, e la ingiuriavano con cattiveria gratuita.

Non solo Emilia Romagna
Alessandra Pagliuca, psicologa di Hansel& Gretel, contribuì a sottrarre i 16 bambini nella Bassa Modenese vent’anni fa. Ma la giornalista napoletana Rosaria Capacchione denuncia su fanpage.it: alla Pagliuca si deve pure l’inchiesta sulle sètte sataniche a Salerno nel 2007. Tre fratellini raccontarono di adulti incappucciati, diavoli, pozioni di sangue, sperma e droga. Stessa follia di Finale Emilia, guarda caso. «Inchieste poi fondate sul nulla, ma i bambini non sono più tornati», dice. ‘Il fatto quotidiano’ invece ricordava ieri il famoso suicidio a Biella di quattro adulti accusati di pratiche indicibili sui figli. Lasciarono un biglietto, ‘siamo innocenti’. «A far parlare i bambini erano Claudio Foti e, di nuovo, Cristina Roccia».

Traumatizzati all’infanzia?
Tutti gli indagati ‘hanno avuto esperienze traumatiche nell’infanzia’ simili a quelle attribuite ai minori, scrive il gip: uno stupro di gruppo da piccola, una dipendenza da alcol, maltrattamenti dal padre alcolizzato… Esperienze pregresse per le quali ‘non potevano porsi in rapporto di indifferenza verificando gli eventi’. Storie oscure di affidi illeciti: le gravi accuse nell’ordinanza, i fatti sconcertanti emersi dalle intercettazioni Il procuratore capo: «Mi sono occupato di ’ndrangheta, ma questa inchiesta è umanamente devastante. Sono fatti» Modena, Reggio Emilia, Salerno, Biella… «stessi operatori, stessi drammi». E a ‘Chi l’ha visto’ la prova dei lavaggi di cervello