APPELLO DI REGGIO TERZO MONDO PER SOSTENERE LE SCUOLE ELEMENTARI IN MADAGASCAR

Anche in Madagascar, dove nel 1973 ha iniziato la sua attività Reggio Terzo Mondo, stanno per riprendere le scuole. In seguito alla crisi socio-politica del 2009, nella grande isola rossa il settore dell’educazione è peggiorato: le famiglie hanno difficoltà a mandare i loro figli a scuola e i principali indicatori dell’istruzione si sono abbassati. Tra le priorità del governo figura la scolarizzazione dei bambini esclusi dal sistema educativo formale, tuttavia la mancanza di risorse finanziarie ne rendono difficile la realizzazione. La scolarizzazione dei bambini viene così trascurata. Gli sforzi dei dirigenti scolastici, degli insegnanti e delle autorità locali non sono sufficienti e il sostegno troppo limitato dello Stato non consente lo sviluppo dell’educazione nella Regione. I dirigenti scolastici e gli insegnanti lavorano in condizioni difficili e gli alunni in un ambiente poco accogliente.

RTM Reggio Terzo Mondo, riconosciuta come ONG (legge 125/14) e ONLUS (D.L. 460/97), lancia un appello per garantire un’istruzione di qualità ad oltre cinquemila bambini poveri che vivono ad Antananarivo, la capitale della grande isola africana. Purtroppo meno del 70% dei piccoli completa le elementari. Per questo da tre anni RTM collabora con 25 scuole. I risultati fino ad ora sono incoraggianti. Gli insegnanti hanno partecipato a corsi di formazione con entusiasmo ed utilizzano il nuovo materiale ricevuto per migliorare la didattica; gli spazi per le bambine e i bambini so aumentati ; infine, per i genitori, sollevati da parte delle spese scolastiche, è meno gravoso mandare i figlia  scuola. Ma servono ulteriori aiuti economici per fornire materiale scolastico ai piccoli studenti, formare i docenti e completare la ristrutturazione degli ambienti scolastici. Si tratta sempre di classi particolarmente numerose.

Scrive Maria Teresa Pecchini, presidente di RTM Volontari nel mondo: “Attraverso l’istruzione questi bambini, che viv9ono ai margini della società, possono aspirare ad un futuro migliore”.

Le offerte a RTM possono essere effettuate con: versamento sul c/c postale intestato a R.T.M. n. 14154421; bonifico su c/c postale IBAN: IT58 Q 07601 12800 000014154421; Bonifico bancario presso: Emil Banca Credito Cooperativo, Filiale di Reggio Emilia, Via Adua IBAN: IT14 I 07072 12805 068220101043; indicando come causale: Erogazione liberale a favore di RTM ONG/ONLUS idonea.

PAPA FRANCESCO E LA SFIDA EDUCATIVA

La sfida educativa è al centro dello sguardo di papa Francesco: lo ha rilevato nell’incontro svoltosi nel pomeriggio di giovedì 5 ottobre all’Istituto San Vincenzo nel suo ampio e articolato intervento Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Conferenza Episcopale Italiana. Va ricordato che il 5 ottobre si celebra la giornata mondiale degli insegnanti.

Parlando agli educatori, il relatore ha sottolineato che quando si parla di educazione in rapporto a Bergoglio, il discorso cade facilmente sulla scuola – in particolare le “scolas occurrentes”, le scuole dell’incontro – perché l’esperienza scolastica  ha avuto un forte peso nella sua vita, prima da alunno, poi da insegnante. Non va poi dimentico che quando era ancora vescovo in Argentina presiedeva l’annuale “Messa per l’educazione”accompagnata da un messaggio alle varie istituzioni educative.

Diaco ha presentato alcune chiavi del pensiero educativo di Papa Francesco. Innanzitutto la dimensione sociale dell’educazione: educare è costruire il mondo e la società come una casa; solo cambiando l’educazione si cambia il mondo; quindi non è solo una visione individualistica o di piccolo gruppo, il compito educativo  consiste nell’aiutare le persone a costruire un futuro insieme come popolo, come storia condivisa. La centralità della persona è in collegamento con la dimensione sociale; la scuola è un grande mezzo di integrazione sociale, di costruzione del senso di comunità. Per questo il Papa stigmatizza la rottura del patto educativo tra famiglia, scuola e stato.

Altra caratteristica dell’educazione deve essere quella di aprire e di non chiudere mai; educare significa condurre ad un vero umanesimo.

Ernesto Diacono si è poi soffermato su alcune coppie di termini presenti nel pensiero di Francesco, come eredità e sogni. Il ragazzo sa riconoscere il patrimonio che ha ricevuto? Questi ragazzi sanno trasformare oggi ciò che hanno ricevuto? Insegniamo loro ad accogliere questo patrimonio? A proiettarlo in avanti? Questi ragazzi hanno progetti? Hanno sogni? Altra coppia: inquietudine e rischio: se l’eredità non passa per l’inquietudine si pietrifica, diventa un museo di ricordi. L’educatore deve rischiare: se non sa rischiare, non serve per educare; il vero educatore deve essere un maestro di rischio ragionevole. Infine, libertà e servizio; libertà vuol dire saper riflettere su ciò che si fa, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere; servizio vuol dire aprirsi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, vuol dire essere campioni nel servizio agli altri.

Lì’incontro era stato introdotto dal preside dell’Istituto San Vincenzo, Luciano Bonacini, che ha ricordato le quattro ragioni per amare la scuola: lì si intrecciano relazioni, si impara ad imparare, è la prima società oper i bambini, si apprezzano tre valori: il senso del vero, del bello e del bene.

Alla relazione di Diaco, che ha evidenziato come non si possa educare, fare scuola senza amore, ha fatto seguito uno stimolante e proficuo  dibattito.

Gar

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Foglietto, Letture e Salmo

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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Quest’uomo sembrava avere tutto. Egli era ricco e, in più, obbediva ai comandamenti divini. Si è rivolto a Gesù perché voleva anche la vita eterna, che desiderava fosse come una assicurazione a lunga scadenza, come quella che si ottiene da una grande ricchezza. Gesù aveva già annunciato che per salvare la propria vita bisognava essere disposti a perderla, cioè che per seguirlo occorreva rinnegare se stessi e portare la propria croce (Mc 8,34-35).
L’uomo era sincero e si guadagnò uno sguardo pieno d’amore da parte di Gesù: “Una sola cosa ti manca, decisiva per te. Rinuncia a possedere, investi nel tesoro del cielo, e il tuo cuore sarà libero e potrà seguirmi”. Ma né lo sguardo né le parole di Gesù ebbero effetto. Quest’uomo, rattristato, certo, ha tuttavia preferito ritornare alla sicurezza che gli procurava la propria ricchezza. Non ha potuto o voluto capire che gli veniva offerto un bene incomparabilmente più prezioso e duraturo: l’amore di Cristo che comunica la pienezza di Dio (Ef 3,18-19). Paolo lo aveva capito bene quando scrisse: “Tutto ormai io reputo spazzatura, al fine di guadagnare Cristo… si tratta di conoscerlo e di provare la potenza della sua risurrezione…” (Fil 3,8-10).

Mons. Romero: reliquie arrivate a Città di Panama in vista della Gmg

Mons. Oscar Arnulfo Romero Galdámez

vaticannews

È arrivata nei giorni scorsi nella Basilica di Don Bosco a Città di Panama la reliquia del Beato Óscar Arnulfo Romero Galdámez, uno dei patroni della prossima Giornata mondiale della gioventù, dal 22 al 27 gennaio 2019, il cui rito di canonizzazione sarà celebrato da Papa Francesco il 14 ottobre. La cerimonia nella capitale centroamericana è stata presieduta dall’arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta.

Le reliquie

I fedeli hanno accolto il reliquiario contenente un pezzo di stoffa macchiato con il sangue del Beato quando venne ferito a morte, il 24 marzo 1980, un busto e una replica della sua mitra. La reliquia resterà a Panama fino alla Gmg e durante questo periodo sarà portata in pellegrinaggio in varie parti del Paese. L’arcivescovo José Domingo Ulloa Mendieta ha pure ricevuto dal postulatore salvadoregno della causa di Romero, il sacerdote Rafael Urrutia, la reliquia di ‘primo grado’ da esporre nella Cattedrale della città: si tratta di un piccolo frammento di una costola del martire, estratta al momento dell’autopsia.

Le canonizzazioni

Alla Santa Messa del 14 ottobre in Piazza San Pietro Papa Francesco pronuncerà la formula di canonizzazione anche per Paolo VI, Francesco Spinelli, Vincenzo Romano, Maria Caterina Kasper, Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù, Nunzio Sulprizio.

Famiglia: un valore da riaffermare

Una giovane famiglia

“Siamo convinti che la questione famiglia non sia un aspetto secondario della vita degli italiani”, riporta il comunicato del Forum delle Associazioni Familiari. “E’ in larga misura nella famiglia che si costruiscono i destini degli abitanti di questo paese e che si formano i cittadini di domani, è la qualità della vita familiare che determina la qualità della vita dell’intera società”. In occasione delle celebrazioni per la Settimana della famiglia, alle 9.30 si terrà l’incontro di approfondimento “Solo per amore – Discernere per agire”, presso l’Istituto Pio XI di Roma; mentre alle 16.30 il concerto di musica Gospel “Canta la vita, speranza per la famiglia” nella Basilica di Santa Maria della Consolazione a Roma.

La famiglia al centro della società

“Una famiglia che funziona è garanzia anche del funzionamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, economiche, educative della società. Essa si situa al cuore della costruzione della società, la condiziona e ne è condizionata” prosegue nella sua relazione il Forum. Per questo le istituzioni dovrebbero prenderla maggiormente in considerazione, come soggetto dei futuri piani di sviluppo e di investimento. “Non si può più fare a meno della famiglia – sottolinea Emma Ciccarelli, presidente del Forum delle Associazioni Familiari del Lazio – che rimane il caposaldo e il nucleo fondante della società. Se si investe nella famiglia, si investe sicuramente sulla crescita”.

Famiglie “fragili”

Anche Maria Grazia Colombo, Vicepresidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, ritiene che la famiglia dovrebbe recuperare il suo ruolo centrale. “La difficoltà grossa – dice – è che nella realtà del nostro tempo ci sono famiglie molto fragili”. E prosegue: “La famiglia sta diventando sempre più come un’oasi, un qualcosa da proteggere, piuttosto che una risorsa per la società”.

Le famiglie “così come sono”

“Il valore della famiglia nella società è in profonda trasformazione – spiega a Vatican News Don Andrea Manto, direttore del Centro per la Pastorale Familiare – e per certi aspetti è anche in sofferenza. Ma è innegabile che la famiglia rimanga il centro della nostra società e anche della Chiesa stessa”. Continua don Manto: “Come ci insegna Papa Francesco, bisogna partire dalle famiglie così come sono, non avere in testa delle idee prefissate o dei modelli precostituiti e, camminando, scoprire che ci sono tante ricchezze nascoste che a volte non vengono percepite”.

vaticannews

Allarme per l’olio d’oliva italiano: la produzione è crollata del 38%

da Avvenire

Tutti insieme per difendere e valorizzare l’olio di oliva nostrano (extra vergine possibilmente). Nella Giornata nazionale dell’extravergine italiano i dati (pessimi) diffusi destano più di una preoccupazione. Ciò che occorre fare però è anche alla portata di tutti, a partire dalle innumerevoli manifestazioni dedicate ai singoli olii di territorio. È il caso, per esempio, di “Frantoi Aperti in Umbria” prevista dal 1° al 25 novembre 2018, un evento che, proprio nel periodo della frangitura delle olive, mette al centro dei riflettori una delle preziosità del territorio umbro. Quattro fine settimana dedicati agli appassionati di buon olio, buona cucina e buon territorio, nei quali sarà possibile degustare l’olio extravergine di oliva appena franto oltre che conoscerne la storia e la produzione. Ma soprattutto quattro occasioni di valorizzazione economica di un prodotto millenario, che continua ad essere uno degli elementi principali dell’agroalimentare nazionale seppur sottoposto a forti pressioni dal punto di vista produttivo e commerciale.
E in effetti la situazione dell’olio di oliva è particolarmente delicata in questo periodo. Alla base di tutto la produzione e i flussi commerciali. Stando ai dati diffusi ieri da Ismea e commentati da Coldiretti e Unaprol (che raccoglie la grande parte degli olivicoltori italiani), quest’anno la produzione è crollata del 38% arrivando a circa di 265 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici. A pesare sono stati il gelo invernale di Burian e i venti accompagnati dalla pioggia durante la fioritura che hanno ridimensionato pesantemente i raccolti. Nonostante tutto comunque, l’Italia si pone ancora come secondo produttore mondiale nel 2018/19. Ma subisce, stando a quanto dicono i produttori, la spietata concorrenza degli olii provenienti dall’estero – dalla Tunisia in particolare –, oltre che la concorrenza sleale di molti. Anche se a guardare le statistiche, l’annata olivicola è andata male dappertutto (eccetto che in Spagna). In Italia però, è forse andata peggio che altrove visto che l’ondata di maltempo del 2018 ha danneggiato qualcosa come 25 milioni di piante dalla Puglia all’Umbria, dall’Abruzzo sino al Lazio con danni fino al 60% in alcune zone particolarmente vocate. Senza contare l’effetto Xylella che in alcune aree i fa ancora sentire.
Olio da difendere quindi. Con misure forti. A partire da quanto chiesto da Unaprol. Per la sopravvivenza della oltre 400mila aziende specializzate in questo settore, è stato chiesto che «il governo metta subito in atto iniziative concrete, a partire da un piano olivicolo nazionale 2.0 che preveda innanzitutto finanziamenti per il reimpianto di nuovi oliveti».

Nell’era dei nuovi monopoli la rivoluzione è la persona

Nell'era dei nuovi monopoli la rivoluzione è la persona

da Avvenire

Contro lo sboom del lavoro tradizionale le analisi convenzionali servono a poco. Forse anche per questo l’Economist per celebrare i suoi 175 anni ha redatto un ‘manifesto liberale’, aprendo al reddito di cittadinanza universale, alla tassazione dei grandi patrimoni, alla lotta ai nuovi monopoli digitali. I redattori della bibbia del pensiero liberista si sono accorti, insomma, che la società delle élite ha un ospite inatteso che si chiama populismo, mentre tutte le aziende dei settori tradizionali si confrontano con nuovi concorrenti che non arrivano dai settori che presidiano.

L’assedio non è inaspettato. Il bollettino dei vincitori e vinti di dieci anni di crisi spiega come si è arrivati a questo punto. Dal crac Lehman Brothers a oggi il Pil della Grecia ha perso il 24%, quello dell’Italia il 6%, tutto il resto è andato meglio: Spagna +2%, Giappone +4,7%, Francia +6,7%, Germania +10,9%, Gran Bretagna +11%, Usa + 14%, Irlanda +38%, Cina +120%. La dittatura della turbo finanza, la mancanza atavica di competitività, l’avvento dell’economia digitale e, indubbiamente, l’austerity della troika applicata (in modo ancora soft e indiretto) a Roma così come (brutalmente) ad Atene e altrove, sono state tra le concause di questa faglia che si è aperta tra le varie economie e che sarà al centro delle prossime elezioni europee, sicuramente le più partecipate della storia dell’Unione.

Non c’è però in ballo solo la contrapposizione tra classi dirigenti e popolo come si pensa nella redazione del settimanale anglosassone, ma è cruciale il rapporto tra new economy e old economy. La prima, viaggia alla velocità della luce grazie alla Rete, senza limiti, priva di freni o regolamenti che tengano. La seconda (la nostra), è imbrigliata da una serie di norme comunitarie che di fatto rendono impossibile la spesa per investimenti di ciascun Paese dell’Eurozona, hanno costretto le banche a fare pulizia nei bilanci senza quegli aiuti statali così cruciali negli Stati Uniti – dove Donald Trump festeggia record su record a Wall Street e a Main Street – reprimono ogni vero piano di ripresa. In sostanza, noi europei abbiamo troppe regole per una crescita già anemica, gli americani, i cinesi e gli indiani, hanno poche regole che permettono una crescita vigorosa.

Se sono troppe le variabili imprevedibili (oggi la crisi turca, ieri quella dei Brics domani l’Argentina in un valzer senza fine), occorre concentrarsi su ciò che sta andando bene nel mondo da almeno cinque anni, l’Internet delle cose, per capire se questo modello è utilizzabile in qualche modo anche nella vecchia Europa. La digitalizzazione di molti processi industriali e commerciali, decantata da Jeremy Rifkin, sta trasformando, anzi ha trasformato, la nostra comunità, anche nei rapporti più semplici: una persona autorevole come il presidente della Bce Mario Draghi è arrivata tempo fa a dare la colpa anche all’e-commerce se i prezzi non salgono come dovrebbero, alimentando la catena della domanda e dell’offerta. Ma la questione è ben più complessa di un clic che permette di bypassare gli esercizi tradizionali, mettendo in un angolo intere filiere economiche, come dimostrano gli ultimi straordinari dati sul commercio digitale che è cresciuto in Italia quasi del 10%, molto più di quello tradizionale.

Alcune cifre sull’ubercapitalismo, quel particolare capitalismo che si fonda sulla dematerializzazione di tutti i processi produttivi a vantaggio del capitale e spesso a danno del lavoro, lo dimostrano in modo lampante. Airbnb valeva 26 miliardi di dollari, ha raccolto fondi per 2,3 e occupa circa 500 dipendenti ma ormai ha un milione di case in affitto in giro per il mondo (l’Italia è terza in questa classifica). Snapchat era quotata dagli analisti 26 miliardi, ne ha raccolti 1,2 e dà lavoro fisso ad appena 400 individui. Uber, varrebbe ancora tra i 40 e i 50 miliardi, ha trovato risorse per 6 miliardi e ha circa 500 salariati diretti (esclusi, per ora, gli autisti). Oltre una settantina di start up valgono così oltre 80 miliardi di dollari e impiegano (forse) 10.000 addetti in tutto, come i dipendenti della Telecom o dell’Atac. E questo vale anche per i colossi che invece sono quotati in Borsa. Una ricerca di Mediobanca R&S ha mostrato come le aziende internettiane (Google, Microsoft, Facebook, Amazon) capitalizzano molto sui listini ma fatturano e occupano di meno rispetto a colossi tradizionali manifatturieri quali Apple, General Electric, Johnson & Johnson, Nestlè. Significa che servono sempre meno dipendenti per creare più ricchezza. Più capitale e meno lavoro. E la ricchezza si crea molto più facilmente se si vive in quella parte di mondo dove non è in vigore il Fiscal Compact, la Federal Reserve stampa denaro e i nuovi Zuckerberg trovano facilmente finanziatori senza aspettare il piano Juncker o di chi verrà dopo di lui.

Non siamo di fronte a un rallentamento dell’economia, è solo il suo ‘naturale’ andamento, con cui ci dobbiamo confrontare. Forse anche il manifesto dell’Economist dovrebbe prendere atto che il tunnel da cui si doveva uscire è finito da un pezzo, ma corriamo su una strada provinciale e non su un’autostrada a otto corsie. Il tema è fondamentale per alcuni comparti tradizionali, come ha dimostrato la battaglia sul copyright digitale al Parlamento Europeo e come sanno bene nel settore bancario, dove più che Fintech temono la banca che verrà di Apple, Google, Facebook o magari, Amazon, Alibaba, Microsoft. Tutto è possibile. Queste aziende transnazionali hanno un marchio potente, milioni di utenti, operatività e relazioni su scala globale. Come gli istituti di credito di una volta, insomma. E si muovono non per fare finanza come core business, ma prima di tutto per trattenere i clienti nel loro spazio virtuale, utilizzando i loro dati personali come inconsapevole corrispettivo di un servizio.

Si badi bene, questo non è un ragionamento tecnofobico. Noi tutti ci avvantaggiamo della facilità di condividere una casa, un’automobile, un servizio alla persona, ma non si può negare che se questi giganti del web continuano a creare così poco lavoro, ci sarà un impatto sul reddito disponibile e dunque anche sui consumi. Con diretta conseguenza per Pil, debito e old economy. Il modello che gli Stati Uniti Digitali, intesi come gli over the top, stanno imponendo a tutti (nel 2020, negli Usa, il 40% dei lavoratori sarà autonomo) è quello della flessibilità del lavoro e della massima remunerazione del capitale in un contesto di nuovi monopoli. E in questo scorcio di secolo, noi europei abbiamo purtroppo fatto una scelta fatale: sono state imbrigliate le spese degli Stati e bloccate le opere pubbliche, mentre gli americani hanno lasciato liberi entrambi. Non tutto è perduto, basta avere chiaro questo quadro d’insieme.

Il capitalismo della Rete ha creato spazi inimmaginabili per i consumatori, la concorrenza e la creazione di plusvalore, ma ha anche reso possibili nuove rendite di posizione. Lo stesso cittadino si è fatto mercato, diventando fattore propulsivo della ‘economia condivisa’, carburante per i colossi digitali e in ultima analisi anche causa della sua stessa, possibile, disoccupazione. Ripartire da lui e da lei, dalla persona umana, sarebbe la più grande delle rivoluzioni ‘liberali’.

Per la pace. L’attivista yazida e il medico congolese: i Nobel dalla parte delle donne

L'attivista yazida e il medico congolese: i Nobel dalla parte delle donne

Sono il ginecologo congolese Denis Mukwege e la testimone yazida Nadia Murad i vincitori del premio Nobel per la pace 2018. L’annuncio è stato dato a Oslo alle 11 ora italiana. Il premio consiste in 9 milioni di corone svedesi, parti a circa un milione di dollari.

Il medico ginecologo congolese Mukwege cura le vittime di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo, mentre Murad è una donna yazida irachena, attivista per i diritti umani, ex schiava sessuale del Daesh, che nel suo villaggio uccise migliaia di persone.

Questa la motivazione del premi: «Per i loro sforzi per mettere fino all’uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati».

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