Festa dell’Assunta in Cattedrale – Mercoledì 15 agosto, ore 11 col Vescovo. Altri avvisi di don Daniele per questi giorni

La comunità della Cattedrale si sta preparando con la Novena alla Festa della Titolare della nostra Chiesa Madre, Santa Maria Assunta. La tradizionale Messa delle ore 11 di mercoledì 15 agosto sarà presieduta dal Vescovo Massimo. Come segno di comunione attorno al nostro Pastore, sono invitati i fedeli dell’Unità Pastorale «Santi Crisanto e Daria», le comunità religiose femminili del Centro Storico, le Aggregazioni laicali e i Movimenti. La liturgia sarà animata nel canto dalla Cappella Musicale.

Nella Novena, ogni giorno preghiamo per i giovani della Diocesi che sono in cammino per il Sinodo e per l’incontro col Papa dell’11 e 12 agosto e per il Coro diocesano che vi parteciperà per l’animazione della Veglia al Circo Massimo e della Messa in Piazza San Pietro.

Venerdì 10 agosto, giorno di San Lorenzo, la preghiera è per i nostri 125 diaconi permanenti della Diocesi; preghiamo per l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni nel giorno del suo onomastico e per il Vescovo Mauro Parmigiani, nel giorno del Patrono della sua Diocesi di Tivoli (mentre ci prepariamo ormai al decimo anniversario della sua Ordinazione, il prossimo 20 settembre).

Sabato 11 agosto, festa di Chiara di Assisi, saremo particolarmente in comunione con le Clarisse del monastero di Santa Chiara a Correggio e con tutte le comunità francescane.

Domenica 12 agosto un pensiero particolare per il Vescovo emerito Paolo Gibertini che nella Casa del Clero di Montecchio festeggia il traguardo dei 73 anni di Ordinazione sacerdotale e per il decano del nostro Clero, Don Gaetano Incerti, nel giorno del suo 99° compleanno (anche lui 73 anni di Messa, raggiunti a marzo).

Lunedì 13 agosto ricorderemo in Cripta nella Messa delle 8 don Giuliano Berselli, già parroco a San Francesco e San Nicolò in Città, e nella Eucaristia delle 10.30, presieduta da mons. Caprioli, ricorderemo Giovanna Gabbi, la prima consacrata nell’Ordo Virginum, entrambi morti tragicamente il 13 agosto 2007, era lunedì come quest’anno.

Lunedì saremo in comunione pure con tutte le Marce penitenziali del 13 del Mese nei santuari mariani della Diocesi, vissute come vigilia dell’Assunta.

Il giorno dell’Assunta, ricorderemo anche l’ultimo vescovo di Guastalla, Angelo Zambarbieri, morto il 15 agosto di 48 anni fa e sepolto in Concattedrale a Guastalla.

Mercoledì 15 agosto in Cattedrale, come anche nelle altre 27 chiese parrocchiali della Diocesi dove l’Assunta è titolare, tutto il giorno si potrà chiedere e ricevere il dono della indulgenza plenaria.

Santa Maria, intercedi per noi!

d. Daniele Casini

La mostra. Fede e sirene: gli Etruschi che non t’aspetti

avvenire

“Sirena”, particolare di un’anfora attica del V secolo a.C.

“Sirena”, particolare di un’anfora attica del V secolo a.C.

Al principio erano geni della morte come le Keres e le Erinni, esseri temibili come le Arpie, che il mondo antico considerava morti senza pace (un po’ come i nostri zombie) e desiderose di sangue umano. Stiamo parlando delle Sirene di cui racconta Omero: donne con ali di uccello e dal canto ammaliante, che tentano di sedurre Ulisse per poi perderlo, come è dipinto in un famoso vaso attico del V secolo a.C conservato al British Museum. In epoca più tarda si narra di una di esse, di nome Partenope, che muore suicida in mare per essere stata rifiutata dall’eroe; le onde la rigettano alla foce del Sebeto, dove in seguito nasce una città chiamata, appunto, Partenope e poi Neapolis. Da quelle parti, sulla penisola di Sorrento, sorgeva anche il Tempio delle Sirene. Tutto questo per dire, e non sembri strano, che le Sirene con corpo di donna e coda di pesce in stile Andersen ( La sirenetta è del 1837), rese romanticamente immortali dalla statua nel porto di Copenaghen (1913), hanno origine solo nel primissimo Medioevo, mentre in epoca antica gli esseri per metà uomo e metà pesce erano maschi e si chiamavano Tritoni. Di essi esistono tante testimonianze artistiche, anche coeve al citato vaso del British, come un’anfora etrusca con ‘Tritone fra i pesci’ del VI secolo a.C e un’anfora attica dello stesso periodo, proveniente da Cerveteri, con ‘Eracle in lotta col tritone’, entrambe a Villa Giulia a Roma. Di fatto, il primo riferimento certo alle Sirene così come sono nel nostro immaginario è un manoscritto dell’VIII secolo, il famoso Liber Monstrorum, una sorta di bestiario in cui compare un disegno che le descrive come donne avvenenti e anfibie. Delle Sirene e della loro storia mitologica si è tornati a parlare in queste settimane grazie a una piccola ma efficace mostra allestita nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. La collocazione la si deve a un curioso reperto etrusco del III secolo a.C. conservato in quel museo, che costituisce un singolare tipo di ex voto (trovato a Veio) e che era sempre stato interpretato quale grossolana rappresentazione in terracotta della parte inferiore del corpo di un essere umano di sesso maschile. Quando però quest’anno, in occasione del decennale della Fondazione sanitaria San Camillo-Forlanini di Roma, si è pensato di allestire u- na mostra a Villa Giulia, insieme al Museo di storia della medicina della Sapienza, per raccontare l’arte medica antica partendo dai ritrovamenti archeologici di ex voto anatomici, ecco che il ‘grossolano’ reperto proveniente da Veio è stato rivalutato ed è divenuto il simbolo stesso dell’iniziativa. Nel vederlo, infatti, Alessandro Aruta, direttore del Museo storico della medicina, ha subito compreso che non si trattava di una riproduzione approssimativa, ma verosimile del corpo di un uomo affetto da ‘sirenomelia’. Una malattia genetica rarissima, che di solito colpisce il sesso femminile, per la quale gli arti inferiori restano saldati, assumendo, in alcuni casi, una vera e propria forma a coda di pesce o, meglio, di cetaceo. Di solito i bambini nati con questa deformazione hanno vita brevissima e sono incurabili. Recentemente si è tentata la terapia chirurgica, che come nel caso di una bambina peruviana, Milagros Carron, nata nel 2004, può avere esito risolutivo dopo innumerevoli interventi.

Anfora con Eracle e Tritone (IV secolo a.C.)

Anfora con Eracle e Tritone (IV secolo a.C.)

La scoperta di Aruta, dicevamo, ha dato il taglio alla mostra che si intitola La Sirena: soltanto un mito? Nuovi spunti per la storia della medicina fra mito, religione e scienza (fino al 30 settembre), col progetto scientifico, oltre che di Aruta, di Maria Paola Guidobaldi, responsabile dell’Ufficio mostre e del Servizio per la conservazione di Villa Giulia (ad ‘Avvenire’ ha detto di avere in programma entro l’anno una retrospettiva in chiave etrusca dell’opera di Mario Schifano per i 20 anni dalla morte), Claudia Carlucci, Maria Anna De Lucia Brolli e Francesca Licordari. Allestita nella Sala Venere del Museo propone ex voto anatomici, vasi con decorazioni di sirene, strumenti medici e chirurgici d’epoca romana, interessanti supporti storici in schede e immagini con riferimenti ad altre malattie rare che gli Etruschi (popolo particolarmente religioso) consideravano, rispettandole, prodigiose e soprannaturali. Fra le riproduzioni anatomiche trovate in scavi etruschi, oltre alla già citata terracotta proveniente da Veio, sono interessanti alcuni uteri offerti a divinità salutari per ottenere la grazia di avere figli o in ringraziamento per averne avuti. Uno di questi, in particolare, risalente al III secolo a. C. e proveniente da Vulci, testimonia di una positiva ed evoluta concezione della vita: rappresenta un utero aperto con all’interno due minuscoli embrioni. Ci sono anche alcuni amuleti di origine egizia (attraverso i fenici esistevano intensi scambi commerciali fra le popolazioni tirreniche, l’Egitto e la Grecia) utilizzati a protezione dei nani. Per identificare queste ‘malformazioni’ gli etruschi usavano parole derivate dalla radice ter col significato di ‘prodigioso’, la stessa del termine greco teras (mostro), forse successivo. Lo si è scoperto da scavi effettuati nell’area sacra di Tarquinia col ritrovamento del cosiddetto ‘bambino encefalopatico’ sepolto nel IX secolo a.C. accanto a una cavità naturale, fulcro dell’area sacra e luogo dell’identità della città stessa. Da quella cavità, infatti, si narrava fosse nato Tagete, il bimbo divino con sembianze di vecchio (la malattia si chiama ‘progeria’ ed è la stessa del film Il curioso caso di Benjamin Button) che aveva insegnato le discipline divinatorie a Tarconte, fondatore di Tarquinia. Dalle indagini del laboratorio di antropologia forense della Statale di Milano è emerso che quel bimbo del IX secolo a.C., morto a otto anni, era affetto da una encefalopatia che certamente causava epilessia, con manifestazioni considerate sacre per molto tempo a seguire e a tal punto che è stata trovata un’iscrizione etrusca su una coppa attica (gli Etruschi erano amanti degli oggetti in terracotta di manifattura greca), sepolta in quel luogo tre secoli dopo, con la parola terela, cioè ‘relativo a colui del prodigio’. L’accettazione e l’interesse degli Etruschi per le malformazioni genetiche è testimoniato, fra l’altro, anche dalle pitture della famosa Tomba François di Vulci dove accanto al titolare del sepolcro, Vel Saties, compare un nano acondroplasico, di nome Arnza, in una scena di divinazione. Ed è l’epoca in cui a Roma, così come in Grecia, simili persone venivano crudelmente soppresse alla nascita.

Terra Santa. A piedi da Nazareth a Gerusalemme, pellegrini sui passi di Gesù

Il pellegrinaggio si snoda fra le città, le campagne e le aree desertiche della Terra Santa

Il pellegrinaggio si snoda fra le città, le campagne e le aree desertiche della Terra Santa

Un gesto di pace. Lungo duecento chilometri. E alto più del muro che separa israeliani e palestinesi. E di quelli che vorrebbero dividere ebrei, cristiani e musulmani. Un pellegrinaggio, tutto a piedi, da Nazareth a Gerusalemme. Sulle tracce di Gesù. Nella compagnia del cardinal Martini. Trovando ospitalità in parrocchie cristiane e in villaggi musulmani, in un kibbutz israeliano della Galilea e in un accampamento beduino a metà strada fra Gerusalemme e Gerico. È il «Sentiero del Discepolo», ideato e proposto da Silvano Mezzenzana, direttore dell’agenzia Duomo Viaggi di Milano, che in trentasette anni da pellegrino, turista e guida, ha fatto oltre cento viaggi in Terra Santa.
Mezzenzana aveva un sogno: «Poter percorrere a piedi la Terra Santa». Da nord a sud. Galilea, Samaria, Giudea. Dopo tanti anni, dopo tanti viaggi, quel sogno è diventato realtà. Grazie al contributo decisivo di una guida palestinese musulmana, Nedal Jamil Sawalmeh. E grazie alle nuove tecnologie che permettono di camminare in sicurezza senza dover segnare il territorio – «perché la terra non ci appartiene, su questa terra siamo tutti pellegrini, come ci insegnano i beduini», scandisce Silvano. Dunque: chi volesse percorrerlo non cerchi cartelli ai crocevia o tracce di vernice sulle pietre lungo i sentieri. Piuttosto: vada in libreria a procurarsi «Il Sentiero del Discepolo», come s’intitola la guida scritta da Mezzenzana e pubblicata dalle Edizioni Terra Santa. Quindi scarichi la app e segua il percorso utilizzando il Gps dello smartphone. Lo attende un itinerario in undici tappe che tocca i luoghi del cammino di Gesù e dei suoi discepoli verso Gerusalemme – come il Tabor, Nain, Sichem,Gerico, Betania – e alcune località custodi di antiche memorie cristiane, almeno bizantine – come Burkin eSebaste.

Fra Gerico e Khan al Ahmar, in direzione delle sorgenti di Ain Qelt

Fra Gerico e Khan al Ahmar, in direzione delle sorgenti di Ain Qelt

Nelle incandescenze della Terra Santa d’oggi

Quello proposto da Mezzenzana – attenzione – non è un viaggio in una Terra Santa “musealizzata”, tutt’altro, ma un’immersione nella realtà d’oggi con i suoi drammi, le ferite, i segni di speranza, la vita quotidiana delle comunità che la abitano. Ecco, dunque, le tappe al kibbutz di Mizra, nelle città palestinesi di Jenin e Nablus, nei villaggi cristiani di Zababdeh e Taybeh e nell’accampamento beduino di Abu Kamis – siamo a Khan al Ahmar, il villaggio nel quale ha sede la celebre «Scuola di gomme» e sul quale pende la minaccia di demolizione da parte delle autorità israeliane. Quale introduzione al cammino, Mezzenzana suggerisce di recarsi a Giv’at Avni, in Galilea, dove nel 2013 venne piantata una foresta in memoria del cardinale Carlo Maria Martini. Chi vi si recasse oggi, vi troverebbe solo una «promessa di foresta». Dov’è stato collocato il cippo con la dedicazione, rimarrà tuttavia una radura. «Quando gli alberi saranno cresciuti, lì si continuerà a vedere il cielo, dal quale discende la Parola di salvezza che si fa carne in Gesù Cristo e ci guida nel cammino. Ecco: quella “radura dell’ascolto” è il punto di partenza ideale di questo pellegrinaggio». Un altro suggerimento? «Prima di entrare alSanto Sepolcro, come accadeva ai pellegrini antichi, essere ricevuti dal custode di Terra Santa, e da lui farsi lavare i piedi». Ma c’è una dodicesima tappa, a completare – e in realtà riaprire – il «Sentiero del Discepolo»: quella da Gerusalemme a Emmaus. «Quale miglior viatico dalla Terra Santa?».

Il «Sentiero del Discepolo»: 200 chilometri a piedi da Nazareth a Gerusalemme

Il «Sentiero del Discepolo»: 200 chilometri a piedi da Nazareth a Gerusalemme

Camminare con Gesù, nutrirsi della sua Parola

«Il nostro intento è quello di offrire al pellegrino moderno la possibilità di ripetere l’esperienza dei discepoli di Gesù che camminavano con lui e si nutrivano della sua Parola», scrive Mezzenzana nella premessa alla guida. «Il cammino è la metafora più utilizzata e chiara dell’esperienza umana – e la Chiesa si definisce “popolo di Dio in cammino” –. Per questo pensiamo che unire la lettura della Parola con la fatica – e la bellezza – del camminare sia un’offerta “naturale” di spiritualità che l’uomo desidera sempre». «Proprio perché attraversa i territori senza alcuna precomprensione politico-sociale, ma con attenzione alle condizioni di vita delle comunità residenti – riprende il testo – il Sentiero del Discepolo si pone oggettivamente come un gesto di pace in un contesto afflitto da grandi problemi relazionali tra lo Stato d’Israele e la Palestina. Il Sentiero del Discepolo è così disponibile e fruibile non solo per i “camminatori cristiani” ma per tutti coloro che amano il cammino per motivi spirituali, culturali e di puro piacere». La posizione da assumere, dunque, sia quella dell’«intercedere», come chiedeva Martini, cioè del «camminare fra i contendenti» per tenerli lontani quanto basta perché il conflitto non li annienti «e insieme creare lo spazio della parola e del dialogo». No, farsi pellegrini in Terra Santa, alla sequela di Cristo, non è davvero, non è mai, fuga dalla storia ma esperienza di riconciliazione. Con Dio, con gli altri, con il creato. Con noi stessi.

Pellegrini lungo il cammino da Gerico a Khan al Ahmar, nei pressi del monastero di San Giorgio di Koziba

Pellegrini lungo il cammino da Gerico a Khan al Ahmar, nei pressi del monastero di San Giorgio di Koziba

Dedicato al cardinal Martini il percorso guidato dal Gps

Un libro e una App per rivivere il cammino di Gesù e dei suoi discepoli dalla Galilea a Gerusalemme. Guidati dall’ascolto della Parola di Dio. Nell’abbraccio della Terra Santa d’oggi. Ecco le due “risorse” del progetto «Il Sentiero del Discepolo», ideato da Silvano Mezzenzana con l’aiuto di Nedal Jamil Sawalmeh, guida in trekking di gruppo diplomata all’Università di Betlemme. Acquistando la guida «Il Sentiero del Discepolo» (Edizioni Terra Santa, 224 pagine, 16 euro) è possibile scaricare gratuitamente da App Store o da Google Play la App omonima, che funziona «offline» e contiene la tracciatura sulle mappe digitali di tutte le tappe. Ciò rende possibile seguire con precisione, utilizzando il Gps dello smartphone, l’intero percorso – che non è segnato a terra con tratti di vernice o palette segnaletiche. Il «Sentiero» è dedicato al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Il libro, con la descrizione delle tappe, contiene non solo una messe di informazioni utili, ma anche una ricca proposta di itinerario spirituale, curata da don Andrea Zolli, con 15 «Icone evangeliche» e alcuni illuminanti testi di Martini.

Sebaste: la moschea di Saidna Yahia, antica chiesa crociata dedicata a San Giovanni Battista

Sebaste: la moschea di Saidna Yahia, antica chiesa crociata dedicata a San Giovanni Battista

Giovani. Sui sentieri d’Italia con il cuore già a Roma

Sono già in marcia i giovani del gruppo diocesano di Mondovì

Sono già in marcia i giovani del gruppo diocesano di Mondovì

I primi gruppi sono già partiti proprio in queste ore – come mostrano le prime foto apparse sui social – e nei prossimi giorni moltissimi si uniranno a loro in un grande evento senza precedenti: migliaia di giovani in marcia a piedi lungo i sentieri (antichi e nuovi) di tutta la Penisola, tutti assieme contemporaneamente. Poi appuntamento a Roma, dove sono attesi per la Veglia e la festa con papa Francesco in vista del Sinodo dei giovani di ottobre. Un momento di preghiera ma anche di festa con la partecipazione di cantanti e artisti italiani. Questi cammini sono l’immagine concreta di una Chiesa che vuole stare al fianco delle nuove generazioni nelle sfide sempre più impegnative della loro vita.

Al Circo Massimo l’11 agosto e il giorno dopo in San Pietro sono attesi almeno 70mila ragazzi e giovani, molti dei quali arriveranno all’appuntamento dopo diverse giornate di cammino lungo itinerari molto diversi da loro e che si svolgeranno lungo tutto lo Stivale.

Come seguire tutto questo movimento? Il metodo migliore rimangono i canali social, sui quali il Servizio nazionale per la pastorale giovanile ha lanciato alcuni hashtag: #permillestrade racconta gli itinerari dei ragazzi di questi giorni, #siamoqui è dedicato al grande evento a Roma e #vadoalMassimo è l’hashtag sulla grande festa della notte tra sabato 11 e domencia 12 agosto. Chi posterà le proprie foto con questi hashtag contribuirà a creare un vero e proprio racconto condiviso che scorrerà sul social wall creato grazie alla collaborazione diPhotostream.it e sui maxi schermi al Circo Massimo.

Intanto per dare un occhio a quello che sta succedendo lungo le strade della nostra Penisola basta un click suFacebook, Twitter e Instagram dove sono apparse le prime foto dei gruppi già in marcia.

da Avvenire

Dall’ascolto all’incontro. È la gioventù del Papa

Dall'ascolto all'incontro. È la gioventù del Papa

Una generazione fa, nell’estate del 2013, di fronte alla marea di più di tre milioni di giovani assiepati sulla spiaggia di Copacabana per la Giornata mondiale della gioventù di Rio, papa Francesco era rimasto per un attimo in silenzio spaziando con lo sguardo su quella sconfinata folla di ragazzi sul bordo dell’oceano. Gli parve di vedere «guardando il mare, la spiaggia e tutti voi», disse, quel momento dell’inizio della storia cristiana sulla riva del mare di Galilea quando i primi due, alle quattro del pomeriggio, avevano incontrato Gesù. Gli erano andati dietro attratti da lui. E Gesù a questi due ragazzi – Andrea era sposato, quindi avrà avuto qualche anno di più, ma Giovanni era proprio un ragazzino –, voltandosi aveva domandato: «Che cosa cercate?». E questi non gli risposero ‘cerchiamo la verità’, o ‘cerchiamo la felicità’, non gli dissero neppure ‘cerchiamo il Messia’. Quello che il cuore cercava lo avevano davanti. Allora a quella domanda – «Che cosa cercate?» – risposero chiedendo l’unica cosa che si può domandare: «Maestro dove abiti?», cioè ‘dove rimani?’, dove rimani perché possiamo stare con te?

Sono passati cinque anni da quell’esordio vis-à-vis di Papa Francesco con i giovani di tutto il mondo in Brasile, e l’attualità ne resta intatta, anche se è cambiata nel frattempo la generazione dei «nati liquidi», come titola l’opera postuma di Zygmunt Bauman dedicata a queste ultime generazioni considerate sempre più «come bidone dei rifiuti per l’industria dei consumi» e «come un ulteriore fardello sociale», giovani che «hanno smesso di essere inclusi dalla promessa di un futuro migliore», sempre più «parte di una popolazione smaltibile la cui presenza minaccia di richiamare alla mente memorie collettive rimosse della responsabilità adulta». «Vuoti a perdere» a rischio «rottamazione», quelli che escono dalla lucida analisi dell’autore della società liquida, «gli scartati dall’impero del Dio denaro» da parte di chi divora la dignità umana e di cui gli Stati nascondono le stime crescenti dei suicidi. Giovani che sempre più non sanno cosa sia la Chiesa, anzi, che sempre più sono figli e nipoti di generazioni che non sanno più niente della religione.

Ma il dialogo intrapreso da Francesco da quel primo incontro sulla spiaggia di Copacabana si è fatto in questi anni serrato, spesso confidente, nel quale ai sermoni il Papa ha preferito domande e risposte a braccio come espressione di conversazioni dirette, di incontri. «Anche le migliori analisi sul mondo giovanile, pur essendo utili – sono utili –, non sostituiscono la necessità dell’incontro faccia a faccia. Parlano della gioventù d’oggi. Cercate per curiosità in quanti articoli, quante conferenze si parla della gioventù di oggi. Vorrei dirvi una cosa. La gioventù non esiste, esistono i giovani», ha detto di recente Francesco, tanto per essere chiaro. «Esistono le singole storie, i volti, gli sguardi, le illusioni, esistono i giovani… tu, tu…. Parlare della gioventù – ha ripreso in altra occasione – è facile: si fanno astrazioni, percentuali», invece «bisogna interloquire con loro», incontrarli «a tu per tu». Sono ormai decine i colloqui intrapresi non solo nell’ultima Gmg a Cracovia come in ogni viaggio apostolico nel mezzo delle crisi del mondo. Forse anche da questi dialoghi è nata la decisione di un Sinodo nonsu ma dei giovani, per andare insieme. Camminando in controtendenza ha aperto le porte. E ha rotto la divisione noi-voi: «Nella Chiesa – sono convinto – non dev’essere così: chiudere la porta, non sentire. Il Vangelo ce lo chiede: il suo messaggio di prossimità invita a incontrarci e confrontarci, ad accoglierci e amarci sul serio, a camminare insieme e condividere senza paura» ha ribadito anche nell’ultima riunione in vista del Sinodo di ottobre. «Questa riunione presinodale – ha aggiunto – vuol essere segno di qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale ‘giovano-filia’, no, non per adeguarsi, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio». E se ha tenuto conto di tutte le realtà, il Papa più volte ha ribadito la volontà di lasciarsi interpellare da loro e di vederli protagonisti: «Siamo insieme parte della Chiesa, anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze, per favore: non mettetevi nella ‘coda’ della storia. Siate protagonisti. Costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace, di fraternità, di solidarietà». Ma perché la richiesta di questo protagonismo? «In tanti momenti della storia della Chiesa, così come in numerosi episodi biblici, Dio ha voluto parlare per mezzo dei più giovani: penso, ad esempio, a Samuele, a Davide e a Daniele. A me piace tanto la storia di Samuele, quando sente la voce di Dio. La Bibbia dice: ‘In quel tempo non c’era l’abitudine di sentire la voce di Dio. Era un popolo disorientato’. È stato un giovane ad aprire quella porta. Nei momenti difficili, il Signore fa andare avanti la storia con i giovani. Dicono la verità, non hanno vergogna». E se nella storia della salvezza il Signore si fida dei giovani, nell’incontro pre-sinodale del 19 marzo il Papa ha anche detto che il Sinodo di ottobre sarà anche un appello rivolto alla Chiesa, perché «riscopra un rinnovato dinamismo giovanile». Così come nell’udienza del gennaio 2017 ai partecipanti a un convegno dell’Ufficio Cei per la pastorale delle vocazioni aveva ripetuto che «sono le nostre testimonianze quelle che attirano i giovani. È la testimonianza: che vedano in voi vivere quello che predicate. Quello che vi ha portato a diventare preti, suore, anche laici che lavorano con forza nella Casa del Signore. E non gente che cerca sicurezza, che chiude le porte, che spaventa gli altri, che parla di cose che non interessano, che annoiano, che non hanno tempo… No. Ci vuole una testimonianza grande!».

Ritorniamo così all’inizio, all’incontro dei primi due discepoli con Gesù. Anche questa dinamica di come si diventa e si rimane cristiani percorre tutto il magistero di Francesco, ed è sempre la stessa – sempre nuova – che attraversa i tempi, le crisi e le generazioni, così che quell’episodio di Giovanni e Andrea raccontato a Copacabana è ripetuto ancora nell’ultimo intervento per il Sinodo di ottobre. E affinché l’assemblea non si trasformi in occupazione momentanea per monsignori forse sarà necessario non lasciarsi andare a una banale sociologia, e assumere invece queste intramontabili provocazioni evangeliche. Sabato e domenica ci sarà l’incontro del Papa con i giovani delle diverse diocesi d’Italia. In molti sono già in cammino verso Roma per il pellegrinaggio, si parla di 40mila ragazzi. Marta, parte di un gruppo di universitari milanesi, parlando davanti a una pizza insieme agli altri dice che non le interessa niente dei discorsi sui giovani, e che non parte per sentire discorsi ma spinta da un incontro, che l’ha attirata e vuole vedere. Papa Francesco ha fatto sentire più volte come anche duemila anni fa un ragazzo e una ragazza, Giuseppe e Maria, hanno visto Dio con gli occhi e non in una visione mistica. Maria l’ha partorito, Giuseppe e lei lo hanno guardato. È iniziata così la storia cristiana. Sono stati lì a guardare Dio. Francesco ha messo bene in evidenza come sia la grazia che crea la fede. Per questo la vita cristiana è semplice. La fede è il riconoscimento di questa attrattiva, di un incontro. E la grazia crea la fede non solo quando la fede inizia ma per ogni momento in cui la fede rimane. In ogni momento, non solo all’inizio, l’iniziativa è Sua, dice sant’Agostino. Solo a partire da questo cuore la Chiesa ringiovanisce e attrae. Il prossimo incontro con i giovani a Roma, come anche il Sinodo, può essere l’occasione per chiedere, per ciascuno, che questo avvenga e continui ad accadere.

Avvenire

La pedagogia dei percorsi giovanili. Quanti passi verso Roma

Tutte le strade portano a Roma, recita l’antico adagio. E mai come in questo inizio di agosto il vecchio proverbio traduce bene l’immagine dell’«esercito pacifico» dei giovani italiani (la definizione è del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti) in cammino verso il Circo Massimo, dove sabato pomeriggio incontreranno il Papa, nell’ambito di una intensa due giorni romana in preparazione al Sinodo di ottobre. Cammino, pellegrinaggio, sinodo appunto (nel senso di “cammino fatto insieme”, come è nell’etimologia del termine) sono alla base dell’iniziativa della Chiesa italiana, spiegata ieri in conferenza stampa. Ma nelle centinaia di itinerari, che si stendono in questi giorni come una variopinta e gioiosa ragnatela sull’intera Penisola, c’è un elemento di novità che, a ben vedere, costituisce probabilmente la cifra interpretativa più autentica di tutto il cammino. Non sono poche, infatti, le diocesi che hanno voluto inserire accanto ai tradizionali pellegrinaggi aventi come meta “luoghi di pietra”, anche e soprattutto “luoghi di carne”. “Santuari”, questi ultimi, non meno importanti dei primi, dove ogni giorno si celebra la dolorosa “liturgia” della purtroppo ancora multiforme sofferenza umana e dove, come ricorda fin dall’inizio del suo pontificato, papa Bergoglio, ogni cristiano è chiamato a versare concretamente l’olio della misericordia.


I giovani della metropolia di Napoli andranno al carcere minorile di Nisida
mentre la metropolia di Fermo visiterà i luoghi colpiti dal sisma del Centro Italia. I ragazzi di Torino e Susa si recheranno nelle case di accoglienza per anziani. Quelli di Agrigento, Piana degli Albanesi, Palermo, Mazara del Vallo, Monreale e Trapani faranno tappa a Corleone, per parlare di legalità. Mentre i giovani di Firenze si fermeranno con gli allievi di don Milani, con l’opera del Cottolengo e con i collaboratori di Giorgio La Pira. Sono solo alcuni esempi di un elenco ben più lungo, che comprende anche la memoria di testimoni e santi del nostro tempo, come Maria Goretti, don Tonino Bello, Padre Pio e suor Maria Laura Mainetti, uccisa a Chiavenna nel giugno del 2000 da tre ragazze.
In tal modo i tanti e diversi pellegrinaggi diventano come le tessere di un immenso mosaico di pedagogia della fede che i 40mila giovani in cammino sulle strade d’Italia, accompagnati da 120 vescovi e centinaia di sacerdoti, vanno componendo dalla Sicilia alle Alpi. Pedagogia del «camminare», innanzitutto. Metafora di vita, di progetto esistenziale che ha un punto di partenza e tende a una meta, in aperta controtendenza rispetto alla mentalità dominante di un eterno presente, alla fine senza senso. E poi pedagogia del «camminare insieme», come ha spiegato ieri il cardinale Bassetti, fondamentale insegnamento in un’epoca di individualismo spinto che tende a fare di ognuno un’isola. Infine e soprattutto pedagogia di quella misericordia non solo annunciata a parole ma testimoniata con i gesti, che è l’invito più accorato di papa Francesco. Pedagogia del buon samaritano, si potrebbe dire, o più semplicemente e laicamente di quell’alfabeto dell’umano che porta a non passare oltre rispetto all’uomo – senza distinzione di pelle o di nazionalità –, ferito dai ladroni e abbandonato ai margini della strada, ma a prendersene cura in prima persona.

Di fronte alla cronaca avvelenata dei nostri giorni non c’è bisogno di spendere tante parole per dire quanto urgente sia oggi una simile pedagogia. Delle nuove generazioni, come (e forse di più) degli adulti, anche di quelli che sono classe dirigente di antica o di nuova formazione. E allora davvero è una buona notizia per l’Italia che un «esercito pacifico» di giovani si metta in marcia senza indugio. Anzi, avendo come meta finale l’incontro con il Papa che è simbolo vivente di quella unità delle differenze che esorcizza le paure e affratella le distanze. Così la pedagogia ultima del maxi-pellegrinaggio di questi giorni sta proprio nella sua “validazione” attraverso le tappe nei santuari di carne, dove la “carne di Cristo” verrà toccata con mano. E in questo senso davvero tutte le strade portano a Roma.

avvenire