Allarme Unicef: il 25% dei ragazzi palestinesi non va a scuola

Bambino nella Striscia di Gaza

Quasi tutti i bambini palestinesi, fra i 6 e i 9 anni frequentano la scuola, ma a 15 anni circa, il 25% dei ragazzi e il 7% delle ragazze abbandona gli studi, divenendo preda di abusi, sfruttamento, schiavitù e reclutamento coatto in un territorio perennemente lacerato dal conflitto armato. E’ quanto emerge dal rapporto  “State of Palestine: Country Report on Out-of-School Children” realizzato dall’Unicef-Palestina in collaborazione con l’Istituto di Statistica dell’Unesco, e il Ministero per l’Istruzione. I dati preoccupano l’agenzia dell’Onu per l’infanzia che evidenzia anche l’alto tasso di disoccupazione giovanile, pari al 60%, come conseguenza principale dell’abbandono scolastico, fenomeno che riguarda il 18,3% dei giovani in Cisgiordania e  il 14,7% nella Striscia di Gaza.

Cause dell’abbandono

Il motivo per cui gli adolescenti lasciano prematuramente la scuola dell’obbligo – sottolinea Andrea Jacomini, portavoce di Unicef-Italia – “include un’istruzione di scarsa qualità, che spesso è vista come un fattore non rilevante nelle loro vite, violenza fisica ed emotiva a scuola, sia da parte degli insegnanti che dei coetanei, e inevitabilmente il conflitto armato. Andare a scuola può anche rappresentare una sfida per gli adolescenti, maschi, in Palestina, spesso costretti ad attraversare diversi checkpoint, blocchi stradali e ad aggirare gli insediamenti israeliani solo per raggiungere l’aula. E’ inaccettabile! Pensiamo se nostro figlio, mentre cammina, venisse fermato, interrogato, subendo una violenza psicologica non indifferente. E come se non bastasse, durante le lezioni ci sono incursioni dei militari nelle classi”. (Ascolta e scarica l’intervista ad Andrea Jacomini)

Sovraffollamento

Altro punto evidenziato dal rapporto è il sovraffollamento nelle classi. “Nella Striscia di Gaza – prosegue Jacomini – le aule sono sovraffollate, con in media 37 alunni per classe. Fra coloro che sono iscritti dal primo al decimo anno scolastico, circa il 90% frequenta scuole organizzate su due turni. Ciò riduce le ore per l’apprendimento e la capacità degli insegnanti di supportare adeguatamente i bambini, soprattutto quelli che hanno difficoltà di apprendimento o comportamentali”.

Abusi, sfruttamento, violenze

“I bambini rimasti indietro a scuola hanno maggiori probabilità di abbandono scolastico e quindi incorrono in un rischio maggiore di abusi e sfruttamento fuori dalla scuola –  aggiunge – Genevieve Boutin, Rappresentante Speciale dell’Unicef in Palestina -.   Essere a scuola non aiuta solo i bambini palestinesi a imparare e svilupparsi, ma fornisce inoltre una stabilità e delle abilità utili per la vita che sono di particolare importanza in questi ambienti”. Il rapporto sottolinea inoltre che le violenze colpiscono l’istruzione in diversi modi. Oltre due terzi dei bambini che frequentano dal primo al decimo anno scolastico sono esposti a violenze emotive e fisiche nelle loro scuole e, a causa dei conflitti, per oltre 29.000 bambini nel 2017 il loro percorso scolastico è stato interrotto a causa di 170 attacchi e minacce di attacchi su scuole, studenti o insegnanti, che colpiscono ulteriormente la frequenza scolastica.

Cosa fare?

Per realizzare il diritto all’istruzione di ogni bambino in Palestina, l’Unicef chiede di migliorare la qualità dell’istruzione nelle scuole che hanno basso rendimento; aumentare l’accesso a servizi per l’istruzione su misura, fuori e dentro la scuola, migliorare la formazione e il supporto tecnico agli insegnanti per un’istruzione che sia inclusiva; migliorare e ampliare i programmi di prevenzione alla violenza, ma soprattutto proteggere le scuole dalla violenza legata al conflitto. “Non andare a scuola – conclude Jacomini – vuol dire farsi sfruttare da quell’odio che in quella terra provoca e genera conflitti senza fine”.

vaticanenws

Papa a teologi: partecipi di un destino comune, senza il rumore dei proclami

Papa Francesco a Sarajevo nel giugno 2015

Una “leadership rinnovata” di “persone e istituzioni” che ci aiuti a “scoprire e vivere” un modo “più giusto” di stare al mondo come “partecipi di un destino comune”, senza il “rumore dei proclami che spesso rimangono vani” o antagonismi “tra chi gioca a fare il più forte”. Questa l’esortazione del Papa ai partecipanti alla Conferenza mondiale di Etica teologica cattolica, in corso fino a domenica a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina.

Dialogo e condivisione partendo da Sarajevo

Ai 500 teologi riuniti per il terzo evento del genere, dopo quelli di Padova del 2006 e Trento del 2010, Francesco invia un messaggio di dialogo e condivisione “in un’epoca critica” e in uno scenario “complesso e impegnativo” come quelli in cui viviamo. Il Pontefice prende spunto da Sarajevo, città dal “grande valore simbolico” per il cammino di riconciliazione e di pacificazione dopo gli “orrori” di una guerra, quella nei Paesi dei Balcani, che ha portato “tanta sofferenza” alla popolazione della regione. Sarajevo, ricorda infatti, “è una città di ponti”: per questo l’incontro internazionale – il cui comitato organizzativo era stato ricevuto dal Papa in Vaticano lo scorso marzo – punta a evidenziare “la necessità di costruire, in un ambiente di tensione e divisione, nuovi percorsi di vicinanza tra popoli, culture, religiosi, visioni di vita e orientamenti politici”.

Ponti e non muri

Ai lavori si propone la prospettiva “ponti e non muri”, che d’altra parte il Papa stesso ha più volte evidenziato “nella viva speranza che – scrive nel testo – da ogni parte si ponga attenzione a questo bisogno che sempre più avvertiamo”, anche se a volte contrastato da “paure e regressioni”. Il suggerimento del Pontefice è quello di “cogliere ogni segnale e mobilitare ogni energia per eliminare nel mondo i muri di divisione e costruire ponti di fraternità”, senza ovviamente rinunciare alla prudenza.

Clima e migranti al centro dell’attenzione

Cambiamenti climatici e realtà migratorie sono al centro del dibattito di Sarajevo: la sfida ecologica, mette in luce Francesco citando la Laudato si’, “contiene in sé aspetti che possono causare gravi squilibri, non solo sull’asse del rapporto tra l’uomo e la natura, ma anche su quelli delle relazioni tra le generazioni e tra i popoli”. Si tratta di una sfida che è “l’orizzonte di comprensione dell’etica ecologica e al tempo stesso dell’etica sociale”. Il richiamo al tema dei migranti e rifugiati è dunque “molto serio e provoca una metanoia che riguarda la riflessione etico-teologica, prima ancora – spiega il Papa – di ispirare atteggiamenti pastorali adeguati e prassi politiche responsabili e consapevoli”.

Fare rete

In tale prospettiva, Francesco apprezza l’intuizione degli studiosi di “fare rete”: una collaborazione tra persone che, nei cinque continenti, con modalità ed espressioni diverse, si dedicano alla riflessione etica in chiave teologica e si sforzano di trovare in essa risorse nuove ed efficaci. Oltre alle “analisi appropriate”, si possono dunque “mobilitare energie in ordine ad una prassi compassionevole e attenta al dramma umano per accompagnarlo – evidenzia Francesco – con cura misericordiosa”. Per tessere tale rete, urge prima di tutto che proprio tra i teologi si costruiscano ponti, si condividano percorsi, si accelerino “avvicinamenti”: “non si tratta certo – puntualizza – di uniformare i punti di vista”, bensì “di cercare con volontà sincera la convergenza negli intenti, nell’apertura dialogica e nel confronto sulle prospettive”.

Attenzione alla complessità del fenomeno umano

Il Papa richiama il Proemio della recente Costituzione apostolica Veritatis gaudium, in cui ha illustrato i criteri di fondo per “un rinnovamento e un rilancio degli studi ecclesiastici”, tra cui appunto l’importanza del “dialogo a tutto campo”, del quale suggerisce ora di essere “appassionati”, e la necessità di “fare rete” tra le diverse istituzioni che nel mondo promuovono gli studi ecclesiastici. Solo così saranno possibili “analisi penetranti, attente alla complessità del fenomeno umano”, nella “fedeltà alla Parola di Dio” che ci interpella nella storia e nell’ottica della solidarietà con il mondo, sul quale non si è chiamati a “emettere giudizi” ma a “indicare strade, accompagnare cammini, lenire ferite, sostenere fragilità”. Lo spirito, dunque, è quello della “condivisione” che Francesco augura di portare avanti “con frutto” per tutta la Chiesa.

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Disponibile la App per ascoltare il Papa nella propria lingua

App Vatican Audio

Spagnolo, inglese, francese, tedesco e portoghese: grazie a Vatican Audio anche da Piazza San Pietro è più facile e veloce ascoltare le parole di Papa Francesco

Papa Francesco prega, predica e parla italiano. Ma grazie a Vatican News, da oggi anche i pellegrini che non parlano o non capiscono questa lingua, possono ascoltare direttamente il Pontefice.

Accessibile e veloce

Il merito è di “Vatican Audio” l’applicazione disponibile su App Store e Google Play: basta scaricarla, scegliere la propria lingua e ascoltare. L’accessibilità è facile e veloce anche da Piazza San Pietro. Se il Papa parla  in spagnolo sua lingua madre, questa App è anche un servizio per i pellegrini italiani, altrimenti lo si potrà ascoltare in inglese, francese, tedesco e portoghese. Il servizio si aggiunge alle trasmissioni in diretta in diverse lingue già prodotte per internet e per la Radio.

Un servizio ai pellegrini anche italiani

La App sarà disponibile anche per l’incontro di martedì prossimo di Francesco con più di 60.000 chierichetti attesi a Roma per il Pellegrinaggio internazionale dei ministranti dell‘Associazione internazionale Coetus Internationalis Ministrantium (CIM).

L’adesione è da 18 Paesi, ma il gruppo più numeroso arriverà dalla Germania, circa 50.000, accompagnati dal Presidente della Commissione per i giovani della Conferenza Episcopale Tedesca, il vescovo Stefan Oster, S.D.B. (diocesi di Passau), e da numerosi membri della Conferenza Episcopale.

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E’ la notte in rosso, con Luna e Marte – DIRETTA DALLE 20.30 Con l’eclissi del secolo e la grande opposizione

Il 27 luglio la Luna si colora di rosso con l'eclissi totale del secolo (fonte: NASA) © Ansa

E’ la notte in rosso, la più ricca di eventi astronomici dell’anno, con  l’eclissi totale di Luna più lunga del secolo, della durata di un’ora e 43 minuti a partire dalle 21.30, e la grande opposizione di Marte, la più spettacolare dal 2003. Mentre la Luna si tinge di rosso per l’eclissi, il pianeta rosso appare nel cielo più grande del 10%.

Marte, che nelle ultime ore ha fatto parlare di sé per la scoperta italiana del suo primo lago di acqua liquida sotto i suoi ghiacci, si trova nella posizione esattamente opposta al Sole rispetto alla Terra e  il 31 luglio, sarà alla minima distanza dal nostro Pianeta, pari a 57.590.630 chilometri.

A tingere di rosso la Luna è invece la sua posizione rispetto alla Terra: quest’ultima si trova tra il Sole e la Luna e proietta sul satellite un cono d’ombra. La fase totaledell’eclissi, durante la quale la Luna èintegralmente immersa nell’ombra, è prevista tra le 21:30 e le 23:13 ed è ben visibile in tutta Italia. Il massimo è previsto alle 22:22 e lo spettacolo si concluderà all’1:30 della notte del 28 luglio.

 

Tante le iniziative organizzate in tutta Italia dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), che aprirà le porte di alcuni dei suoi osservatori, e dall’Unione Astrofili Italiani (Uai), che metteranno a disposizione di tutti gli appassionati i propri telescopi amatoriali. Chi non potrà osservare lo spettacolo dell’eclissi dal vivo, come chi vive negli Usa, potrà seguirla da casa in streaming, grazie al Virtual Telescope Project che trasmetterà online l’intera notte in rosso.

Per l’occasione, infatti, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac), il Parco Archeologico del Colosseo e il Virtual Telescope Project, gestito dall’astrofisico Gianluca Masi, organizzano a Roma una serata osservativa speciale in un palcoscenico naturale unico al mondo: le rovine del Palatino, nei pressi del Tempio di Venere e Roma. Dalle 21:00 fino alle 24:00 è possibile osservare Luna e Marte vestite di rosso mentre salgono in cielo sopra Colosseo e Arco di Costantino, nella diretta in streaming trasmessa su ANSA Scienza e Tecnica.

“Marte e la Luna saranno nella stessa zona di cielo, l’uno sotto l’altra”, ha spiegato Masi. “Il pianeta rosso brillerà a circa 6 gradi di distanza dal nostro satellite e sarà, dopo Venere e la Luna, l’oggetto più luminoso del cielo”, ha aggiunto. Marte sarà così brillante perché, ha rilevato,singolarmente l’eclissi e l’opposizione di Marte – ha aggiunto – suscitano grande interesse. Ma insieme ci regaleranno una delle serate più suggestive degli ultimi decenni”. Anche Venere, Giove e Saturno saranno brillanti e ben visibili. “All’appello mancherà solo Mercurio”, ha concluso Masi. “Sarà una splendida parata planetaria, che accompagnerà la Luna in eclissi e Marte”.

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Domenica 29 Luglio 2018 Foglietto Letture e Salmo

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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Tutti gli evangelisti ci riportano il racconto del miracolo della moltiplicazione dei pani. Si tratta di nutrire una grande folla di persone e di seguaci di Gesù, radunati sulla riva nord-est del lago di Tiberiade (cf. Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10b-17). Come dimostra l’atteggiamento dei partecipanti, essi interpretano questo pasto come un segno messianico. La tradizione ebraica voleva che il Messia rinnovasse i miracoli compiuti da Mosè durante la traversata del deserto. Ecco perché, secondo questa attesa messianica, si chiamava “profeta” il futuro Salvatore, cioè “l’ultimo Mosè”. Infatti, secondo il Deuteronomio, Dio aveva promesso a Mosè prima della sua morte: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò” (Dt 18,18). Ecco perché le persone che sono presenti durante la moltiplicazione dei pani cercano di proclamare re Gesù. Ma Gesù si rifiuta, perché la sua missione non è politica, ma religiosa.
Se la Chiesa riporta questo episodio nella celebrazione liturgica è perché essa ha la convinzione che Gesù Cristo risuscitato nutre con il suo miracolo, durante l’Eucaristia, il nuovo popolo di Dio. E che gli dà le forze per continuare la sua strada lungo la storia. Egli precede il suo popolo per mostrargli la via grazie alla sua parola. Coloro che attraversano la storia in compagnia della Chiesa raggiungeranno la meta di tutte le vie, l’eredità eterna di Dio (cf. Gv 14,1-7).


Il Vangelo Domenica 29 Luglio 2018 XVII Domenica Tempo ordinario Anno B. La legge della generosità: il pane condiviso non finisce

XVII Domenica
Tempo ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù (…) salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». (…) Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato (….).

C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci… Ma che cos’è questo per tanta gente? Quel ragazzo ha capito tutto, nessuno gli chiede nulla e lui mette tutto a disposizione: la prima soluzione davanti alla fame dei cinquemila, quella sera sul lago e sempre, è condividere. E allora: io comincio da me, metto la mia parte, per quanto poco sia. E Gesù, non appena gli riferiscono la poesia e il coraggio di questo ragazzo, esulta: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta. Ci sono, quando a vincere è la legge della generosità. Poco pane condiviso tra tutti è misteriosamente sufficiente; quando invece io tengo stretto il mio pane per me, comincia la fame.
«Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi» (Gandhi).
Il Vangelo neppure parla di moltiplicazione ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E mentre lo distribuivano, il pane non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano restava in ogni mano.
Gesù non è venuto a portare la soluzione dei problemi dell’umanità, ma a indicare la direzione. Il cristiano è chiamato a fornire al mondo lievito più che pane (Miguel de Unamuno): a fornire ideali, motivazioni per agire, il sogno che un altro mondo è possibile. Alla tavola dell’umanità il vangelo non assicura maggiori beni economici, ma un lievito di generosità e di condivisione, profezia di giustizia. Non intende realizzare una moltiplicazione di beni materiali, ma dare un senso, una direzione a quei beni, perché diventino sacramenti vitali.
Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede a quelli che erano seduti.
Tre verbi benedetti: prendere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose. Se ci consideriamo tali, profaniamo le cose: l’aria, l’acqua, la terra, il pane, tutto quello che incontriamo, non è nostro, è vita che viene in dono da altrove, da prima di noi e va oltre noi. Chiede cura e attenzione, come per il pane del miracolo («raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto…e riempirono dodici canestri»), le cose hanno una sacralità, c’è una santità perfino nella materia, perfino nelle briciole della materia: niente deve andare perduto.
Il pane non è solo spirituale, rappresenta tutto ciò che ci mantiene in vita, qui e ora. E di cui il Signore si preoccupa: «La religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo: Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra (Evangelii gaudium 182)». Donaci Signore il pane, l’amore e la vita, perché per il pane, per la vita e per l’amore tu ci hai creati.
(Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo 144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-6)

Africa. Nel Sahel la carestia rialza la testa: 6 milioni a rischio

In fila per l’acqua a un pozzo alle porte di Dibinindji, villaggio nel deserto del Ciad (Ansa)

In fila per l’acqua a un pozzo alle porte di Dibinindji, villaggio nel deserto del Ciad (Ansa)

Un nuovo allarme carestia è stato lanciato dalle agenzie dell’Onu, da esponenti delle Chiese locali e dalla rete internazionale della Caritas per la regione del Sahel colpita da una perdurante siccità unita, in alcune zone, a instabilità politica e conflitti. Oltre 6 milioni di persone affrontano una lotta quotidiana per nutrirsi in una vasta area che va dal Senegal al Ciad passando per Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Camerun. La grave malnutrizione minaccia la vita di 1,6 milioni di bambini. Secondo gli esperti si tratta della peggiore crisi osservata nella regione dal 2012 e si teme un peggioramento nei prossimi mesi in mancanza di interventi significativi e immediati che consentano alle popolazioni di coltivare i loro campi. In Niger, ad esempio, «il numero di persone bisognose è aumentato a 2,3 milioni, con un incremento di 400.000 unità rispetto al 2017», sottolinea Raymond Yoro, segretario generale di Caritas Développement Niger.

Il Sahel è una delle regioni al mondo che subisce maggiormente l’innalzamento delle temperature dovute ai cambiamenti climatici. È uno dei casi più emblematici di «ingiustizia climatica»: comunità che hanno beneficiato poco o nulla dello sviluppo economico (e dunque contribuito solo per una frazione marginale al riscaldamento globale) si trovano in una situazione di alta vulnerabilità rispetto ai cambiamenti climatici e ne pagano il prezzo più alto. La riduzione dei raccolti, la morte degli animali, l’aumento dei prezzi del cibo, divengono fattori di crisi:la popolazione, dedita per lo più all’agricoltura e alla pastorizia, non ha le risorse necessarie a farvi fronte. A ciò si aggiungono le numerose situazioni di conflitto armato e instabilità presenti nella regione che colpiscono principalmente la popolazione civile. Conflitti che hanno costretto centinaia di migliaia di persone a cercare rifugio nelle comunità e nei Paesi vicini, abbandonando villaggi, campi, parenti e progetti di vita.

Le Caritas del Sahel, da anni impegnate in programmi per rafforzare la resilienza delle comunità nei confronti di choc ambientali e nel sostegno a profughi, sfollati e comunità ospitanti, si sono prontamente attivate con interventi che mettono insieme l’assistenza umanitaria con il contrasto alle cause della crisi. Gli interventi si concentrano nel settore della sicurezza alimentare e nutrizionale: distribuzione di voucher per l’acquisto di generi alimentari in Burkina Faso; fornitura di attrezzi e altro materiale utile a ripristinare attività generatrici di reddito in Niger; iniziative per creare sistemi di informazione e allerta sull’andamento del clima e delle precipitazioni in Mauritania. Caritas Italiana, da anni impegnata nel Sahel, ha effettuato un primo stanziamento a supporto degli interventi delle Caritas dell’area, in particolare Burkina Faso, Niger, Mauritania, Senegal e Camerun. Ma è necessario un impegno ulteriore, tanto che la stessa Caritas Italiana lancia un appello per un aiuto concreto ed esorta i governi ad agire in fretta.

Di crisi nutrizionale grave, a proposito in particolare della situazione in Ciad, parla anche Medici senza frontiere. Nella regione di Salamat nel solo mese di maggio 325 bambini malnutriti sono stati ricoverati presso il centro nutrizionale dell’ospedale di Am Timan, supportato da Msf. In Ciad si registra il sesto tasso di mortalità infantile più elevato al mondo e la malnutrizione è tra le principali cause. Le prime vittime sono i più vulnerabili: un bambino su sette muore prima del quinto compleanno, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari.

da Avvenire

Scuola. C’è il via libera di Bruxelles sui fondi Pon alle paritarie

C'è il via libera di Bruxelles sui fondi Pon alle paritarie

Via libera dell’Unione Europea ai fondi per finanziare il Programma operativo nazionale (Pon) anche per le scuole paritarie in Italia. La svolta nei giorni scorsi con una lettera del commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager.

Si tratta della risposta scritta all’interrogazione dell’eurodeputato Luigi Morgano del Pd, nella quale si chiedeva conto dell’azione europea sul caso dei finanziamenti destinati alle paritarie, ma bloccati, secondo fonti ministeriali italiane, per verificare se si potesse configurare il tutto «in aiuti di Stato».

Non solo, il commissario Ue conferma nella lettera che «i servizi della Commissione non si occupano attualmente di casi di aiuto di Stato » riguardo ai finanziamenti nell’ambito del Pon «a favore delle scuole paritarie in Italia», ma aggiunge anche che «le risorse provenienti dall’Unione» sono «considerate risorse statali se le autorità nazionali dispongono di un potere discrezionale in quanto all’utilizzo di tali risorse, in particolare per quanto riguarda la selezione dei beneficiari». Insomma i fondi li stanzia l’Unione, ma «le risorse sono generalmente assegnate sotto il controllo dello Stato, il quale seleziona i progetti da finanziare».

Ma la risposta del commissario europeo fa anche un passo ulteriore, ricordando che «dalla giurisprudenza della Corte europea di Giustizia si evince che l’istruzione pubblica organizzata nell’ambito del sistema scolastico nazionale finanziato e controllato dallo Stato può essere considerata una attività non economica». Dunque non si può parlare di aiuti di Stato e «tale approccio è stato confermato anche all’autorità di gestione responsabile del Programma operativo nazionale».

In parole semplici dall’Europa non ci sono problemi a includere i progetti didattici e di sperimentazione presentati dalle paritarie per i bandi del Pon. Una risposta che dovrebbe sbloccare in modo definitivo una vicenda che si protrae da mesi. Già il precedente governo aveva detto di essere favorevole all’inclusione delle paritarie nei fondi Pon e aveva previsto uno stanziamento specifico, ma al momento dell’emissione dei bandi 2018 le scuole non statali vennero escluse. Si disse allora che si doveva attendere una risposta proprio dell’Europa. A dire il vero il nostro Paese ha dovuto prima modificare l’Accordo di Partenariato tra Unione e Italia nel punto in cui diceva che i fondi Pon potevano andare solo alle scuole statali. La modifica introdotta parla ora di «scuole appartenenti al sistema scolastico nazionale», dunque paritarie incluse. Da Bruxelles avevano già fatto sapere che bastava questo cambio all’interno dell’Accordo per aprire i fondi agli istituti non statali. Ma ancora a maggio scorso si parlava di attesa per una risposta europea su presunti aiuti di Stato. Risultato? Paritarie ancora escluse e fondi destinati dalla Finanziaria 2018 congelati. Ma soprattutto un’ennesima situazione di incomprensibile ostruzionismo verso il sistema scolastico nazionale disegnato dalla legge 62/2000, nota come legge sulla parità scolastica. La risposta del commissario europeo non solo di fatto smentisce che vi sia stata un’inchiesta su presunti aiuti di Stato, ma rimette l’intera questione nel campo dell’Italia, che, dice chiaramente la lettera, «deve gestirli come fondi statali» e «per il sistema scolastico nazionale».

Nessun ostacolo europeo. Ora tutto è in mano a Roma e al ministero dell’Istruzione per la pubblicazione dei bandi sui fondi europei anche alle paritarie.