Più lavoro con la laurea, ma lo stipendio è basso

Più lavoro con la laurea, ma lo stipendio è basso

Chi ha un titolo di laurea trova lavoro in tempi rapidi, ma le retribuzioni mensili un anno dopo restano basse, 1.107 euro per i laureati di primo livello e 1.153 euro per i laureati magistrali biennali. Lo mette in luce il Rapporto Profilo e condizione occupazionale dei laureati del Consorzio Interuniversitario Almalaurea, presentato a Torino, da Gaetano Manfredi, rettore dell’Università Federico II di Napoli e presidente della conferenza dei rettori, Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea e Gianmaria Ajani, rettore
dell’Ateneo torinese.

Chi si laurea in Medicina e in Ingegneria ha più opportunità di trovare un’occupazione, maggiori difficoltà per chi sceglie i gruppi disciplinari psicologico, giuridico e geo-biologico.
Giudizio sul lavoro? Il voto oscilla tra il 7,3 degli avvocati e l’8,3 dei dentisti. «Ci sono più immatricolazioni e più occupazione, ma resta un forte divario tra Nord e Sud del Paese ed è forte il problema delle retribuzioni, tra le più basse dei Paesi Ocse», sottolinea Manfredi.

A un anno dalla laurea ha un lavoro il 71,1% dei laureati di primo livello (+2,9% rispetto al 206) e il 73,9% dei magistrali biennali (+3,1%).
Per il quarto anno consecutivo si registra un calo del tasso di disoccupazione: -9,2% rispetto al 2013 per i laureati di primo livello e -6,5% per i magistrali biennali. Nell’ultimo anno diminuiscono il lavoro autonomo e i contratti a tempo indeterminato, mentre sono in crescita i contratti non standard, in particolare a tempo determinato (+38,1% per i laureati di primo livello e +34,3% per i magistrali biennali).

Il Rapporto ha coinvolto i laureati di 74 Università aderenti al consorzio Almalaurea: sono stati analizzati le performance formative di oltre 276mila laureati nel 2017 (157mila di primo livello, 81mila di secondo e 36mila magistrali a ciclo unico). Nel 2017 quasi la metà dei laureati (46,2%) ha conseguito il titolo nella stessa provincia in cui ha ottenuto il diploma di scuola secondaria di secondo grado. Il 23,9% degli studenti si trasferisce dal Mezzogiorno negli Atenei del Centro e del Nord e a spostarsi sono di più i ragazzi che hanno un background socio-culturale elevato: il 36,1% ha almeno un genitore laureato e il voto medio di diploma è più alto (83/100).

Continua a diminuire l’età media di laurea, pari a 26 anni (26,1 nel 2016): 24,8 per i laureati di primo livello, 27 per i magistrali a ciclo unico. Migliora anche la regolarità degli studi pari al 51,1% a fronte del 37,9% del 2007 e al 48,8% del 2016. L’11,1% dei laureati ha svolto esperienze di studio all’estero (7,9% nel 2007).
Diminuisce la quota di laureati con esperienze di lavoro durante gli studi (dal 74,9% al 65,6%). Quasi la metà dei laureati (48,4%) è disposta a trasferirsi all’estero.

avvenire

Giovane a allegro: Citroen C3 Aircoss, il Suv da città

da Avvenire

Giovane a allegro: Citroen C3 Aircoss, il Suv da città

Tre lettere che fanno tendenza. La sigla SUV sta per sport utility veihcle, ovvero vetture sportive utilizzabili, una frase che in italiano non dice nulla ma la sigla e il concetto ne fanno le vetture più vendute e desiderate del momento. In qualsiasi segmento, la tendenza è questa e non deve stupire se tutti stanno proponendo modelli di alto livello anche se destinati alla città e agli spazi ridotti. In quest’ottica Citroen ha estrapolato dalla sua C3 classica la versione Aircross, che si caratterizza per una maggiore lunghezza di 16 centimetri e altezza aumentata, col risultato che c’è più spazio a bordo da qualsiasi lato la si guardi. Nel bagagliaio, che col divano posteriore a scivolo permette di caricare oggetti lunghi fino a 240 centimetri, poi i cinque posti interni, con quelli posteriori adeguati anche a persone di una certa altezza. Gli interni sono rifiniti bene, con scelte stilistiche di classe e divertenti, molto moderne nei colori e design, un po’ meno funzionali per quanto riguarda invece la seduta dei sedili, senza supporto lombare e dopo un po’, specie chi non è più giovane, qualche acciacco magari lo sente nei lunghi viaggi, come abbiamo verificato nel nostro test drive.

Com’è e come va. Di sicuro Aircross ha una bella linea, che col tettuccio in vetro la rende spigliata, adatta al tempo libero e ai viaggi anche se poi l’uso prevalente finisce per essere quello cittadino. E in questo è aiutata dalle dimensioni compatte, come la sorella C3, dalla maneggevolezza e da una tenuta di strada onesta, senza sorprese negative. In questo il mix è perfettamente riuscito. Quindi abitabilità notevole, rifiniture, design, sportività ed eleganza, con spazio sufficiente per viaggi e vacanze. Mica male, verrebbe da dire, così come nella scelta dei motori. Ce ne sono a benzina e diesel, nel primo caso si parte col 1.2 Puretech da 82 cavalli e si sale fino ai 130 (decisamente bello tosto e pieno questo motore) mentre coi diesel variano le potenze, da 100 cavalli fino ai 120 del 1.6. Noi abbiamo provato il 1.5 da 100 cavalli e in quanto a consumi il risultato è più che positivo. Parco, con i 20 km al litro facilmente alla portata di chiunque. Conoscendo meglio però il 1600 da 120 cavalli siamo decisi a consigliarvi questa motorizzazione anche perché più elastica e meno rumorosa rispetto al 1500, senza dimenticare che con questo motore c’è un cambio 5 marce che rispetto al 6 marce della 1600 da 120 cavalli perde il confronto.

I prezzi. In conclusione il mix di C3 Aircross è completo per tutti i gusti, poi sta a chi compra decidere la motorizzazione in base all’uso. Se si fa molta strada, specie autostrada e extraurbano, allora il consiglio è per la 1600 da 120 cavalli, se invece si vuole divertimento e basta, il 130 CV benzina è stupendo per quello che offre. I prezzi partono da 15.500 euro per la Puretech da 82 cavalli benzina e arrivano ai 21.350 della 130 cavalli benzina, coi diesel si parte da 18.000 euro e si arriva ai 22.600 dell’allestimento Shine (completo di tutto, telecamera posteriore compresa e degli ADAS i sistemi di supporto alla guida). Rispetto alla 1500 stesso allestimento la differenza è di 1.000 euro (21.600) quindi per questa minima spesa in più, secondo noi meglio la 120 cavalli, anche se poi bisogna mettere in conto i costi di bollo e assicurazione leggermente superiori. Se si pensa che col grip control (una regolazione del differenziale davvero molto utile) si ha quasi la sensazione di avere una 4 ruote motrici, il costo è adeguato anche se spendere meno per avere la stessa dotazione resta il sogno di tutti.

La curiosità. Quanto durerà la tua auto? Un algoritmo lo calcola

Quanto durerà la tua auto? Un algoritmo lo calcola

Nasce a Torino Airvo, associazione italiana rivenditori veicoli d’occasione. Il suo primo obiettivo – spiega il presidente Ercole Messina al Salone di Torino Parco del Valentino – è la divulgazione di uno strumento in grado didare un’indicazione oggettiva sullo stato di salute di un’auto usata: è basato su un algoritmo, messo a punto dalla società torinese Movi con il Dipartimento di Ingegneria gestionale e della produzione del Politecnico di Torino, in grado di indicare la percentuale di vita residua di un veicolo usato attraverso un calcolo che tiene conto dell’utilizzo pregresso del mezzo, dell’età, dei chilometri percorsi, del prezzo di listino del nuovo e del prezzo di vendita dell’usato. «Il nostro obiettivo è impedire ai rivenditori scorretti di “fregare” i consumatori ma anche tutelare chi acquista un’auto usata. Già due multinazionali, Fca Bank attraverso Lysis e Ald Automotive del gruppo Société Generale, utilizzano questo strumento», spiega Messina, che è anche presidente del gruppo Movi.

Il mercato dei veicoli usati in Italia genera, secondo i dati Unrae, un giro d’affari di 34 miliardi di euro contro i 41,5 di quelli nuovi. Nel 2017 sono stati registrati 2,8 milioni di passaggi di proprietà di auto con un incremento del 4,5% rispetto al 2016. Ogni 100 auto nuove sono state acquistate 146 auto di seconda mano, uno dei valori più bassi rispetto ai maggiori mercati europei. Il prezzo medio di vendita dell’usato e di 12.000 euro, con una flessione del 2,1% rispetto al 2016. In testa alla classifica dei marchi relativamente all’acquisto di auto di seconda mano figura la Fiat, con Punto e Panda in particolare, seguita da Ford, Alfa Romeo, Peugeot, Renault, Volkswagen, Opel, Citroen, Audi, Mercedes.

da Avvenire

Boom di precari e rischio povertà per 9,3 milioni di italiani

da Avvenire

Boom di precari e rischio povertà per 9,3 milioni di italiani

Cresce l’area di disagio sociale. Non solo disoccupazione, diventa più larga la mappa degli italiani che fanno i conti con l’assenza di posti di lavoro che è aumentata dell’1,4% dal 2016 al 2017: nel bacino dei deboli 128mila persone in più. I disoccupati sono in calo di 69mila unità, ma sono 197mila in più gli occupati precari.

Meno disoccupazione, compensata da una “fabbrica” di lavoratori precari. Ora sono oltre 9,3 milioni gli italiani non ce la fanno e sono a rischio povertà: è sempre più estesa l’area di disagio sociale che non accenna a restringersi. Dal 2016 al 2017 altre 128mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 293 mila soggetti in difficoltà. Crescono soprattutto gli occupati-precari: in un anno, dunque, è aumentato il lavoro non stabile per 197mila soggetti che vanno ad allargare la fascia di italiani a rischio.

Ai ‘semplici’ disoccupati, che hanno fatto registrare una diminuzione di 69mila unità, vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un’enorme “area di disagio”: ai quasi tre milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (900mila persone) sia quelli a orario pieno (2 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (722mila), i collaboratori (251mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,68 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,55 milioni di unità. Il totale del’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, a fine 2017 comprendeva dunque 9,29 milioni di persone, in aumento rispetto fine 2016 di 197mila unità (+1,4%).

Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Una situazione di fatto aggravata dalle agevolazioni offerte dal Jobs Act che hanno visto favorire forme di lavoro non stabili.Di qui l’estendersi del bacino dei “deboli”. Il dato sui 9,29 milioni di persone è relativo al terzo trimestre del 2017 e complessivamente risulta in aumento dell’1,4% rispetto al terzo trimestre del 2016, quando l’asticella si era fermata a 9,16 milioni di unità: in un anno quindi 105mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale.

Nel terzo trimestre del 2016 i disoccupati erano in totale 2,80 milioni: 1,53 milioni di ex occupati, 578mila ex inattivi e 693mila in cerca di prima occupazione. A settembre 2017 i disoccupati risultano in discesa di 69mila unità (-2,5%). Incide il calo di 139mila unità degli ex occupati, mentre crescono di 41mila unità gli ex inattivi; e salgono pure coloro che sono in cerca di prima occupazione, cresciuti di 29mila unità.

In salita il dato degli occupati in difficoltà: erano 6,35 milioni a settembre 2016 e sono risultati 6,55 milioni a settembre scorso. In totale 197mila soggetti in più (+3,1%). Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana, nonostante alcuni segnali di miglioramento: soprattutto le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno – favorite dalle misure inserite soprattutto nel Jobs Act – pagano il conto della recessione. I contratti a temine part time sono saliti di 146mila unità da 754mila a 900mila (+19,4%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 196mila unità da 1,80 milioni a 2 milioni (+10,9%), i contratti a tempo indeterminato part time sono calati dell’1,0% da 2,70 milioni a 2,68 milioni (-27mila). Scendono i contratti di collaborazione (-56mila unità) da 307mila a 251mila (-18,2%) e risultano in diminuzione anche gli autonomi part time (-7,9%) da 784mila a 722mila (-62mila).

Dossier aperti. Anno scolastico finito, ecco i tanti problemi da risolvere

Diplomati magistrali, edilizia inadeguata e presidi con più scuole da gestire in contemporanea. Ecco i primi problemi che dovrà affrontare il nuovo ministro dell’Istruzione Marco Bussetti

avvenire

Ultimo giorno di scuola. Per gli studenti è tempo di vacanza, ma non per il nuovo ministro dell'Istruzione marco Bussetti (Fotogramma)

Ultimo giorno di scuola. Per gli studenti è tempo di vacanza, ma non per il nuovo ministro dell’Istruzione marco Bussetti (Fotogramma)

«Desidero ascoltare con cura e attenzione tutte le componenti della scuola, per affrontare il lavoro insieme, nel rispetto dei ruoli». Vista la mole dei dossier che si è ritrovato sulla scrivania, di certo non mancheranno le occasioni di confronto, al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che ieri ha inviato un messaggio per la fine dell’anno scolastico e l’inizio degli Esami di Stato. Il problema più scottante e urgente da risolvere è senz’altro quello dei diplomati magistrali, oltre 50mila maestre di scuola materna ed elementare diplomate entro l’anno scolastico 2001-2002, che una sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 20 dicembre, ha escluso dalle Graduatorie a esaurimento e dal ruolo. Di queste, 6.669 sono state assunte a tempo indeterminato, con riserva, dopo aver superato l’anno di prova.

Da sei mesi queste lavoratrici attendono di conoscere il proprio destino e, tra le ipotesi circolate in queste ore, c’è anche quella di di un decreto del ministro Bussetti, per arrivare a una sorta di “sanatoria”. «Nessuna decisione definitiva è stata ancora presa», precisa una nota del Miur, che dovrebbe presentare un’ipotesi di soluzione del caso la prossima settimana.

Mercoledì prossimo anche il Partito democratico avanzerà una proposta con la senatrice Simona Malpezzi, che presenterà la proposta di legge “Disposizioni in materia di contrasto alla povertà educativa e di reclutamento per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria”, che prevede «un piano di assunzioni e regole di reclutamento in grado di risolvere il problema dei diplomati magistrali e di garantire i diritti di tutti gli insegnanti coinvolti».

L’ipotesi più accreditata dalle parti di viale Trastevere è quella di un decreto per la formazione di unagraduatoria ad hoc nella quale inserire sia i diplomati magistrali sia i laureati in Scienze della fo rmazione primaria, che vi accederebbero senza concorso. Una soluzione che non piace agli Insegnanti uniti nel merito, che rappresentano gli oltre 110mila docenti del Coordinamento nazionale vincitori concorso scuola 2016, del Comitato tutela Gae infanzia e primaria e del Coordinamento Scienze della Formazione primaria nuovo ordinamento. «Non possiamo credere – si legge in una nota – che i nostri diritti e aspettative possano essere calpestati dall’ennesima sanatoria priva di selezione».

Per la «riforma dell’attuale sistema di gestione delle graduatorie a esaurimento» propende il sindacato autonomo Anief, che ha già presentato un reclamo collettivo al Parlamento europeo contro il precariato degli insegnanti e, proprio ieri, ha ottenuto dal Tribunale del lavoro di Bologna, un maxi-risarcimento di 100mila euro a favore di tre docenti che avevano superato i 36 mesi di contratti a termine senza essere stabilizzati dal Ministero.

Sul tavolo di Bussetti anche le richieste dei dirigenti scolastici, a partire dalla «più celere conclusione del concorso», scrive il presidente dell’associazione Disal, Ezio Delfino, in una lettera inviata al ministro. «Dal prossimo anno scolastico, quasi la metà delle scuole avranno un dirigente in reggenza di un secondo istituto oltre quello di titolarità», ricorda il preside, che chiede «una misura provvisoria che, superando l’istituto della reggenza, consenta fin dal 1° settembre la guida degli istituti scolastici privi di dirigente titolare, proprio al fine di salvaguardarne l’autonomia, principio riconosciuto dalla stessa Costituzione».

Al primo punto delle richieste al neo-ministro, l’Associazione nazionale presidi (Anp), mette invece «la situazione di inadeguatezza degli edifici scolastici». Secondo il Rapporto 2017 di Legambiente, infatti, il 41% delle scuole, pari a 15.055 edifici, si trova in area sismica 1 e 2, cioè a rischio di terremoti forti o fortissimi e il 43% di questi risale a prima del 1976, quando è entrata in vigore la normativa antisismica. Complessivamente, oltre il 60% delle scuole italiane è stato costruito prima del ’76 e il 43,8% avrebbe bisogno di interventi urgenti di manutenzione ordinaria e straordinaria.

I nodi da sciogliere

Caos maestre. Il ministero e la sanatoria. Dal 20 dicembre infiamma il dibattito. È il caso di oltre 50mila maestre di scuola materna ed elementare, diplomate prima dell’anno scolastico 2001-2002, che ora rischiano il posto per una sentenza del Consiglio di Stato. Per risolvere la questione, il ministero sta valutando la possibilità di una graduatoria ad hoc, soluzione però avversata dai laureati in Scienze delle formazione primaria.

Concorso presidi. Un dirigente, due istituti? A settembre quasi una scuola su due avrà il dirigente a mezzo servizio, perché, oltre alla propria sede titolare ne avrà un’altra in reggenza. La denuncia è dell’associazione Disal, che ha scritto una preoccupata lettera al ministro Bussetti. Sollecitando «la più celere conclusione possibile del concorso», slittato a fine luglio. Disal chiede anche «l’alleggerimento delle incombenze burocratiche».

Manutenzione. Edilizia ancora inadeguata, rischio sismico. Al neo ministro dell’Istruzione è arrivata la lettera di saluto e richiesta di incontro dell’Associazione nazionale presidi (Anp). Al primo posto i dirigenti mettono «la situazione di inadeguatezza degli edifici scolastici», per il 60% costruito prima del 1976. L’Associazione chiede anche «di sgravare i colleghi da responsabilità che non competono loro».