Dio, Padre e Madre

di: Roberto Mela

La storia di Dio nella Bibbia

Fino al 2003 il settantasettenne filosofo, teologo e biblista basco ha insegnato teologia, esegesi e fenomenologia delle religioni alla Pontificia Università di Salamanca. La sua pluriforme specializzazione emerge nel suo volume dedicato alla progressiva rivelazione di Dio nella storia con il suo popolo Israele, attestata nella Bibbia.

A diversità di altri scritti di culture coeve, i testi sacri di Israele e della comunità cristiana non sacralizzano la divinità vista nella sua potenza sessuale maschile e femminile, creatrice e feconda. Il Divino (’Elōhîm) si rivela come il Dio di Israele (YHWH). Un Dio padre del popolo, che entra con potenza liberatrice nella storia.

Considerato nei libri storici perlopiù nella sua potenza che sostiene il regime davidico, figura del futuro Messia, nelle pagine che la Genesi dedica alla creazione è visto come Dio che crea e cura con amore l’umanità, con amore paterno e materno.

L’aspetto “femminile” di Dio, il suo amore materno e paterno insieme, è espresso in vari passi dei libri profetici (specialmente Osea, Geremia, II e III Isaia). Il suo amore viscerale è eterno, immutabile, che non dimentica il suo popolo – a differenza di una possibile madre snaturata che potrebbe dimenticarsi del proprio bambino. YHWH si china sul suo popolo per attirarlo alla sua guancia, nutrirlo e insegnargli a camminare.

Nei libri sapienziali Dio appare come Padre e creatore, un Dio Sapienza, Padre universale. Negli scritti apocalittici compare come collegato al giudizio finale, mentre negli scritti rabbinici è frequente la sua invocazione come “Padre nostro (’ābînû)” e “Re nostro (malkēnû)”, padre e re della comunità di Israele.

Il messaggio di Gesù è incentrato sulla venuta del regno di Dio, che inizia a contagiare fin d’ora, con la sua potenza liberatrice e risanante, il mondo dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.

I vangeli conservano con venerazione l’espressione aramaica’Abbà’ (Babbo, Papà), usata non solo dai bambini, con la quale Gesù esprime tutta la sua fiducia e confidenza nell’opera e nella vicinanza del Padre alla sua persona, alla sua missione e specialmente al momento del dono supremo al Calvario, in una morte solidale, redentrice, espressione massima dell’amore del Padre e del Figlio.

Dio è Padre e Madre insieme, perché l’uomo non può arrivare ad avere l’esperienza del padre se non con l’azione educatrice della madre. Il Padre-Madre di Gesù è provvidente e può essere invocato con fiducia con la Preghiera del Pater che Gesù insegna ai suoi discepoli.

Nella notte della lotta sul Monte degli Ulivi e nel buio della morte al Calvario, Gesù, pur avvolto psicologicamente dall’angoscia della solitudine, si abbandona nella preghiera al Padre. Questi si mostra Padre accogliendo – in modo paradossale, certamente – la sua preghiera. Il Padre si mostra tale amandolo, sorreggendolo nel dono di sé, ma non intervenendo con una potenza “mondana” a salvarlo dalla croce, pena la situazione irredimibile dei peccatori, dei lontani da Dio, di coloro che sentono la loro preghiera inascoltata, del dolore degli innocenti.

Gli scritti della comunità primitiva confluiti negli Atti degli Apostoli, nelle lettere paoline e negli scritti giovannei testimoniano il fatto che la comunità cristiana avverte la risurrezione (e non solo l’incarnazione) come il momento in cui Dio Padre esercita la sua paternità, generando il Figlio alla sua condizione di Figlio di Dio con potenza.

Paolo esprime in tutti i suoi scritti la coscienza credente del fatto che Dio è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Il Cristo “Signore, Kyrios”, condivide parte delle caratteristiche di YHWH e in 2Cor 8,6 Paolo, servendosi della ricchezza espressiva della lingua greca, sottolinea come Dio Padre sia Theos, “Dio” e Gesù Cristo, il Messia, sia il Kyrios, “il Signore”.

Ciò che lega il Padre e il Figlio nel reciproco amore, che essi espandono sui credenti, è lo Spirito d’amore e di Verità, Spirito Paraclito che difende e conforta i credenti nelle prove.

Dio Padre mostra tutto il suo amore donando il suo Figlio agli uomini, non tenendolo per sé (Rm 8,32). Chi accoglie il Figlio, il suo amore, può vivere la stessa vita filiale di Gesù nell’amore. Secondo Giovanni, il credente nel nome del Signore Gesù Cristo può gustare fino d’ora, in una escatologia “realizzata”, la “vita eterna”.

Scritto con chiarezza invidiabile, con accorgimenti grafici (il corsivo) e strutturazione contenutistiche che evidenziano l’articolazione del tema affrontato, Pikaza offre ai lettori una piccola summa che attraversa al galoppo l’intera biblioteca biblica, mostrando la molteplicità e la ricchezza del volto di Dio, Padre e Madre insieme, rivelataci in pienezza dal suo Figlio incarnato, morto e risorto, Gesù di Nazaret.

Xabier Pikaza, La storia di Dio nella Bibbia. Dio come Padre e come Madre(GdT 405), Queriniana, Brescia 2018 (or. spagn. Madrid 2017), pp. 160, € 17,00.

settimananews

Credi di più nella Bibbia

Settima puntata della rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo sulla rivista Vita pastorale, che ringraziamo per il consenso a riprendere l’appuntamento mensile anche su Settimana News. Di seguito gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti /3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5;Insegna a pregare /6.

Un’audace quanto improcrastinabile rivoluzione attende i credenti di quest’ora della storia. Ed è quella che riguarda l’immaginario diffuso dell’adulto credente. Veniamo, infatti, da un passato nel quale una certa unità di cultura ed una certa cultura dell’unità aveva favorito il sorgere di un modello di credente sostanzialmente centrato sull’idea dell’accettazione intellettuale della dottrina e morale della Chiesa. Impostazione che ha, lentamente, favorito una radicale divaricazione tra la fede professata e la vita concreta. E ha pure portato al sorgere e al diffondersi di quella figura ibrida del “credente non praticante”.

Oggi è tempo di cambiare passo. Se è certamente vero che il cristianesimo possiede una dottrina teologica e morale, è altrettanto vero che non è a questa che si riduce. La promessa di vita buona che il cristianesimo propone è collegata all’aspetto personale della fede, come illustra l’enciclicaLumen fidei, iniziata da Benedetto XVI e conclusa da papa Francesco: «Nella fede, Cristo non è soltanto colui in cui crediamo, la manifestazione massima dell’amore di Dio, ma anche colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere».

È questo il profilo integrale dell’identità dell’adulto credente. Assumere questa “rivoluzione” è oggi più che mai urgente per i percorsi della pastorale giovanile vocazionale. Non avere chiaro quale sia il loro punto di arrivo, ovvero quale dovrebbe essere il “profilo d’uscita” dei giovani con i quali si lavora, rischia di avallare la prassi di sempre. E di avere il risultato di sempre. Con la cresima i giovani ci lasciano, senza sbattere le porte, senza il minimo senso di colpa. A dare maggiore concretezza al passo richiesto, ci ha pensato papa Francesco, che ai giovani cileni ha esemplificato l’esperienza concreta della fede con questa domanda: «Che cosa farebbe Gesù al mio posto?».

Da qui scaturisce il quinto principio della Pastorale giovanile vocazionale: “Credi di più nella Bibbia”. La familiarità con la Parola deve essere l’obiettivo minimo di ogni lavoro con il mondo delle nuove generazioni. Come potrebbero rispondere alla domanda su cosa farebbe Gesù al mio posto se nessuno testimonia loro, contagiandoli, un amore sincero per il Vangelo?

Per quanto possa apparire urticante, è ora che ci diciamo la verità: il contatto domenicale con la Parola non è sufficiente per far sorgere un adulto credente all’altezza di quanto richiesto daLumen fidei. Serve più Bibbia in ogni giorno di vita delle nostre comunità. Questo, del resto, è un compito esplicitamente evidenziato da Evangelii gaudium: «Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria».

avvenire

Dal 14 maggio a Milano la nuova edizione di “The Future Makers”, l’iniziativa – organizzata da The Boston Consulting Group – rivolta agli studenti fra i 23 e i 26 anni. Oltre il 90% trova lavoro

Così si formano i 100 migliori talenti italiani

Cento studenti fra i 23 e i 26 anni, uomini e donne, provenienti dalle più prestigiose università: sono loro i protagonisti della terza edizione di “The Future Makers”, il percorso di formazione che vedrà la prima fase da lunedì 14 a giovedì 17 maggio negli uffici di Bcg Milano. Quattro giorni di confronto e riflessione, guidati da oltre 30 esperti di Bcg e autorevoli relatori, come il fondatore di Candy Crush Riccardo Zacconi, gli amministratori delegati di Eni e Kiko Claudio Descalzi e Cristina Scocchia, il direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas Alberto Mantovani, la campionessa olimpica di scherma Valentina Vezzali e molti altri.

Imparare, guidare, connettere. L’obiettivo di “The Future Makers” è contribuire alla formazione delle giovani generazioni, i leader del futuro, e offrire loro un’occasione di incontro e scambio con i rappresentanti della business e social community italiana e internazionale. Con il supporto dei Rettori, gli studenti sono stati selezionati da Nord a Sud non solo sulla base del loro curriculum scolastico, ma anche della loro passione, della capacità di introspezione e comprensione dei grandi fenomeni. Un roadshow durato sei mesi nelle principali Università ha portato Bcg alla selezione dei 100 studenti, da una base di oltre 12mila persone incontrate.

Nelle edizioni 2016 e 2017, i “Future Makers” si sono confrontati con decine di testimoni fra i quali il ceo di Enel, Francesco Starace, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il ceo di Eataly, Andrea Guerra, il presidente di Valore D, Sandra Mori, l’atleta paraolimpica Bebe Vio, il direttore innovazione del World Food Programme, Robert Opp. E ancora Francesco Caio, già amministratore delegato di Poste Italiane, il commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale, Diego Piacentini e molti altri.

«The Future Makers è un’iniziativa formativa che continua ad avere un grande impatto sulla crescita professionale e personale dei giovani. Tra i partecipanti delle edizioni precedenti, che hanno terminato gli studi,oltre il 90% ha trovato lavoro. Anche quest’anno saranno quattro giorni intensi, in cui approfondiremo tematiche al cuore dello sviluppo della nostra società: dal digitale alla trasformazione del mondo industriale, dalle principali sfide dell’economia della cultura e della creatività fino alla ricerca scientifica. Un’occasione unica per restituire al Paese e investire nel futuro», ha commentato Giuseppe Falco, amministratore delegato di The Boston Consulting Group Italia, Grecia e Turchia.

avvenire

Musica. La fede vichinga sbarca all’Eurofestival

Il danese Rasmussen sarà all’Eurovision Song Contest con una canzone ispirata a san Magnus Erlendsson

Il danese Rasmussen sarà all’Eurovision Song Contest con una canzone ispirata a san Magnus Erlendsson

Ormai da tempo l’Eurovision Song Contest non è solo il più importante concorso musicale d’Europa e uno degli show televisivi più visti al mondo, con 200 milioni di telespettatori, ma è anche un mezzo per raccontare storie o lanciare messaggi sociali. L’edizione 2018, che andrà in scena stasera, giovedì e sabato dalla Altice Arena di Lisbona (diretta tv su Rai 4 le due semifinali, su Rai 1 la finale, sempre alle ore 21) ne racconterà tre molto forti. Ermal Meta e Fabrizio Moro parleranno di terrorismo con la loro Non mi avete fatto niente. Per la Francia invece il duo Madame Monsieur canterà la bella storia – della quale “Avvenire” aveva già riferito – della piccola Mercy, figlia di una migrante e nata il 21 marzo 2017 su una nave umanitaria nel canale di Sicilia. Se Italia e Francia accedono direttamente alla finale di sabato, giovedì nella seconda semifinale sarà il turno della Danimarca con un vero e proprio caso: la canzone in gara si ispira a san Magnus Erlendsson.

A cantare Higher ground sarà Rasmussen, intrerprete di musical. Magnus Erlendsson era un nobile norvegese, conte delle isole Orcadi convertito al cristianesimo, che governò le isole scozzesi fra il 1106 e il 1115 all’insegna del dialogo, della pace e del rifiuto della guerra. Per ben due volte infatti rifiutò di combattere: nel 1098, nel corso di un raid vichingo sull’isola di Anglesey, durante il quale restò sulla nave a recitare i salmi, e nel 1115, quando trovò la morte la sera di Pasqua dopo aver rifiutato di contendersi col cugino Haakon il governo fino al- lora condiviso, della contea. Aveva appena pregato per le anime dei suoi carnefici. Fu canonizzato nel 1898 da papa Leone XIII. Il poeta orcadiano George Mackay Brown (cattolico) lo immortalò in un suo romanzo mentre il compositore Peter Maxwell Davies scrisse un’opera sul suo martirio. Entrambi gli hanno intitolato il grande festival di musica classica che si tiene ogni giugno a Kirkwall.

La canzone di Rasmussen parla del dialogo come risoluzione dei conflitti: «L’ispirazione degli autori è stata proprio la storia di Magnus – dice l’artista al sito Eurofestival News – e anche se il tempo era diverso, il messaggio è sempre valido: allora per lui rifiutarsi di attaccare fu una grande responsabilità, oggi a noi la sua vicenda insegna che è fondamentale cercare di capirsi l’uno con l’altro. Non siate testardi, non incrociate le braccia ma anzi, ascoltate le persone a braccia aperte: quasi sempre questo porta al risultato cioè al comprendersi». La sua vicenda è raccontata anche dalle saghe della tradizione nordeuropea, sulla base delle quali gli autori – un team svedese – hanno scritto il testo.

Non si tratta della prima canzone con riferimenti religiosi nella storia dell’Eurofestival. Sebbene il regolamento vieti citazioni esplicite che rimandino a politica o confessioni religiose (in ogni caso il nome di san Magnus nel testo della canzone non compare mai), per ben due volte hanno vinto canzoni con chiari rimandi alla fede,Hallelujah (degli israeliani Gali Atari & Milk and Honey, nel 1979) e Hard Rock Hallelujahdei finlandesi Lordi nel 2006, che sotto le pesanti maschere ispirate al cinema horror portarono un inno alla potenza di Dio («Gli angeli del rock n’roll portano l’Hallelujah / Nella creazione di Dio Altissimo e soprannaturale / Solo chi crede davvero / sarà salvato »). Nel 2014 per la Svizzera salirono sul palco i Takasa, una band composta da membri dell’Esercito della salvezza, l’organizzazione umanitaria evangelica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA NORDICO Il cantante danese Rasmussen sarà all’Eurovision Song Contest con una canzone ispirata a san Magnus Erlendsson San Magnus Erlendsson

avvenire

Istat. Un milione di famiglie senza lavoro

Un milione di famiglie senza lavoro

Nel 2017 in 1,1 milioni di famiglie italiane «tutti i componenti appartenenti alle forze di lavoro erano in cerca di occupazione», pari a quattro famiglie su 100, in cui non si percepiva dunque alcun reddito da lavoro, contro circa la metà (535mila) nel 2008. Lo ha sottolineato il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, nel corso dell’audizione sul Def. «Di queste – ha proseguito – più della metà (il 56,1%) è residente nel Mezzogiorno. Nel complesso si stima un leggero miglioramento rispetto al 2016 (15mila in meno), ma la situazione al Sud è in peggioramento (13mila in più)». «La ripresa dell’inflazione nel 2017 spiega circa la metà (tre decimi di punto percentuale) dell’incrementodell’incidenza della povertà assoluta», osserva l’Istat. Mentre la restante parte, secondo l’Istituto di statistica, «deriva dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie che sono scese sotto la soglia di povertà». Complessivamente, si stima che lo scorso anno siano in povertà assoluta 154mila famiglie e 261mila individui in più rispetto al 2016.

Dal punto di vista territoriale, i dati provvisori mostrano aumenti nel Mezzogiorno e nel Nord, e una diminuzione al Centro. L’aumento delle famiglie in povertà assoluta è, inoltre, «sintesi di una diminuzione in quelle in cui la persona di riferimento è occupata, e di un aumento in quelle in altra condizione», aggiunge l’Istat.

da Avvenire

Ascensione del Signore (Anno B) Domenica 13 Maggio 2018 foglietto, Letture e Salmo

 Ascensione del Signore (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

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La missione della Chiesa è presieduta da Gesù Cristo risorto, salito al cielo e intronizzato Signore alla destra del Padre. L’ascensione e l’invio degli apostoli sono inseparabili. Tra gli undici (Giuda il traditore ha seguito un altro cammino), inviati da Gesù e beneficiari della sua promessa fedele e potente, si trovano anche i successori degli apostoli e la Chiesa intera. Gesù ci invia, ci accompagna e ci dà la forza. Noi non siamo dei volontari spontanei, ma degli inviati. Appoggiandoci su Gesù Cristo vincitore della morte, possiamo obbedire quotidianamente al suo ordine di missione nella serenità e nella speranza.
Gli apostoli sono i messaggeri di una Parola che tocca l’uomo nel centro della sua vita. Il Vangelo, affidato alla Chiesa, ci dà una risposta definitiva: se crediamo, siamo salvati, se rifiutiamo di credere o alziamo le spalle, siamo perduti. Attraverso la fede, che è il sì dato dall’uomo a Dio, noi riceviamo la vita.
Il Signore conferma la predicazione degli apostoli con molti segni; e segni accompagnano anche i credenti. Attraverso questi segni, diversi e coestesi alla missione della Chiesa, Dio vuole garantire la sua azione in coloro che egli ha inviato e invita tutti gli uomini ad abbandonare ciò che è visibile e quindi attraente per il mistero della salvezza.

GEZA, LO SCHINDLER DEL PALLONE

Anche il calcio ha avuto il suo Schindler, il suo nome è Géza Kertész, ungherese di Budapest. Un uomo nato alla fine dell’800 e che da noi ha allenato dal 1925 (lo Spezia) fino al 1940 (la Roma) navigando per mezzo sud fino a Catania. Quando nel 1943 si interrompono i campionati da «nazionalista fervente», Géza fa ritorno in patria per allenare l’Ujpest. In un’Ungheria braccata dai nazisti assiste alla deportazione nei campi di sterminio di amici, ex compagni di squadra e di molti dei suoi giocatori. Da uomo d’azione non può rimanere a guardare. Così con l’avversario di una vita, Istvan Toth, il mister del rivale Ferencvaros, Kertész mette su una squadra speciale che ha il compito preciso di stoppare l’Olocausto. Intere formazioni di condannati a morte certa vengono presi sotto la custodia del tandem provvidenziale Géza Kertész-Toth. Géza si spinge oltre, pur di portare in salvo il maggior numero di ebrei del ghetto di Budapest si traveste da soldato della Wehrmacht. Il salvataggio perfetto sta per andare in porto, ma la Gestapo lo marca stretto, lo bracca e imprigiona lo “Schindler del pallone”. Il 6 febbraio 1945 Kertész viene fucilato. Vittima del nazismo prima, e poi dello stalinismo che ne ha cancellato la memoria il suo nome è caduto nell’oblio. Ma oggi il popolo ungherese porta fiori alla sua tomba nel cimitero degli eroi, e anche a Catania c’è chi vive e passeggia in via Géza Kertész.

AVVENIRE