Convegno a Piazza Armerina Martedì 24 Aprile 2018 sul Servo di Dio Mons. Francesco Fasola

Convegno a Piazza Armerina Martedì 24 Aprile 2014 sul Servo di Dio Mons. Francesco Fasola

L’associazione Amici del Servo di Dio Mons. Francesco Fasola, della Parrocchia S. Antonio a Piazza Armerina, organizza per Martedì 24 Aprile 2018 alle ore 17,30 un Convegno dal titolo: “Fede… ma di quella!”.

La Celebrazione Eucaristica sarà presieduta da S. E. Mons. Rosario Gisona, vescovo di Piazza Armerina.

Relatore del Convegno sarà S. E. Mons. Francesco Zambito, Vescovo Emerito di Patti.

Durante il Convegno interverrà il Postulatore della Causa di Beatificazione Mons. Giacinto Tavilla.

Seguiranno alcune Testimonianze.

L’organizzazione dell’evento è curata dall’Assistente Spirituale Sac. Salvatore Zagarella e dai Responsabili del Comitato Ettore e Ada Paternicò.

Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Diocesi in lutto per la morte di don Luciano Iori

Il funerale di don Luciano Iori avrà luogo lunedì 23 aprile alle ore 15.30 nella chiesa parrocchiale di Casina; sarà il vescovo Massimo Camisasca a presiedere la liturgia eucaristica. Dopo le esequie, la salma di don Luciano sarà tumulata nel cimitero di Coviolo.

Nelle prime ore di domenica 22 aprile, all’ospedale di Castelnovo Monti, dove si trovava ricoverato da alcuni giorni, è spirato don Luciano Iori, collaboratore pastorale a Casina.

Nato a Montericco il 22 dicembre 1934, era stato ordinato presbitero il 28 giugno 1959, iniziando il suo ministero pastorale nella parrocchia di Coviolo (1959-1962). Nello stesso tempo insegnò nelle scuole medie del Seminario urbano (1959-1963), esperienza educativa che prosegui nell’anno di cappellanato con i 150 bimbi terremotati di Benevento che la città di Reggio aveva accolto per l’intero anno scolastico 1962-1963: un’esperienza che aveva rivelato in lui una tensione educativa tutta particolare verso la gioventù, soprattutto quella più bisognosa. Dopo quell’esperienza rivelatrice, infatti, don Luciano fu nominato vicedirettore (1963-1968) e quindi direttore dell’Istituto Artigianelli, incarico che deterrà fino al 1° ottobre 1996.

La stessa passione educativa don Luciano riversava contemporaneamente anche all‘Ente Nazionale Sordomuti del quale fu assistente ecclesiastico dal 1963 al 1984 e soprattutto alle associazioni scautistiche cattoliche (AGESCI) delle quali fu dapprima assistente per la zona di Reggio Emilia (1975-1981), poi vice-assistente regionale (1981-1984), quindi assistente nazionale per le branche Lupetti e Coccinelle (1984-1987), poi di nuovo assistente regionale (1987-1993).

Nel 1993, pur continuando a pieno ritmo la direzione degli Artigianelli, don Iori iniziava a curare le parrocchie di Rossena e di Cerredolo de’ Coppi.

Nel 1996 il vescovo Gibertini gli affidò la parrocchia di Casina, dove succedeva a don Nando Barozzi. Un’eredità non facile da raccogliere, che tuttavia don Luciano, pur con lo stile caratteristico della sua personalità e nella pienezza della maturità pastorale, ha saputo proseguire fino al 2012 quando le forze fisiche, giunto ai 78 anni, iniziavano a declinare.

A Casina e nelle parrocchie di Cerredolo de’ Coppi (retta fino al 2004), di Cortogno (amministrata dal 1997) e di Paullo (amministrata dal 2004) ha saputo essere il pastore d’anime che, a detta di tanti suoi parrocchiani, non si è mai risparmiato, suscitando o incrementando la collaborazione pastorale dei laici e lavorando soprattutto alla loro formazione cristiana: un campo nel quale ha continuato anche quando si è ritirato presso il santuario locale della Madonna del Carrobbio. Ben noto a tutti era il suo costante impegno di seguire personalmente i bimbi (poi giovani) da lui battezzati e seguiti nel loro cammino di iniziazione alla vita cristiana.

Nei giorni scorsi la malattia, che ha segnato con la sofferenza i suoi ultimi anni, ha avuto un’improvvisa acutizzazione. Don Luciano ha pregato con don Creardo Cabrioni, che gli ha amministrato l’unzione degli infermi, e a monsignor Giovanni Costi ha chiesto di far visita a don Raimondo Zanelli, pure lui ricoverato a poche camere di distanza.

laliberta.info

Domenica 29 Aprile 2018 V Pasqua (ANNO B) Foglietto Letture Salmo Liturgia Domenica

 V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

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Nei discorsi di addio del Vangelo secondo san Giovanni (capitoli 13-17) l’evangelista prende spunto dalle parole di Gesù per riflettere, con il carisma che gli è proprio, sulla vita dei credenti dal tempo dell’Ascensione al ritorno del Signore. Egli si riconosce talmente legato al Signore attraverso lo Spirito di Dio che parla ai suoi ascoltatori e ai suoi lettori usando l’“io” di Cristo. Per mezzo della sua voce, il Signore rivela a coloro che credono in lui qual è la loro situazione, ordinando loro di agire in modo giusto.
È durante la festa liturgica delle domeniche che vanno da Pasqua alla Pentecoste che la Chiesa propone alla lettura questi discorsi, per mostrare ai credenti cos’è infine importante per la loro vita. Attraverso un paragone, il Signore ci rivela oggi che tutti quelli che gli sono legati mediante la fede vivono in vera simbiosi. Come i tralci della vite, che sono generati e nutriti dalla vite stessa, noi cristiani siamo legati in modo vitale a Gesù Cristo nella comunità della Chiesa. Vi sono molte condizioni perché la forza vitale e la grazia di Cristo possano portare i loro frutti nella nostra vita: ogni tralcio deve essere liberato dai germogli superflui, deve essere sano e reagire in simbiosi fertile con la vite.
Per mezzo del battesimo, Cristo ci ha accolti nella sua comunità. E noi siamo stati liberati dai nostri peccati dalla parola sacramentale di Cristo. La grazia di Cristo non può agire in noi che nella misura in cui noi la lasciamo agire. La Provvidenza divina veglierà su di noi e si prenderà cura di noi se saremo pronti. Ma noi non daremo molti frutti se non restando attaccati alla vite per tutta la vita. Cioè: se viviamo coscienziosamente la nostra vita come membri della Chiesa di Cristo. Poiché, agli occhi di Dio, ha valore duraturo solo ciò che è compiuto in seno alla comunità, con Gesù Cristo e nel suo Spirito: “Senza di me non potete far nulla”. Chi l’ha riconosciuto, può pregare Dio di aiutarlo affinché la sua vita sia veramente fertile nella fede e nell’amore

Dieci cose che papa Francesco propone ai sacerdoti

Dieci cose che papa Francesco raccomanda

Quasi un’abitudine: Diego Fares, gesuita argentino del gruppo diCiviltà Cattolica, scrive un testo e il papa lo utilizza subito per farne dono. Era accaduto così con Il profumo del pastore (Àncora 2015), offerto ai membri del Sinodo e ora – l’occasione è stata la messa crismale dell’ultimo giovedì santo – è stata la volta di Dieci cose che papa Francesco propone ai sacerdoti» (Àncora 2018), dove l’autore traccia quasi un decalogo del pensiero di Bergoglio sui preti di oggi. E non c’è da stupirsi in quanto il gesuita sembra rappresentare esattamente la figura e il servizio di un religioso ideale all’interno di quella Chiesa in uscita da lui indicata: a Buenos Aires aveva lavorato per circa vent’anni presso El Hogar de San José, un centro di accoglienza per adulti in situazione di povertà e di disagio e nella Casa de la Bontad, un hospice per malati terminali.

L’autore prende lo spunto dalle “raccomandazioni” che il 2 giugno 2016, nell’Anno dedicato alla vita sacerdotale, papa Francesco aveva rivolto ai preti romani al termine del ritiro: non perdete la preghiera; non perdete il lasciarvi guardare dalla Madonna e il guardarla come Madre; non perdete lo zelo, cercate di fare; non perdete la vicinanza e la disponibilità alla gente; non perdete il senso dell’umorismo.

Forte di una conoscenza personale, che risale al 1975, quando Jorge Mario Bergoglio, allora a capo della provincia argentino-uruguayana, l’aveva accolto nella Compagnia di Gesù e di una vicinanza spirituale che non è mai venuta meno, Fares, con un’attenta ricerca tra discorsi e omelie, azzarda una sorta di allargamento per disegnare la figura di prete che ha in mente il pontefice.

E il risultato sembra aver centrato il bersaglio come si evince dalle brevi parole di ringraziamento che costituiscono un po’ la prefazione: «Sono desideri e suggerimenti, quelli che vengono spontanei dal cuore quando un vescovo parla con i suoi sacerdoti» riconosce papa Francesco. «Ho sempre creduto che sia questa la grande grazia dello Spirito alla Chiesa e ai suoi pastori: uscire con coraggio in strada, nelle periferie, dove tanti fratelli hanno bisogno di provare la gioia del Vangelo, che Dio è Padre misericordioso e che davvero non vuole che gli si perda nemmeno uno dei suoi piccolini».

Ecco le raccomandazioni aggiunte: «porgete la spalla, metteteci il cuore, aiutate le persone a discernere il bene, nella confessione aiutate a illuminare lo spazio della coscienza personale con l’amore infinito di Dio, parlate al cuore della gente».

«Quando porgiamo la spalla alle necessità dei nostri fratelli – spiega il gesuita –, allora sperimentiamo, con stupore e gratitudine, che un Altro porta in spalla noi, e Francesco è una di quelle persone che “ti porgono” sempre la spalla perché ci mettono il cuore». Che tradotto per un prete significa: «Porgere la spalla alla sua gente, alle famiglie, ai giovani, agli anziani, ai più poveri che la società scarta e abbandona ai bordi della strada».

Fares rivela che la “cardiognosia” sia la qualità attribuita a padre Bergoglio da un confratello in un giorno lontano (chi ha dimenticato la “Misericordina”, il “farmaco 50 grani per il cuore” distribuito al termine dell’Angelus del 17 novembre 2013?): anche «l’unzione è una questione di cuore» ha detto da pontefice, indicando che è dal cuore che il prete riconosce nel prossimo il volto di Cristo e parla al cuore di tutti.

«Quando il Signore ci sceglie e ci manda in missione, lo fa dall’intimo del suo cuore» conclude Fares e «niente di ciò che facciamo in quanto sacerdoti può lasciare il cuore. È il cuore del pastore che riconosce l’odore delle pecore e va alla ricerca della pecora smarrita, che si fa prossimo con quanti incontra nella «disponibilità e prontezza di servire tutti, sempre e nel modo migliore», a immagine di Maria che corre a servire la cugina Elisabetta o si prodiga per l’inatteso di Cana. È «la disponibilità del sacerdote fa della Chiesa la Casa dalle porte aperte, rifugio per i peccatori, focolare per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani, aula di catechesi per i piccoli della Prima Comunione…».

Solo se un prete agisce col cuore (un concetto che costituisce il perno di tutto il decalogo), sarà possibile accompagnare le persone al discernimento nella quotidiana ricerca verso scelte di bene: non sarà uno specialista, ma, convinto in cuor suo della necessità di una «morale della situazione», offrirà un contributo oltremodo prezioso.

E, ancora, saprà fare spazio nella confessione per illuminare la coscienza personale o avvicinare la gente, sempre e comunque con quella disponibilità che sgorga da un cuore che riconosce nel prossimo il volto di Cristo e per parlare al cuore di tutti (nelle omelie e negli incontri personali o con il linguaggio dei gesti). Senza mai perdere quello zelo che, in un giorno più o meno lontano, gli ha fatto pronunciare l’adesione al farsi come Cristo.

«Lo zelo apostolico, l’istinto evangelico di uscire di corsa a raccontare la Buona Notizia a tutti – perché siamo stati perdonati, guariti, alimentati, scelti – sta al centro delle raccomandazioni di Francesco», lasciando che il cuore si allarghi in quel «movimento che va dalla contemplazione all’azione».

In una lezione del 2008, Bergoglio declinava una triade: «cuore-occhi (tutto il mondo del desiderio umano); lingua-orecchie (tutto il mondo dell’ortodossia, la parola e il logos umano); mani-piedi (tutto l’universo dell’ortoprassi inteso come agire significativo per cui, tramite l’uomo, cerca di trasformare il mondo». Ed è significativo, conclude Fares, che Francesco passi spontaneamente dal cuore – lo zelo – alle mani e ai piedi: «cercate di fare…» (ed è ben nota la sua critica a quei teologi che si limitano a questioni di lana caprina…).

Le parole forse più significative che stimolano lo zelo apostolico il gesuita le rintraccia nell’elogio sepolcrale di sant’Ignazio: «Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est» (questo è divino: non essere costretto da ciò che è più grande ed essere contenuto in ciò ch’è più piccolo).

Senza dimenticare l’importanza delle qualità umane: lo «sguardo umile», l’«ascolto attento» erano le indicazioni di Aparecida, e ancora, per dirla con la preghiera di san Thomas Moore, il senso dell’umorismo, quell’atteggiamento che «ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta» diceva Bergoglio in un’intervista.

Imprescindibile un’intensa vita di preghiera («una preghiera piena di volti e discernimento») con una distinzione: «La preghiera che il papa raccomanda a noi sacerdoti non è la preghiera propria della vita contemplativa, ma quella della vita attiva. La spiritualità sacerdotale si alimenta del ministero, in cui stanno al primo posto l’annuncio del Vangelo e il dono dei sacramenti… È una preghiera che trova nella Parola – specialmente in quella che deve predicare – il suo principale alimento».

Nel capitolo finale, in sintesi, quasi l’identikit di un «buon sacerdote», «un pastore e non un funzionario, mercenario o imprenditore» o – come scriveva ai suoi preti in Argentina nel 1999 – «un pastore aperto e non chiuso»: l’unzione sacramentale conferisce uno «zelo da pescatori» nella prospettiva di «vicinanza» («le storie della nostra gente non sono un notiziario») e «disponibilità».

Consapevoli che «l’unzione riguarda l’Unzione: soltanto l’Unto del Padre può ungere coloro che Egli sceglie, e ci unge non perché profumiamo noi stessi, ma perché usciamo a ungere gli altri».

Diego Fares, Dieci cose che papa Francesco propone ai sacerdoti, Àncora, Milano 2018, pp. 96, € 12,00.

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