Il caffè riduce del 30% il rischio di diabete di tipo 2

Proprietà antiossidanti del caffè riducono rischio diabete 2 © Ansa

Il caffè riduce il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di circa il 30%. Lo afferma un nuovo documento di revisione in cui sono stati esaminati 30 studi scientifici su una popolazione di 1,2 milioni di persone.
Il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 diminuirebbe rispettivamente del 7% in caso di caffè con caffeina e del 6% in caso di caffè decaffeinato per tazza al giorno. L’analisi è stata pubblicata su Nutrition Reviews.
Gli autori dello studio hanno esaminato i meccanismi biochimici della bevanda: in particolare, grazie alle sue proprietà antiossidanti, l’assunzione a lungo termine della bevanda nera può ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2.
Numerose ricerche hanno inoltre dimostrato che il consumo regolare di caffè può ridurre i livelli dei marcatori pro-infiammatori e di conseguenza l’infiammazione cronica di basso grado, che è stata collegata a disturbi cardiovascolari e metabolici, come il diabete di tipo 2.
Nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso il caffè dalla lista dei possibili cancerogeni per gli esseri umani e numerose ricerche scientifiche affermano che il consumo moderato, 3-5 tazzine al giorno, è protettivo verso una serie di patologie come il tumore al fegato e all’endometrio. E riduce fino al 27% il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer.
Gli autori della review sottolineano comunque che sono necessari studi a lungo termine per confermare l’associazione protettiva e per approfondire i meccanismi della relazione. (ANSA).

La scuola è sacra, serve una nuova primavera

A Roma il Convegno nazionale dei responsabili diocesani e regionali della pastorale della scuola e dell’Irc. Da sinistra, Mariapia Veladiano, il cardinale Gualtiero Bassetti, Ernesto Diaco e don Daniele Saottini (Siciliani)

A Roma il Convegno nazionale dei responsabili diocesani e regionali della pastorale della scuola e dell’Irc. Da sinistra, Mariapia Veladiano, il cardinale Gualtiero Bassetti, Ernesto Diaco e don Daniele Saottini (Siciliani)

«La scuola mi è sacra come un ottavo sacramento». Parte con una citazione di don Lorenzo Milani, il cardinale Gualtiero Bassetti. E chiude con una frase di papa Francesco. «Non lasciamoci rubare l’amore per la scuola». Così, tra queste due coordinate, il presidente della Cei costruisce una mappa di speranza per quella che definisce «uno dei centri propulsori della nostra società». E auspica una «nuova primavera che sorga dal basso delle aule e non dall’alto di qualche stanza ministeriale». Una primavera della scuola incentrata su «libertà di pensiero, libertà educativa e valorizzazione dei talenti».

L’intervento dell’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve apre il Convegno nazionale organizzato insieme (come avviene ormai da qualche anno) dall’Ufficio Cei per l’educazione la scuola e l’università e dal Servizio per l’insegnamento della religione cattolica (Irc). Ed è anche l’occasione per sottolineare che «la scuola non può essere ridotta ad una visione aziendalistica, tutta basata sull’efficienza, sui risultati raggiunti e sugli studenti considerati alla stregua dei clienti, o una visione burocratica, in cui le procedure soffocano la libertà e la capacità delle singole persone». Bassetti denuncia apertamente «gli episodi di bullismo nei confronti sia degli studenti che dei docenti», i quali episodi, ricorda, «delineano un orizzonte cupo non solo della scuola ma della società occidentale» e fanno avanzare «uno stile di vita nichilista che toglie significato ad ogni realtà sociale». E perciò ammonisce: «Una società che non riconosce una elevata dignità sociale all’educatore, è una società estremamente autolesionista. In definitiva una società che non ha futuro».

Occorre dunque cambiare passo. La nuova primavera significa «tornare a ripensare la scuola», dice il presidente della Cei, «non limitarsi a fornire solo “istruzioni per l’uso”», ma «interrogarsi sul significato e sulle finalità più profonde» della scuola stessa. «Dobbiamo allora non farci dettare l’agenda dal piccolo cabotaggio degli interventi occasionali, degli interessi corporativi. La scuola vale in quanto scuola – sottolinea Bassetti – in quanto luogo educativo per eccellenza, in quanto bene comune per tutta la società».

Il cardinale indirizza perciò un triplice messaggio di speranza. Agli alunni affinché amino la scuola. Ai genitori, affinché ne abbiano fiducia, al di là della «cultura del sospetto» che si è insinuata in molti, perché «se è vero che ci sono degli episodi molto gravi che vanno denunciati », è anche vero che «non bisogna generalizzare». E infine agli insegnanti. Il vostro, dice loro il porporato, «pur indubbiamente faticoso, rimane uno dei lavori più belli del mondo». E nel mutare dei tempi «il rapporto tra allievo e maestro non può essere eliminato: è assolutamente centrale».

Una parola, infine, il cardinale Bassetti la rivolge ai docenti di religione, che «alle difficoltà comuni della professione insegnante aggiungono quelle di una disciplina “diversa”, ritenuta debole, spesso oggetto di polemiche pretestuose o strumentali». «A loro – aggiunge il presidente della Cei – posso dire di continuare senza paura e di non sentirsi docenti marginali, ma al contrario orgogliosi per il prezioso servizio che svolgono alla società e alla scuola».

Alle parole del porporato fanno eco, subito dopo, quelle dalla dirigente scolastica e scrittrice Mariapia Veladiano che sottolinea come la scuola sia «il posto giusto per smontare la paura crescente nella società italiana ». Una paura che non ha giustificazioni nella realtà, come attestano le statistiche. «Fortunatamente – conclude – gli insegnanti sono accreditati ancora di un buon livello di fiducia. Ed è un dato dal quale ripartire». Come rileva il responsabile del Servizio nazionale per l’Irc, don Daniele Saottini, tutto passa attraverso la capacità dei docenti di essere «guide sagge e generose» e di «avere un cuore libero». Mentre Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio scuola, riferendosi al tema del Convegno (“Non abbiate paura di sognare cose grandi. La Chiesa per la scuola, guardando al Sinodo 2018”) nota: «Soprattutto nel mondo della scuola, si ha a che fare con sogni che sono attese, aspirazioni, fatica, solitudini, ma anche immagini della speranza». Una traccia per il prosieguo dei lavori (ieri c’è stata anche la testimonianza di Maria Rita Pitoni, dirigente della scuola di Amatrice) che si concluderanno domani, presente anche il presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica e vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Mariano Crociata.

avvenire

Governo, Casellati al Quirinale per il mandato

Governo, Casellati al Quirinale per il mandato

Il presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati è giunta al Quirinale per incontrare il capo dello Stato Sergio Mattarella.

Mattarella ha scelto la via del mandato esplorativo, e di una figura istituzionale, per tentare di uscire dallo stallo della crisi di governo. La presidente del Senato Casellati entrerà nello studio alla Vetrata, riceverà l’incarico per una missione molto complicata: verificare se c’è qualche chance per mettere d’accordo i partiti, in particolare se ci sono margini per una maggioranza centrodestra-M5S, divisi dalla guerra dei veti incrociati.

Si tratta della scelta più indolore, lineare, in un quadro che offriva poche alternative. Bruciato dai veti incrociati il pre-incarico politico, in presenza di una sostanziale indisponibilità dei diretti interessati – che o chiedono altro tempo, come nel caso di Luigi Di Maio, o aprono a un terzo uomo, come fa Matteo Salvini – , non restava altro che investire la seconda o la terza carica dell’onere di provare a dipanare la matassa. E, andando per esclusione, la scelta del presidente del Senato è risultata preferibile rispetto a quello della Camera Roberto Fico. Non solo in omaggio a una prassi prevalente che vuole investita in questi casi la seconda carica, ma anche per essere Casellati espressione della coalizione che ha ottenuto maggiori consensi.

Una personalità, dopo tutto, che ha ottenuto il voto anche del M5s, che Mattarella intende in tutti i modi tenere dentro alla trattativa, quale primo partito, destinatario del consenso di un terzo degli elettori. A sera gli ultimi dubbi, da segnali univoci, sembravano fugati. Cadeva anche l’ipotesi ‘c’, un terzo nome per un incarico tecnicopolitico: si era fatto insistentemente il nome di Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini, ed esperto di conti pubblici e di procedure parlamentari Nome che sarebbe andato bene anche agli alleati, e che – negli auspici – avrebbe potuto innescare, specularmente, qualche ammorbidimento negli altri partiti.

Ma i toni del dibattito politico, di nuovo infiammati dalla doppia campagna elettorale in Molise e Friuli-Venezia Giulia, hanno portato ad accantonare l’ipotesi, non bruciando nomi che potrebbero venir buoni in un secondo tempo, per contribuire a sbrogliare la complicatissima trattativa. «Aspettiamo la saggezza di

Mattarella – ripeteva Salvini in serata – anche perché ho già detto che vado a vedere solo se ho i numeri». Ora si tratterà di verificare se i giorni in più che i duellanti chiedono, il Colle sarà disposto a concederli.

Lo scopriremo solo vivendo, visto che i segnali arrivati sin qui dicono di un margine molto ristretto di giorni che

Mattarella avrebbe invece indicato, passati i quali potrebbe fare un suo nome. Per un incarico, o un pre-incarico, che potrebbe essere ‘politico’ o ‘istituzionale’, in base all’evolversi delle nuove consultazioni che partiranno da domani, a iniziativa dell’esploratore del Colle.

Sul versante politico una novità di un certo rilievo è arrivata dal Pd, che con un post su Facebook del reggente Maurizio Martina ha provato a rientrare in gioco, indicando tre priorità. La povertà, con l’«allargamento del reddito di inclusione». Le famiglie, introducendo l’«assegno universale» per i nuclei con figli. E il lavoro, con la previsione del «salario minimo legale». Martina la spiega così: «In Parlamento e nel Paese facciamo vivere le nostre battaglie e il nostro impegno quotidiano per un’Italia migliore». La cosa suscitava immediato entusiasmo nel M5s. Un’«iniziativa utile ai fini del lavoro che sta svolgendo il comitato scientifico per l’analisi dei programmi presieduto dal professor Giacinto Della Cananea», aprivano i capigruppo Giulia Grillo e Danilo Toninelli. Ma in serata è intervenuto ancora Martina, a smorzare gli entusiasmi: le tre proposte Pd «sono per gli italiani, non per questo o quel partito.

Noi andiamo oltre i tatticismi degli altri – ha avvertito – . Queste proposte sono la nostra alternativa all’orto di Salvini (che di mattina aveva replicato a 5s scrivendo «c’è chi chiude il forno e chi cura l’orto», ndr) e al forno di Di Maio», spiega il reggente.

E se Lega e M5s chiedono altro tempo, e danno il via libera al ‘raffreddamento’ delle tensioni che potrebbe portare l’incarico esplorativo, il Pd si ‘candida’ già per il dopo. Nel caso che i ‘vincitori’ ammainino bandiera e dal Quirinale parta un appello a tutti per sostenere un nome al di sopra delle parti.

avvenire

Verso il 730. Sgravi per i familiari: 3 milioni di italiani li perdono

(Boato)

(Boato)

Il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani, va dritto al cuore del problema: è appena partita la stagione della dichiarazione dei redditi precompilata che vede nuove detrazioni fiscali affiancarsi a quelle già esistenti, ma rimane, immutato, «il nodo non affrontato » degli incapienti. «È logico – afferma Miani – che le detrazioni concesse per i redditi di lavoro abbiano, al massimo, il compito di azzerare l’imposta dovuta. Ma il vero tema è quello dei carichi di famiglia. È qui che invitiamo tutti a una riflessione: non ha senso e non è ragionevole che non venga utilizzato uno sgravio, uno dei pochi, concesso dallo Stato per chi si sobbarca l’onere di metter su famiglia».

I dati, brutali, parlano di agevolazioni Irpef che vengono in qualche modo ‘negate’ a 3,12 milioni di contribuenti italiani incapienti, come vengono definiti coloro che hanno un reddito troppo basso e per questo non riescono a usufruire, in tutto o in parte, delle detrazioni per i familiari a carico. In soldoni, sono ben 7,25 miliardi di euro che, pur spettanti, non vengono fruiti dalle famiglie e restano nelle casse dello Stato.

A riportare la luce su questo fenomeno eternamente trascurato dalla politica nazionale, che non è mai riuscita a darvi una soluzione duratura ed efficace, sono questa volta i commercialisti, attraverso gli esiti di un’elaborazione della loro Fondazione nazionale, sulla base dei dati forniti dal Dipartimento delle Finanze del Mef (ministero dell’Economia) sulle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2017 e nel 2016.

Il dato complessivo attesta che gli incapienti in Italia sono oggi 7 milioni e 730mila, sul totale di 40,9 milioni di contribuenti censiti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone (il 44,3% dei quali, stando a un precedente studio dei commercialisti, già oggi versa un’Irpef inferiore al 15% – il livello della flat tax leghista – sul reddito dichiarato). Un numero, il loro, che si ricava semplicemente dalla differenza fra quanti si vedono calcolare un’Irpef ‘lorda’ (prima, quindi, di applicarvi le detrazioni) e quanti si ritrovano invece a pagare un’Irpef netta. In particolare, sul totale di 3,12 milioni che perdono questo beneficio economico risaltano gli oltre 750mila contribuenti che vantano un singolare, poco invidiabile primato: per incapienza dell’imposta, non sfruttano nemmeno un euro di detrazione dall’Irpef non solo per i numerosi sconti riconosciuti per oneri e spese di vario genere, ma anche per quelli destinati a chi ha familiari a carico. Nel contempo, 2 milioni e 360mila contribuenti, sempre per incapienza dell’imposta, non ottengono neppure un euro di sconto dall’Irpef per le detrazioni su spese e oneri, ma riescono almeno «a sfruttare, sia pure solo in parte, quelle previste a favore dei familiari ». I restanti 4,61 milioni d’italiani, invece, godono per intero degli sconti sui ‘carichi familiari’, oltre a quelli collegati alla tipologia del reddito da lavoro dipendente (o da pensione o lavoro autonomo), limitando così il loro essere incapienti soltanto a una parte minima delle detrazioni loro spettanti.

In ogni caso, secondo il presidente Miani «sarebbe opportuno concentrare l’aiuto sul ‘fattore famiglia’ sul versante dei trasferimenti, come per il meccanismo degli assegni al nucleo familiare, piuttosto che su quello delle detrazioni d’imposta. Si eviterebbe così che questi aiuti si perdano e si farebbe in modo di garantire comunque un loro utilizzo a vantaggio delle famiglie italiane».

Si tratta di una mole che ‘impatta’ anche per il suo valore economico. Il totale delle detrazioni che spetterebbero agli italiani sull’imposta lorda è di 67,5 miliardi (al loro interno ci sono i 12,62 miliardi riconosciuti per i familiari). Di questi, però, 7,25 miliardi alla fine non sono utilizzati dalle famiglie italiane. In tempi di Rei e di lotta alla povertà, un ‘gruzzolo’ niente male.

avvenire