Gesù non si scandalizza davanti ai dubbi di Tommaso. Commento al Vangelo Domenica 8 Aprile 2018

II Domenica di Pasqua
Anno B

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». […]

Otto giorni dopo venne Gesù, a porte chiuse. Mi conforta pensare che, se anche trova chiuso, Lui non se ne va, ma continua il suo assedio dolce e implacabile. Otto giorni dopo è ancora lì: l’abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare, il tradito ritorna da quelli che lo hanno consegnato ai nemici. Venne e stette in mezzo a loro. Le sue apparizioni non hanno mai il clamore di una imposizione. Non si preoccupa di sé, il Risorto, ma del pianto di Maddalena, delle donne che vanno, anzi corrono per profumare il suo corpo straziato, delle paure degli apostoli, delle difficoltà di Tommaso, delle reti vuote dei suoi amici quando tornano sul lago dove tutto ha avuto inizio. Ha ancora e sempre quel grembiule ai fianchi! Non viene a chiedere, viene a portare aiuto. Per questo è inconfondibile.
Pace a voi. Non si tratta di un semplice augurio, ma di una affermazione: c’è pace per voi, è pace dentro di voi, pace crescente. Shalom, ha detto, ed è parola biblica che contiene molto di più della semplice fine delle guerre o delle violenze, porta la forza dei retti di cuore dentro le persecuzioni, la serenità dei giusti dentro e contro le ingiustizie, una vita appassionata dentro vite spente, pienezza e fioritura.
Soffiò e disse: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature, chiuse e impaurite, scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli abissi, il vento sottile dell’Oreb su Elia profeta, quello che scuoterà le porte chiuse del cenacolo: ecco io vi mando! E li manda così come sono, fragili e lenti, ma con in più la sua forza, il suo Spirito, il vento forte della vita che soffierà su di loro, e gonfierà le vele, e li riempirà di Dio.
Tommaso, metti qua il dito nel foro dei chiodi, stendi la mano, tocca! Gesù risorto non porta altro che le piaghe del crocifisso, porta l’oro delle ferite che ci hanno guarito. Nelle ferite c’è l’oro dell’amore. Le ferite sono sacre, c’è Dio nelle ferite, come una goccia d’oro. Gesù non si scandalizza dei dubbi di Tommaso, non gli rimprovera la fatica di credere, ma si avvicina ancora, e tende quelle mani dove l’amore ha scritto il suo racconto d’oro. A Tommaso basta questo gesto. Chi ti tende la mano, chi non ti giudica ma ti incoraggia, e ti offre una mano dove riposare e riprendere il fiato del coraggio, è Gesù. Non ti puoi sbagliare!
Beati quelli che non hanno visto eppure credono! una beatitudine che sento mia, che è facile, è per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Per noi, che di otto giorni in otto giorni, continuiamo a radunarci nel suo nome, a distanza di millenni; beati noi che «lo amiamo pur senza averlo visto» (1Pt 1,8).
(Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31)

Minori soli. Disturbi psichici crescenti e non curati nella metà dei ragazzi

Disturbi psichici crescenti e non curati nella metà dei ragazzi

È un grido d’allarme che nessuno ha raccolto quello lanciato nei giorni dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nel dossier ‘La salute mentale degli adolescenti’. Uno studio che per la prima volta, in modo circostanziato, tratteggia un problema che si vorrebbe dimenticare, tanto è scomodo, imbarazzante, complesso. La società che abbiamo costruito è così difficile da vivere e da interpretare da causare ai nostri ragazzi sofferenze psichiche crescenti. Vale per gli italiani vittime di disgregazioni familiari, bullismo, disabilità, dipendenze varie, sindromi da videogiochi. Ma sempre più spesso anche per gli stranieri, portatori di traumi mentali di vario tipo, come riferisce in modo circostanziato il procuratore dei minorenni di Milano, Ciro Cascone. Ma, quello che è peggio, questa emergenza ci trova del tutto impreparati. La Sinpia (Società italiana neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) spiega nel dossier che le richieste aumentano del 7% l’anno ma che solo la metà di chi avrebbe bisogno di assistenza, riesce ad accedere ai servizi territoriali.Vale per le regioni del Sud, ma anche per una città come Milano dove non esiste un reparto ospedaliero dedicato in modo specifico alla neuropsichiatria dell’adolescenza. Si rimedia con i reparti infantili, oppure con quelli per adulti. Ma le difficoltà sono facilmente immaginabili. E poi ci sono le sofferenze legate alle adozioni a rischio. Un terzo dei ragazzi in arrivo da adozioni internazionali presenta disturbi psichici. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla necessità di un accompagnamento specifico e costante – che non esiste – per le famiglie adottive.

Bambini desiderati, bambini abbandonati, bambini dimenticati negli istituti, bambini allontanati da casa. Emergenze autentiche? Solo in parte. La procura dei minorenni di Milano – Lombardia occidentale, tranne quindi Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova – che ha sulle spalle un carico di sofferenze pari circa al 10 per cento del totale nazionale, è un osservatorio efficace per capire che nel nostro Paese, quando si parla di minori, ci sono emergenze nelle emergenze. E che si stanno sottovalutando. Sono le sofferenze mentali dei giovanissimi, specialmente immigrati. Dato in aumento, sicuramente. E, all’opposto, interventi che incidono sul problema in modo del tutto marginale.

Ciro Cascone, procuratore del Tribunale dei minorenni per Milano allarga le braccia e rivela che in regione le strutture attrezzate per occuparsi di questi problemi sono molte meno di quante servirebbero. Piemonte ed Emilia Romagna, per esempio, stanno meglio, ma forse solo perché i casi di cui devono occuparsi sono meno della metà di quelli lombardi. Eppure, non si tratta di un tema marginale. Trascurare la sofferenza mentale di un adolescente vuol dire ritrovarsi tra qualche anno con un adulto problematico che poi, nel caso di un immigrato, finirà per concentrare in sé una serie di situazioni a rischio di cui comunque dovrà farsi carico la società. Ma quanti sono i ragazzi con questi disturbi? Il sorriso del procuratore, da due anni su questa poltrona tanto importante quanto scomoda, si piega nuovamente in una smorfia amara. Tanti sicuramente, troppi, considerando, per quello che riguarda i ragazzi stranieri, guerre, violenze, viaggi al limite della sopportazione, paura, privazioni. E poi situazioni in cui non di rado i ragazzi hanno fatto esperienze di soprusi inenarrabili, oppure hanno visto genitori, fratelli, parenti trucidati senza pietà. Sono fatti che finiscono per determinare contraccolpi psicologici pesantissimi, difficili da trattare e da risolvere. Sui numeri però il procuratore non azzarda stime. Si può procedere solo in modo deduttivo. E si tratta di un’altra grave carenza del nostro sistema di aiuto e di protezione dei minori che non ha ancora messo a punto un sistema efficace per monitorare in tempo reale non solo il flusso ‘ordinario’ dei minori stranieri, ma anche quello di bambini e ragazzi italiani fuori famiglia. O, meglio, la rendicontazione c’è, ma segue tre percorsi diversi. I numeri delle procure che a loro volta si servono dei dati delle comunità d’accoglienza. I dati dell’Istituto degli Innocenti di Firenze che tiene invece fa riferimento alle rilevazioni del ministero dell’Economia. E le sintesi del Garante dell’infanzia che cerca di offrire una mediazione sapiente di tutto. Ma, se si va a guardare nello specifico, cominciano i problemi.

Perché, lo racconta ancora il procuratore di Milano, le oltre 500 comunità d’accoglienza per minori esistenti nel distretto di Milano – con una decina di tipologie diverse – non sempre sono tempestive nell’aggiornamento, spesso non fanno distinzione tra minori italiani e stranieri, in altre occasioni non indicano le patologie da cui sono affetti, tanto meno se si tratta di sofferenze psicologiche. Anche perché non pochi disturbi sono difficili da accertare e sarebbe necessario l’intervento sistematico di un neuropsichiatra. Ma dove trovare tutti gli specialisti che servirebbero? Situazione ancora più a macchia di leopardo per i Comuni, a cui toccherebbe invece monitorare i minori in affidamento familiare. Le grandi città dispongono quasi sempre di strutture efficienti. I piccoli e medi Comuni molto spesso no, con il risultato che anche qui siamo di fronte a stime più o meno attendibili. Quando parliamo quindi di circa 30mila minori in tutta Italia che vivono fuori dalle famiglie di origine – 17-18 mila nelle comunità, 14mila in affido – tracciamo un quadro solo verosimile, non preciso. Certo invece che ormai la maggior parte di questi minori – circa il 50% – siano di origine straniera. E di questi almeno la metà presenta situazioni di sofferenza psicologica, cioè circa 5-7 mila ragazzi.

Numero enorme – dove a tanti ragazzi immigrati si mescola anche una percentuale crescente di adolescenti italiani – che ci lascia disarmati, e che rappresenta un nuovo motivo di preoccupazione perché le nostre capacità di intervento, di fronte a questi diversi e profondi bisogni, appaiono ancora più vacillanti. Ma è indubitabile che proprio qui andrebbe concentrata l’attenzione – quasi sempre aleatoria – della politica. Pensare che la magistratura minorile possa farsi carico di una somma di problemi che si radicano nella disattenzione del nostro sistema per le politiche sociali, e familiari in particolare, è un’illusione pari soltanto a quella che vorrebbe confinare nel privato sofferenze e disgregazioni domestiche. È vero purtroppo il contrario. Le impennate statistiche dei divorzi e delle separazioni determinano emergenze anche per quanto riguarda il numero de minori che in qualche modo finirà sotto la lente della procura minorile. Se si pensa che soltanto nel vastissimo distretto di Milano ci sono ogni anno 6mila casi esaminati dai magistrati – oltre a circa 3mila situazioni di reato – e si moltiplica tutto per dieci perché, come detto, questo è il rapporto statistico Lombardia/Italia, si vede come siamo di fronte a un esercito di sofferenza e di bisogno. Oltre centomila minori sfuggiti in vario modo all’amore, all’accompagnamento e alla tutela degli adulti. Tutte le segnalazioni vengono esaminati e poco meno della metà vengono poi indirizzate al Tribunale dei minorenni.

Nel 2017 i ricorsi nel distretto di Milano sono stati circa 2.800, di cui un migliaio ha riguardato ragazzi stranieri. Ecco l’esito più drammatico del vuoto di politiche familiari di cui troppo spesso ci si dimentica. I mancati investimenti di sostegno ai compiti della famiglia si traducono in costi sempre più ingenti che la comunità è chiamata comunque a coprire. Se spesso non riesce a farlo è perché non dispone di strutture e risorse sufficienti. Lasciare per esempio quasi ventimila minori in comunità e istituti non è una scelta, ma una necessità. Se ci fossero tante famiglie affidatarie la maggior parte dei questi ragazzi potrebbe scoprire la gioia di una nuova casa. Ma, senza risorse per il welfare, non si riesce neppure a far decollare l’affido. Sarebbe necessario investire in campagne informative, disporre di specialisti per accompagnare le famiglie a scoprire questa buona prassi solidale, creare reti familiari in modo tale che ogni nucleo affidatario sia sostenuta da un altro. Sarebbe una terapia vincente anche per prendersi cura di un minore straniero. In caso contrario anche i nuclei familiari più volenterosi e attrezzati vanno incontro al fallimento. E di nuovo il problema finisce sulla scrivania della procura per i minori. Ma forse c’è qualcosa che non funziona in una società che si vede costretta ad affidare ai magistrati i tanti, troppi esiti devianti delle sue generazioni future.

avvenire

A 5 anni dona monete alla ricerca sul cancro. «Per la mamma»

L'immagine postata dall'oncologo sul suo profilo Facebook

L’immagine postata dall’oncologo sul suo profilo Facebook

È un “grazie” speciale quello che ha ricevuto un’oncologo che lavora all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano. Un bimbo di cinque anni, arrivato dalla Sardegna con i genitori, ha ringraziato il vicedirettore del dipartimento di senologia dello Ieo, Pietro Caldarella, per le cure messe in campo per la madre con un bigliettino accompagnato da alcune monetine.

«Questi sono i miei risparmi per la ricerca contro il cancro», ha detto il piccolo al medico, che si è commosso e ha postato la foto del biglietto su Facebook. «Stamattina il figlio di una mia paziente, di 5 anni, mi ha dato questo biglietto per ringraziarmi delle cure alla sua mamma e dentro c’erano i suoi risparmi che ha voluto donarmi per la ricerca sul cancro… mi veniva da piangere!!!!», ha scritto Caldarella sul social network.

«Il marito mi ha portato in dono due bottiglie di vino sardo e poi mi detto che c’era il figlio che voleva darmi una cosa -ha raccontato il medico al quotidiano Il Mattino – Allora il piccolo timidamente si è avvicinato. Tra le mani, stringeva una piccola busta di carta bianca. Gli ho fatto i complimenti e gli ho detto che è davvero un ometto. Poi l’ho tranquillizzato confermandogli che la sua mamma ora sta bene e non deve più preoccuparsi perché starà sempre con lui».

avvenire

Ucraina. Il nunzio apostolico: conflitto dimenticato da quattro anni

Profughi ucraini (Ansa)

Profughi ucraini (Ansa)

«La tragedia più grande di questo conflitto è la dimenticanza generale: evidentemente ricordare dà fastidio per tante ragioni e quindi non se ne parla. Ed è questo a uccidere, la sensazione di essere abbandonati». È la denuncia lanciata da monsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, intervistato dal Sir, a quattro anni dall’inizio del conflitto russo-ucraino, che finora ha causato diecimila vittime e due milioni di sfollati.

«Soltanto uno sguardo mondiale può essere oggi la salvezza per tutti – ha affermato monsignor Claudio Gugerotti, sottolineando l’attenzione di papa Francesco sul tema –. Alle porte dell’Europa c’è un conflitto ma la Ue è troppo presa dai problemi nazionali e dalla difficoltà del suo stare insieme per accorgersene».

«Se non si riscopre – ha affermato il nunzio – la solidarietà internazionale come mezzo per ristabilire un minimo di diritto comune, per garantire un minimo di giustizia ed equità, non solo non salveremo noi stessi ma lasceremo perire altre persone, pentendoci in futuro di non aver visto». «Dal Papa ho ricevuto questa raccomandazione molto forte di andare spesso a incontrare le persone che sono rimaste, cercare di consolarle, pregare con loro e portare la sua benedizione».

avvenire

Morbillo. Un altro morto a Catania. È un bimbo di 10 mesi

Un altro morto a Catania. È un bimbo di 10 mesi

Un bambino di 10 mesi è morto stamattina nell’ospedale Garibaldi di Catania per complicanze legate al morbillo. Era stato ricoverato ad Acireale trasferito da due giorni nel nosocomio del capoluogo etneo per l’aggravarsi delle condizioni respiratorie e cardiocircolatorie.

Il bambino è deceduto alle 10.15 nel reparto di Rianimazione: già sofferente per un difetto cardiaco, era stato ricoverato dal 3 al 16 marzo scorsi nel reparto dia pediatria dell’ospedale Garibaldi-Nesima per una broncopolmonite e bronchiolite in presenza di un virus respiratorio sinciziale e da dove era stato dimesso migliorato con programmato di un controllo a distanza di 10 giorni.

Il bimbo «era troppo piccolo per il vaccino – hanno sottolineano fonti ospedaliere – quindi è stato contagiato da chi non era vaccinato».

>> Vaccini, per chi e perché sono obbligatori

A Catania appena settimana scorsa era deceduta un’altra giovane donna, mamma di una bimba di 2 anni. Aveva 25 anni. Dall’inizio dell’anno è la terza vittima in città, la quarta da settembre scorso: il 22 gennaio era toccato a un’altra donna, 27enne, mentre un quarto caso che riguardava un uomo di 27 anni con una polmonite emorragica– si era risolto positivamente sempre all’ospedale Garibaldi, centro di riferimento per questo tipo di malattia.

Solo pochi giorni fa l’Azienda ospedaliera di Catania aveva lanciato l’allarme: la copertura vaccinale è significativamente cresciuta, ma non abbastanza. «Così a Catania si assiste a una epidemia in atto» per Mario Cuccia, responsabile del servizio epidemiologico che ha trattato il caso di Maria Concetta Messina, la venticinquenne morta il 26 marzo. Sono circa 420 i casi di morbillo dal maggio 2017, un dato, avverte, da moltiplicare per sei perchè devono essere considerati quelli curati a casa dai medici di famiglia. In provincia le vaccinazioni tra i bimbi sono all’85%, dieci punti sotto rispetto alla “quota di sicurezza” per essere certi di tenere sotto controllo la malattia. La maggior parte dei casi trattati nelle strutture sanitarie etnee riguardano pazienti non vaccinati, tranne sei o sette casi sottoposti a una sola dose di vaccino.

Cuccia ha già riunito gli esperti del Policlinico di Catania ai quali è stato suggerito una campagna di informazione per le gestanti o per coloro che intendono procreare e che non sono state vaccinate. Almeno dieci le donne incinte ricoverate per morbillo, un bimbo è nato morto e ci sono stati diversi aborti causati dalla malattia.

Sono oltre 5mila i casi di morbillo registrati nel nostro Paese dall’inizio dell’epidemia, nel 2017.

avvenire

Concluso il Congresso “Medellín: 50 anni dopo”

Processione della Via Crucis a Medellin

A Bogotà 25 teologi tra vescovi, cardinali e professori, si sono incontrati per celebrare la Conferenza del Celam che 50 anni fa ha segnato il cammino della Chiesa in America Latina. La riflessione su “una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale”

“Vogliamo riflettere sulla pastoralità come nota intrinseca del lavoro ecclesiale e teologico, e non come una semplice applicazione, pastorale o pratica, della teologia e della vita della Chiesa” così “cerchiamo di approfondire il dialogo tra le generazioni che hanno fondato la teologia nell’Ispano-America, con altre intermedie ed emergenti, al fine di contribuire a una migliore comprensione del processo di riforme guidato da Papa Francesco”: lo affermano in una nota ricevuta dall’Agenzia Fides, i Coordinatori del Progetto Ispanoamericano di teologia nell’ambito della celebrazione per il 50° anniversario della Conferenza Episcopale Latinoamericana (Celam) svoltasi a Medellín. Conferenza che ha segnato la vita e ha indicato la strada per la quale la Chiesa del continente ha camminato fino ad oggi.

Opzione per i poveri. Chiesa sia missionaria

Circa 25 teologi tra Vescovi, Cardinali e professori, si sono incontrati dal 3 al 5 aprile alla Pontificia Universidad Javeriana di Bogotá, in Colombia, insieme all’intera comunità universitaria, per celebrare il Congresso Internazionale “Medellín: 50 anni dopo”, in cui hanno riflettuto, tra gli altri temi, sulla sua “attuale validità”, sulla “opzione per i poveri e la povertà” e sul “volto di una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale”. L’apertura del Congresso, organizzata dalla Facoltà di teologia della Javeriana e dalla Scuola di Teologia e Ministero del Boston College, è stata a cura del Card. Baltazar E. Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida, mentre Mons. Raúl Biord Castillo, Vescovo di La Guaira e Vicepresidente della Conferenza episcopale venezuelana, ha presentato il tema “Evangelizzazione e promozione umana a Medellin”.

Rinnovamento ecclesiale

Già nel febbraio 2017 la Scuola di Teologia e Ministero aveva tenuto il primo Incontro Ispanoamericano di Teologia in cui più di 50 teologi dell’America Latina, della Spagna e latini del Nord America avevano iniziato un percorso di dialogo teologico-pastorale nei contesti iberoamericani. “In questa occasione, abbiamo voluto svolgere due nuove attività. La prima è una nuova riunione di lavoro del Gruppo Ispanoamericano di Teologia, e la seconda, aperta a tutti, è stata la realizzazione del Congresso Internazionale” spiegano i Coordinatori, commentando che la teologia latinoamericana ha svolto un ruolo importante nell’attuale processo di rinnovamento ecclesiale che porta avanti Papa Francesco.

Il ricordo dell’incontro del 1968

La Seconda Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano celebrata a Medellin, in Colombia, nel 1968, ha rappresentato una tappa fondamentale per la storia della Chiesa dell’America latina e dei Caraibi. (Agenzia Fides)

Lunedì presentazione dell’Esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate”

Greg Burke, direttore della Sala Stampa della Santa Sede

Lunedì prossimo, 9 aprile alle ore 12.15, nella Sala Stampa della Santa Sede si terrà la Conferenza Stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica di Papa Francesco “Gaudete et Exsultate”, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. Interverranno mons. Angelo De Donatis, vicario generale del Papa per la Diocesi di Roma; Gianni Valente, giornalista e Paola Bignardi, dell’Azione Cattolica.

Iraq: nel ricordo dei martiri caldei l’ispirazione per un futuro di unità e di pace

Mons. Paul Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul, ucciso nel 2008

Ricorre il 6 aprile in Iraq la “Giornata dei martiri caldei”, celebrata ogni anno il venerdì successivo alla Pasqua. Il sangue di tutti coloro che sono stati uccisi in odio alla fede, come mons. Paul Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul, o padre Ragheed Ganni e i loro compagni, “sono una fonte di ispirazione”, scrive per l’occasione il patriarca caldeo Louis Raphael Sako, in un messaggio ai fedeli. Il loro martirio – continua – dona “valori spirituali che riempiono la nostra vita di speranza, dignità umana, tolleranza e pace”.

Ricordare i martiri e riprendere fiducia

La Giornata, infatti, non è solo fare memoria, ma anche guardare al futuro con nuovo impegno per la ricostruzione dell’Iraq a partire – sottolinea mons. Sako –  dai villaggi e dalle città distrutte a causa del conflitto “per permettere agli sfollati interni di tornare nelle loro case”. Ciò che preme al patriarca è che si trovi il modo di “garantire maggiore conforto, stabilità e benessere alle persone” e si possa “riuscire a preservare in numero i cristiani che sono rimasti in Iraq”.

Importante in Iraq la presenza dei cristiani

Una speranza pienamente condivisa, ai nostri microfoni, da mons. Basel Yaldo, vescovo ausiliare di Baghdad: “Sì, questo è l’obiettivo per il futuro, noi vogliamo incoraggiare i nostri fedeli a rimanere nel nostro Paese perché questo Paese è un patrimonio, è un Paese ricco… Per questo vogliamo essere testimoni di Gesù Cristo qui di fronte agli altri. La presenza dei cristiani in Iraq oggi è molto importante, ricordiamo che questa terra di Mesopotamia è menzionata nella Sacra Bibbia e ci sono tre città antiche che si trovano in questo Paese: Ninive nel nord dell’Iraq, l’impero assiro, poi Ur dei Caldei nel sud dell’Iraq e Babilonia, molto vicino a Baghdad.

La forza dei cristiani è l’unità

Un altro auspicio e un incoraggiamento espresso dal patriarca Sako è la testimonianza di una unità  sempre più stretta tra tutti i cristiani e relazioni pacifiche con i musulmani “per disperdere l’oscurità da questa terra”. Scrive nel messaggio: “Al momento vi è maggiore consapevolezza fra i vertici della Chiesa in Medio oriente che la forza deriva dalla nostra unità; la stessa cosa vale per i cristiani in generale di questa regione”.
“E’ così – conferma mons. Yaldo – il nostro patriarca ha sempre aperto all’unità verso tutti i cristiani in Iraq e dice sempre che vogliamo celebrare una sola Pasqua, nonostante qui ci siano diversi cristiani: ortodossi, protestanti, cattolici. Noi caldei siamo sempre aperti, però dipende anche da loro”.

La Chiesa caldea nell’Iraq di oggi

Ma come vive oggi la Chiesa in Iraq? “Adesso va meglio a Baghdad – risponde il vescovo ausiliare – perché noi, come cristiani, siamo liberi di svolgere tutte le nostre attività nei nostri luoghi di culto. Godiamo anche della libertà religiosa. Posso dire che adesso va meglio di 10 anni fa, dopo la caduta del regime nel 2003, perché possiamo anche portare la nostra voce al governo. Specialmente durante la Pasqua sono venute in Patriarcato tante persone per fare gli auguri, anche le autorità religiose musulmane, tutti…”
Anche se resta ancora molto da fare – conclude il vescovo  – : ”Noi non abbiamo problemi con i musulmani, siamo aperti, siamo pacifici e anche loro sentono questo, sentono che noi vogliamo vivere in questo Paese in unità con gli altri e nella pace.

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