I santi del 07 Novembre 2017

San PROSDOCIMO DI PADOVA   Protovescovo
Sec. II
Viene onorato, dalla tradizione, come il primo vescovo di Padova, patrono della città euganea, e anche, secondo la opinione di vari studiosi, probabile evangelizzatore di tutta la Venezia occidentale. Anche la più bella immagine di San Prosdocimo venne dipinta da un padovano, il grande quattrocentista Andrea Mantegna. Fa parte di un polittico i…
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San VINCENZO LE QUANG LIEM   Sacerdote domenicano, martire
Trà Lũ, Viet Nam, 1731 circa – Ket Chợ, Viet Nam, 7 novembre 1773
Nato nel villaggio di Tra-Lu, in Vietnam, ricevette dalla madre, fervente cattolica, una profonda educazione religiosa che fece ben presto sorgere il desiderio di consacrarsi al Signore: entrò così nell’Ordine domenicano. Compì gli studi a Manila nelle Filippine e dopo l’ordinazione sacerdotale ritornò in Vietnam per svolgere l’at…
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San GIACINTO CASTANEDA   Sacerdote domenicano, martire
Xàtiva, Spagna, 13 gennaio 1743 – Ket Chợ, Viet Nam, 7 novembre 1773
Jacinto nacque a Xàtiva in Spagna il 13 gennaio 1743 da José Castañeda, scriba reale, e da Josefa Maria Puchasons, coppia profondamente cristiana. Fu battezzato con i nomi di Felice, Tommaso, Gioacchino e Taddeo. Entrato nell’Ordine Domenicano, nel collegio di Orihuela compì gli studi filosofici e teologici. Prese il nome d…
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San VILLIBRORDO   Vescovo
Northumbria, 658 – Echternach (Lussemburgo), 7 novembre 739
A trent’anni ricevette l’ordinazione sacerdotale, dopo di ché insieme a undici compagni si dedicò all’evangelizzazione della Frisia (Paesi Bassi) e di una parte della Germania. Anversa fu la prima residenza e il centro dell’apostolato di Villibrordo, fu l’avamposto e forse il Seminario delle fondazioni di Utrecht. …
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San BAUDINO (BALDO)   Vescovo di Tours
† Tours, 552 ca.
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Sant’ ERCOLANO DI PERUGIA   Vescovo e martire
† 7 novembre 547
Visse nel VI secolo. Nei suoi «Dialoghi» papa Gregorio Magno scrive che faceva vita monastica nel monastero dei Canonici Regolari di sant’Agostino. Chiamato alla cattedra episcopale di Perugia dopo la morte del vescovo Massimiano, si oppose all’invasione dei Goti di re Totila che combattevano i bizantini. Dopo tre anni di assedio, verosimilmente nel 547, le …
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San PROSDOCIMO DI RIETI
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Sant’ ATENODORO   Vescovo nel Ponto
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Santi IERONE E COMPAGNI   Martiri
Sant’Ierone ed i suoi numerosi compagni morirono martiri presso Melitene in Armenia. Particolare menzione meritano tra i compagni i santi Eugenio e Teodoto, dei quali si venerano le rispettive icone, oltre a quella del capogruppo Sant’Ierone….
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Sant’ AMARANDO (AMARANTO)   Martire
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San VINCENZO GROSSI   Sacerdote e fondatore
Pizzighettone, Cremona, 9 marzo 1845 – Vicobellignano, Cremona, 7 novembre 1917
Don Vincenzo Grossi fu un sacerdote della diocesi di Cremona. Figlio di un mugnaio, attese a lungo prima di poter entrare in Seminario, per aiutare i familiari nel loro lavoro. Iniziò gli studi per il sacerdozio nel 1866 e fu ordinato il 22 maggio 1869. Dapprima ebbe l’incarico di vicario cooperatore in alcune parrocchie, poi nel 1873 parroco a …
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Sant’ ERNESTO DI ZWIEFALTEN   Abate
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San CUNGARO   Abate
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San LAZZARO IL GALESIOTA   Stilita
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Sant’ ENGELBERTO DI COLONIA   Vescovo
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Santi MELASIPPO, CASSINA (CARINA) ED ANTONIO   Genitori e figlio, martiri
† Ancira, Galazia, IV secolo
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San PIETRO WU GUOSHENG   Martire
Nel prendere contatto con i missionari, abbracciò la Fede, abbandonò la sua professione di locandiere e diventò catechista. Rifiutatosi di apostatare, fu il primo martire cinese della persecuzione imperiale….
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San FIORENZO DI STRASBURGO   Vescovo
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San MAMANTE E COMPAGNI   Martiri a Melitene
Melitene in Armenia † 303 ca.
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San RUFO DI METZ   Vescovo
sec. IV-V
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San SEVERINO   Monaco nel Berry
V sec.
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Beata ELEONORA DI PORTOGALLO   Regina, mercedaria
Regina di Portogallo, la Beata Eleonora, disprezzò le ricchezze terrene e beneficò abbondantemente l’Ordine Mercedario. Ornata della santità della vita, di doni celesti e famosa per i meriti migrò in cielo; il suo corpo fu composto in un sepolcro dignitoso vicino all’altar maggiore nella chiesa del convento di Sant’Antolino in Valladolid (Spagna).L’Ordine la…
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Beato ANTONIO BALDINUCCI   Sacerdote gesuita
Sec. XVII
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Beato SERVILIANO RIANO HERRERO   Religioso e martire
Prioro, Spagna, 22 aprile 1916 – Soto de Aldovea, Spagna, 7 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
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Beato GIUSEPPE VEGA RIANO   Sacerdote e martire
Siero de la Reina, Spagna, 19 marzo 1904 – Paracuellos de Jarama, Spagna, 7 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
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Beata LUCIA DA SETTEFONTI   Vergine
sec. XII
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TUTTI I SANTI DELL’ORDINE DOMENICANO
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Bambini e disabili, la nuova sfida di Ruth Beitia

Bambini e disabili, la nuova sfida di Ruth Beitia
da Avvenire

«Le doy gracias a Dios todos los días » («Ringrazio Dio ogni giorno»). È stato questo l’elisir della lunga carriera di Ruth Beitia, campionessa olimpica di salto in alto a Rio 2016 alla sorprendente età di 37 anni, come mai nessuna prima in questa specialità. Dopo aver annunciato il suo ritiro dalla attività agonistica, la Spagna oggi la celebra come la più grande atleta iberica di tutti i tempi. Un riconoscimento che tiene giustamente conto di un palmarés stellare con 15 medaglie internazionali, tra cui cinque mondiali e quattro titoli europei, con 31 finali disputate. Quindici “voli” sopra i 2 metri in gare ufficiali per la trentottenne spagnola che ha detto basta al termine di una stagione segnata dagli infortuni.

Una vita sul tartan iniziata a soli undici anni, grazie al suo allenatore di sempre, Ramon Torralbo, che aveva intravisto il talento puro di questa ragazza di 192 centimetri nativa di Santander. La più giovane di cinque fratelli, tutti atleti, come il papà giudice di gara a Barcellona ’92. Dalle pedane giovanili a quelle olimpiche fino al gradino più alto a Rio dopo ventisei anni di carriera: «Un sogno diventato realtà che ho condiviso con il mio allenatore. Mi ha insegnato a vincere ma anche a perdere, a rispettare sempre le avversarie e a non mollare mai». Umiltà e sacrifici alla base di una scalata che sembrava non aver fine.

Ma c’è un tempo per ogni cosa e la “signora dell’alto” ha sentito che era il momento di scendere dalla pedana: «Ho deciso di smettere ma tutti i valori che ho appreso dallo sport li porterò in altri aspetti della vita». Col sorriso con cui si è fatta conoscere in tutto il mondo, ma anche qualche lacrima per quella che è stata una vera vocazione: «Non sono io che ho scelto il salto in alto, ma il salto in alto ha scelto me». Il giorno dopo aver appeso le scarpe al chiodo, l’ “eterna” Ruth si è rituffata in un’altra passione. Dal 2011 siede nel parlamento della comunità autonoma della sua Cantabria. Rieletta nel 2015, è consapevole che oggi la politica debba recuperare la fiducia della gente ma è un ambito che l’affascina: «Per me la politica è parlare con la gente, ascoltarla, non sentirla, che è molto diverso. Mi piace il tu per tu e avere sempre il mio ufficio aperto per tutti. È bello poter aiutare gli altri ed essere d’esempio». Non ha mai nascosto la volontà di barattare le sue medaglie se servissero a sconfiggere la disoccupazione. Va fiera dei risultati raggiunti nel campo della disabilità e dell’abbandono scolastico. Vicina al mondo dell’infanzia, già durante l’attività agonistica è stata spesso nelle scuole per testimoniare la forza dello sport: «Importante però non è competere ma divertirsi».

Fisioterapista e studente in psicologia all’Università Cattolica San Antonio di Murcia, è sempre stata protagonista anche oltre lo sport. Per la Federazione di atletica leggera spagnola: «Ruth è stata un esempio in pista e fuori. Al di là dei suoi grandi successi è riuscita a diffondere lo sport tra giovani, ha nobilitato l’atletica e ispirato molti bambini. È stata ammirata dai suoi compagni di squadra e dai suoi rivali, è stata la più grande della nostra storia sportiva. Fortunatamente ora continuerà a lavorare per rendere il nostro sport più grande». Ruth si è sorpresa quest’anno quando la Iaaf ha deciso di darle il premio Fair Play per aver consolato in mondovisione l’azzurra Alessia Trost eliminata al Mondiale.

«Sono orgogliosa, ma è stato solo un gesto di umanità» ha spiegato la spagnola che non ama epiteti o titoli a effetto. «Voglio essere ricordata senza soprannomi, per come sono davvero, grazie soprattutto alla mia famiglia che mi ha trasmesso tanti valori. Sono molto cattolica, credo profondamente in Dio e sono molto devota alla Madonna del Carmine, patrona di Santander, che ha un santuario prezioso: quello della Vergine del Mare. In questa spiaggia sono andata spesso a riposarmi dopo un duro allenamento ». È stato questo il suo segreto, una forza interiore che le permette oggi di voltarsi indietro soddisfatta e guardare in alto verso nuove sfide dicendo semplicemente: « Soy feliz » («Sono felice»).

Più fondi anche nel 2018, e non per sicurezza. La strana scelta: su le spese militari

La strana scelta: su le spese militari
da Avvenire

L’approvazione del Bilancio dello Stato scatena ogni anno nei Palazzi della politica e presso l’opinione pubblica accesi dibattiti sull’allocazione delle risorse pubbliche. Così anche in occasione della Manovra per il 2018. Con le decisioni di bilancio, infatti, si rende concreta e tangibile l’idea di comunità che una leadership politica ha in mente: tra gli elementi maggiormente rilevanti – ‘strategici’, verrebbe da dire – ci sono sicuramente le spese militari. Iniziamo dai nudi numeri nelle proposte del Governo (che ancora devono essere vagliate dal Parlamento). Il puro budget del ministero della Difesa passa in un anno da 20,3 miliardi a quasi 21 miliardi (+3,4%) rafforzando la recente tendenza di crescita (+8% rispetto al 2015). In particolare, crescono del 10% i fondi ministeriali per l’acquisto (e manutenzione) di nuovi armamenti mentre diminuiscono del 5% i capitoli per la sicurezza interna garantita dall’Arma dei Carabinieri.

Ma non c’è solo il bilancio della Difesa: le spese militari si compongono anche di spese sostenute da altri ministeri ed enti pubblici: dai 3,5 miliardi (+5% sul 2017) del ministero dello Sviluppo Economico per nuovi armamenti ai circa 1,3 miliardi per le missioni militari all’estero (fondo del ministero dell’Economia); dagli oltre 2 miliardi per personale militare a riposo a carico Inps al mezzo miliardo di spese indirette per basi Usa in Italia (più 130 milioni di contributo budget Nato). Sommando tutto, e sottraendo invece la quota dei fondi Difesa destinati alla sicurezza interna, il totale delle spese militari italiane per il 2018 arriva a superare i 25 miliardi di euro: un miliardo in più rispetto al 2017 (+4%) e circa due miliardi in più rispetto al 2015 (+9%). Scelte che avvengono mentre, come denunciano numerose associazioni, il Fondo nazionale per la non autosufficienza per persone con disabilità rimane inchiodato agli usuali livelli (nonostante le recenti leggi sulla ‘Vita Indipendente’ e sul ‘dopo di noi’) e il Servizio Civile Nazionale con 180 milioni stanziati è ai minimi da tre anni a questa parte, pur in attesa delle risorse aggiuntive che in questi ultimi anni hanno poi quantomeno rimpinguato le magre casse di questo importante istituto di servizio e partecipazione civile.

Senza dimenticare il dibattito sulle poche risorse destinate alla famiglia: anche quelle meno strutturali, come il ‘bonus bebé’, fanno fatica a vedere la luce. Difficolta che sembrano al contrario non esistere per i fondi destinati a nuovi aerei e navi militari (tra cui una nuova portaerei) o a nuovi carri armati e blindati. Notizie che fanno felice soprattutto il complesso militare-industriale, anche italiano, favorito da acquisti sovradimensionati utili poi (lo si legge nero su bianco in diversi documenti governativi) a configurare vantaggio competitivo per successive esportazioni. Vendite che, come ci dicono le cronache, andranno anche ad alimentare conflitti e tensioni in giro per il mondo: se riempire gli arsenali è già problematico perché sottrae risorse ad altri investimenti ancora più pericoloso è il loro svuotamento, che significa guerra (cioè sempre una «inutile strage»).

Prescindendo per un momento dalle scelte di dettaglio, e anche da un orizzonte completamente disarmista, la sensazione è quella di una ‘doppia velocità’ nel dare via libera alle spese militari rispetto a quelle sociali. Intendiamoci: non tutti i problemi del nostro Paese si possono risolvere con semplice spostamento di fondi; non è possibile pensarlo né in termini quantitativi, né qualitativi. Ma alcuni, importanti passi si potrebbero fare da subito. E fa male verificare al contrario che non si hanno tentennamenti – anzi, si propongono continui aumenti – sulle spese militari, soprattutto quelle per nuovi sistemi d’arma, mentre importanti capitoli sociali devono sempre ‘lottare’ per mantenere le proprie minime dotazioni.

Come se un carro armato fosse sempre e comunque più importante del trasporto locale. O una nave militare più rilevante dei fondi per la famiglia e le persone disabili. O un cacciabombardiere più necessario di un Canadair. Non capendo che la ‘difesa’ vera di questo Paese, e cioè quella che si deve occupare della vita e della dignità dei suoi cittadini, si realizza maggiormente con fondi indirizzati su scelte del secondo tipo, non del primo.*Coordinatore Rete italiana per il Disarmo

Morbillo. Così il vaccino in 15 anni ha salvato 20 milioni di vite

Così il vaccino in 15 anni ha salvato 20 milioni di vite

«Dal 2000 al 2016 il vaccino contro il morbillo è riuscito a far calare dell’84 per cento delle morti per questa malattia, passando da circa 550.100 morti nel 2000 a 89.780 nel 2016». Lo sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in un documento aggiornato su alcune malattie infettive secondo la quale si sarebbero evitati all’incirca 20,4 milioni di decessi per morbillo. «Prima dell’introduzione del vaccino contro il morbillo nel 1963 e prima della diffusione della vaccinazione – specifica l’Oms – si sono verificate gravi epidemie circa ogni 2-3 anni e il morbillo ha causato circa 2,6 milioni di morti ogni anno».

Tra le principali cause di morto nel mondo

Nonostante la disponibilità di un vaccino efficace e sicuro, il morbillo rimane una delle principali cause di morte tra i bambini al mondo. «Nel 2016 – si legge nel documento – sono morte circa 89.780 persone, soprattutto bambini sotto i 5 anni d’età». Nel 2015 erano state 134.200: 367 morti ogni giorno, 15 morti ogni ora.

La maggior parte dei decessi per morbillo è causata da complicazioni associate alla malattia». Le più gravi sono la cecità, l’encefalite (un’infezione ce causa gonfiore del cervello), grave diarrea e una relativa disidratazione, infezioni alle orecchie o gravi alterazioni respiratorie, come la polmonite.

«È più probabile che il morbillo si aggravi nei bambini più piccoli, soprattutto quelli con carenza di vitamina A o quelli i cui sistemi immunitari sono stati indeboliti da Hiv/Aids o altre malattie», specifica l’Oms. I soggetti più a rischio sono proprio i bambini non vaccinati e le donne in gravidanza. «La stragrande maggioranza delle morti,più del 95 per cento, avviene nei Paesi a basso reddito e con infrastrutture sanitarie deboli», sottolinea l’Oms. Ad oggi, non esiste nessun trattamento antivirale contro il virus del morbillo: solo il vaccino può proteggere da questa malattia.

da Avvenire

Figli, via le foto dai social. Per sentenza (e per loro)

Figli, via le foto dai social. Per sentenza (e per loro)
tratto da Avvenire

Nell’era dei social e della condivisione a portata di clic è successo almeno una volta, anche nelle “migliori famiglie”, fra genitori affiatati e in pieno accordo sull’educazione dei figli, di scoprire che l’altro si è spinto oltre. Pubblicando uno scatto rubato a colazione, a una festa, sulla spiaggia o le piste da sci. Bellissimi, i nostri figli, in ognuna delle tappe della loro crescita: i primi passi, i primi compleanni, i primi sorrisi sdentati. Le prime volte, soprattutto, meritano l’attenzione del “mondo” e comprensibilmente abbiamo la tentazione, al mondo, di mostrarle da orgogliosi mamme e papà.

Peccato che il mondo – non importa se quello piccolo, della ristretta cerchia di conoscenti, o quello là fuori, ignoto e remoto – sia un posto che non possiamo controllare. Mai. E che le foto dei nostri figli in una manciata di secondi (e di altri clic) possano perdere l’irripetibile magia del momento per finire in pasto all’orrore di chi dei piccoli fa preda.

Sulla questione l’ultimo a esprimersi in ordine di tempo era stato il Garante della privacy: «La pedopornografia in Rete è in crescita vertiginosa: nel 2016 sono state censite due milioni di immagini, quasi il doppio rispetto all’anno precedente – segnalava Antonello Soro nella sua Relazione annuale al Parlamento di giugno –. Fonte involontaria sarebbero i social network in cui genitori postano le immagini dei figli». Ora è toccato al Tribunale di Mantova. Che è intervenuto su una vicenda familiare piuttosto complicata stabilendo, per la prima volta, un principio generale forte: non si possono postare sui social network le foto dei propri figli minorenni se l’altro genitore non è d’accordo.

Il caso di Mantova: papà contro mamma

Nel caso specifico, un papà di due bimbi (3 anni e mezzo la bimba, uno e mezzo il più piccolo) aveva presentato ricorso contro la ex moglie chiedendo al giudice di rivedere le condizioni regolanti i rapporti genitori/figli«alla stregua di supposti gravi comportamenti diseducativi posti in essere dalla madre». Tra cui spiccava proprio il continuare imperterrita – nonostante nel primo accordo seguito alla separazione fosse stato stabilito l’obbligo di non postare le foto dei bimbi sui social e la donna si fosse impegnata a rimuovere quelle già diffuse – a pubblicare immagini dei figli. «Comportamento questo – scrive il Tribunale di Mantova – che integra violazione della “tutela dell’immagine”, contemplata dall’articolo 10 del codice civile, della “tutela della riservatezza dei dati personali”, prevista dal Codice della privacy, nonché della Convenzione di New York nel punto in cui stabilisce che “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione” e che “il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”».

L’inserimento di foto di minori sui social network «costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto – sottolinea ancora il giudice di Mantova nella sua decisione –, ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto online, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto online dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia».

Citata nella sentenza anche la normativa di tutela dei minori contenuta nel regolamento Ue del 27 aprile 2016 e che entrerà in vigore il 25 maggio 2018, secondo cui «l’immagine fotografica dei figli costituisce dato personale» e «la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata». Dunque, «considerato che il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network» ecco l’ordine impartito dal Tribunale, da eseguire immediatamente: basta foto e via quelle già pubblicate. Dovrà farlo la madre di Mantova (per cui sono state disposte verifiche aggiuntive e che rischia anche di perdere la custodia esclusiva dei figli), dovremmo farlo anche noi.

Paradisi fiscali, il conto lo pagano i più poveri

Paradisi fiscali, il conto lo pagano i più poveri

I paradisi fiscali sono solo la punta dell’iceberg di un problema più grosso: quello di un fisco che invece di tutelare i più deboli, finisce per aumentare le diseguaglianze. «L’evasione e l’elusione fiscale delle corporation sottrae ai paesi più poveri 100 miliardi di dollari l’anno, sufficienti per mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e salvare la vita di 6 milioni di bambini». A fare i conti dell’impatto sociale del nuovo scandalo internazionale sui paradisi fiscali ribattezzato Paradise Papers e che ha suscitato un terremoto politico in Inghilterra per il coinvolgimento di una società della regina Elisabetta, è l’Oxfam. L’associazione sottolinea come «alle severe parole di condanna» da parte dei governi hanno fatto seguito ad oggi «solo riforme timide, indebolite dall’enorme pressione di multinazionali e paperoni». Secondo Susana Ruiz, policy advisor di Oxfam sui dossier di fiscalità internazionale, bisogna creare una blacklist a livello globale, con misure sanzionatorie. Ad oggi nella lista nera dell’Ocse figura un solo Paese, Trinidad-Tobago e anche il processo di blacklisting in corso nell’Ue rischia di essere un buco nell’acqua.

La campagna della ong Oxfam contro i paradisi fiscali

La campagna della ong Oxfam contro i paradisi fiscali

Sul banco degli imputati sono finiti, tra gli altri, Apple e Facebook, il co-fondatore di Microsoft Paul Allen, i cantanti Madonna e Bono, il ministro del Commercio di Donald Trump, Wilburs Ross, il tesoriere del presidente canadese, Justin Trudeau. Tutti colpevoli di aver investito nei paradisi fiscali per pagare meno tasse e fare soldi facili. Le ultime rivelazioni contenute nelle nuove carte dei Panama Papers, oltre 13,4 milioni di documenti riservati ottenuti dal quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung che a sua volta li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists e i suoi partner tra cui il Guardian, la Bbc, il New York Times e in Italia l’Espresso e la trasmissione Report, alzano il velo su un fenomeno noto ma che assume dimensioni sempre più ampie.

La campagna della ong Oxfam contro i paradisi fiscali

La campagna della ong Oxfam contro i paradisi fiscali

da avvenire