Una tavola rotonda sul rapporto tra cinema e Bibbia

di Luca Pellegrini

La Torre di Babele potrebbe aver fatto bene al cinema, meno ad altre forme di espressione e comunicazione. La moltiplicazione dei linguaggi e delle parole (queste ultime un “segno” tra gli esseri umani, come scrive Agostino), è stata, infatti, recepita come uno strumento di creatività e ricchezza: una sceneggiatura si modella in libertà non solo assecondando il mood dell’autore, ma le tecniche di scrittura e la ricchezza di vocabolario, oltre che di idee. Così, per un “agguerrito” gruppo di docenti universitari, che amano il cinema ma studiano altro, l’aforisma di Salieri applicato all’ultima e più popolare delle arti va ribaltato: prima, le parole, a seguire le immagini. Se poi la letteratura di riferimento è quella antica e cristiana, trovarne tracce nelle immagini sullo schermo diventa una avventura intellettuale non solo serissima, ma che ha i suoi gradi di necessità e divertimento. È quanto hanno fatto – capitanati e convocati da Sandra Isetta, che insegna letteratura cristiana antica e agiografia presso l’Università di Genova – un gruppo scelto di docenti che hanno radunato le loro idee in un volume (Il volto e gli sguardi. Bibbia, letteratura, cinema, Edb, 2010) e recentemente ne hanno discusso nel corso di una tavola rotonda organizzata dall’Associazione “Monsignor Nicolò Palmarini” e dall’Istituto Teologico Diocesano di Albenga-Imperia, progettando ulteriori sviluppi delle loro indagini letterarie e cristiane nel campo cinematografico.
“Il nostro lavoro di ricerca – precisa Isetta – presuppone una accurata fase di progettazione per assicurare la relazione tra la settima arte e le fonti, letterarie e non, a cui necessariamente si ispira la filmografia cristiana. Il rispetto del nostro progetto, calibrato in una specifica segmentazione di temi o gruppi di tematiche, presuppone a sua volta la generosa disponibilità a svolgere l’assegnazione di un “compito” da parte dei relatori. Per essere chiara, sarebbe veramente riduttivo, oltre che ingeneroso, presupporre che cristianisti e filologi si avventurino in uno “sconfinamento” nel territorio filmico, per puro piacere ludico, per parlare di una pellicola “che piace””.

(©L’Osservatore Romano 14 ottobre 2012)