Caro direttore,
ancora un terremoto, stavolta con epicentro in provincia di Rieti. Due paesi rasi al suolo, oltre cento morti (in realtà, oltre 250 ndr) accertati e tanti dispersi sotto le macerie. È in momenti come questo che mi chiedo ‘Dio dov’è?’. Me lo chiedo anche quando muoiono bambini innocenti. O quando la gente muore per malattie, epidemie e pandemie mortali. O quando avvengono alluvioni, tsunami e altre catastrofi cosiddette ‘naturali’, ma che per me di naturale non hanno nulla. Ma se, come dicono i preti che hanno istruito anche me sulla dottrina cristiana, Dio è tanto buono e misericordioso, perché permette tutto questo, direttore? So che nessuno, su questa terra potrà darmi delle risposte, e che forse – forse – le troverò quando giungerò nell’aldilà. Intanto dovrò cercare di capire perché Colui, vorrei scriverlo, con la lettera minuscola, che dovrebbe amarci e proteggerci permette tutto questo. La prego di non pubblicare il mio nome completo, e di firmarmi soltanto Antonio
da “Lettere” ad Avvenire
L’accontento, gentile signor Antonio. Ma non dubiti: Dio conosce anche il suo cognome… Ho già provato a rispondere più volte (l’ultima lo scorso 31 luglio: «L’eterna, dura domanda sul male. E la Sua croce, i nostri calli e le cicatrici»), con la mia piccola esperienza e una speranza che – grazie a Dio – è molto più grande di me, a domande come la sua. Perché, per quanto la forma possa leggermente variare, è sempre quello il cuore dell’interrogativo che ci insegue davanti al dolore innocente: “Dio dov’è?”.Evidentemente le risposte non bastano mai, come non sembra bastare mai il dolore che proviamo o che riusciamo a sentire e condividere anche quando tocca persone lontane da noi. Già questo è un inizio di risposta. E a me continua ad aiutare la riflessione che facevo giusto un anno fa (era il luglio 2015). «La risposta di Dio [al dolore innocente], papa Francesco ce l’ha ricordato più volte, anche unendo le sue lacrime a quelle di chi gli poneva la questione, è Dio stesso, è Gesù vero Dio e vero Uomo, che ha caricato su di sé, per sempre, “tutto questo male, tutta questa sofferenza”. Eppure, dice ancora il Papa, non dobbiamo stancarci di chiedere “perché?”, tutti i “perché?” generati dal dolore, che ci assediano e che sono già preghiera».
Ma stavolta non desidero abbozzare solo io un pezzetto di risposta abbracciata alla Croce, perché mi piace che un altro po’ della risposta che continueremo sempre a cercare risuoni soprattutto dentro un testo molto bello che Luigino Bruni, economista–filosofo e nostro prezioso editorialista, ha deciso di condividere ieri dalle pagine online di “Città Nuova” (grazie a Michele Zanzucchi!). È una testimonianza diretta dell’esperienza di una notte terremotata nella propria terra madre e dei pensieri come preghiera che può suscitare quando ci si fa abitare da una sapienza più grande.
Marco Tarquinio