Commento al Vangelo Domenica 7 Febbraio 2016

V Domenica Tempo ordinario – Anno C

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». (…) Riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». (…) Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Un gruppetto di pescatori delusi da una notte intera di inutile fatica, ma proprio da là dove si erano fermati il Signore li fa ripartire. E così fa con ogni vita: propone a ciascuno una vocazione, con delicatezza e sapienza, come nelle tre parole a Simone:
– lo pregò di scostarsi da riva: Gesù prega Simone, chiede un favore, lui non si impone mai;
– non temere: Dio viene come coraggio di vita; libera dalla paura che paralizza il cuore;
– tu sarai: lo sguardo di Gesù si dirige subito al futuro, intuisce in me fioriture di domani; per lui nessun uomo coincide con i suoi limiti ma con le sue potenzialità.
Sono parole con le quali Gesù, maestro di umanità, rimette in moto la vita ed è per questo che è legittimato a proporsi all’uomo, perché parla il linguaggio della tenerezza, del coraggio, del futuro.
Simone è stanco dopo una notte di inutile fatica, forse vorrebbe solo ritornare a riva e riposare, ma qualcosa gli fa dire: Va bene, sulla tua parola getterò le reti.
Che cosa spinge Pietro a fidarsi? Non ci sono discorsi sulla barca, solo sguardi. Per Gesù guardare una persona e amarla erano la stessa cosa. Pietro in quegli occhi ha visto l’amore per lui. Si è sentito amato, sente che la sua vita è al sicuro accanto a Gesù, che il suo nome è al sicuro su quelle labbra. I cristiani sono quelli che, come Simone, credono nell’amore di Dio (1Gv 4,16). E le reti si riempiono. Simone davanti al prodigio si sente stordito, inadeguato: Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore.
Gesù risponde con una reazione bellissima, una meraviglia che m’incanta. Trasporta Simone su di un piano totalmente diverso, sovranamente indifferente al suo passato e ai suoi peccati, lui non si lascia impressionare dai difetti di nessuno, pronuncia e crea futuro: Non temere. Sarai pescatore di uomini. Li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un’altra vita! Li raccoglierai per la vita.
Quando si pescano dei pesci è per la morte. Ma per gli uomini no: pescare significa catturare vivi, è il verbo usato nella Bibbia per indicare coloro che in una battaglia sono salvati dalla morte e lasciati in vita (Gs 2,13; 6,25; 2Sam 8,2… ). Nella battaglia per la vita l’uomo sarà salvato, protetto dall’abisso dove rischia di cadere, portato alla luce.
E abbandonate le barche cariche del loro piccolo tesoro, proprio nel momento in cui avrebbe senso restare, seguono il Maestro verso un altro mare. Senza neppure chiedersi dove li condurrà. Sono i «futuri di cuore». Vanno dietro a lui e vanno verso l’uomo, quella doppia direzione che sola conduce al cuore della vita.
(Letture: Isaia 6,1-2,3-8; Salmo 137; 1 Corinzi 15,1-11; Luca 5,1-11)

LA PAROLA 4 febbraio 2016

LA PAROLA
4 febbraio 2016
Giovedì
S. Gilberto
4.a Tempo Ordinario – IV
Tu, o Signore, domini tutto!
Liturgia: 1Re 2,1-4.10-12; 1Cr 29,10-12; Mc 6,7-13

PREGHIERA DEL MATTINO
Gli uomini giusti e santi, come Giovanni Battista, non sono comodi. Essi disturbano e alcuni, come Erodiade, sarebbero ben lieti di farli sparire. L’autentica santità ha sempre qualcosa di rivoluzionario. Tu, o Signore, tu ci hai comandato di essere santi come il Padre celeste è santo. E la tua Chiesa, attraverso il Concilio Vaticano II, ci ha ricordato la necessità che ogni cristiano sia un santo. Cioè una persona che si lascia abitare da te. Concedi, o Signore, che oggi io faccia un nuovo passo sul cammino della santità.

ANTIFONA D’INGRESSO
Salvaci, Signore Dio nostro, e raccoglici da tutti i popoli, perché proclamiamo il tuo santo nome e ci gloriamo della tua lode.

COLLETTA
Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te…

PRIMA LETTURA (1Re 2,1-4.10-12)
Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu, Salomone, sii forte e mostrati uomo.
Dal primo libro dei Re
I giorni di Davide si erano avvicinati alla morte, ed egli ordinò a Salomone, suo figlio: «Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e móstrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi, i suoi comandi, le sue norme e le sue istruzioni, come sta scritto nella legge di Mosè, perché tu riesca in tutto quello che farai e dovunque ti volgerai, perché il Signore compia la promessa che mi ha fatto dicendo: “Se i tuoi figli nella loro condotta si cureranno di camminare davanti a me con fedeltà, con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima, non ti sarà tolto un discendente dal trono d’Israele”.
Davide si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella Città di Davide. La durata del regno di Davide su Israele fu di quarant’anni: a Ebron regnò sette anni e a Gerusalemme regnò trentatré anni.
Salomone sedette sul trono di Davide, suo padre, e il suo regno si consolidò molto.
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE (Da 1Cron 29,10-12)
Tu, o Signore, dòmini tutto!
Benedetto sei tu, Signore,
Dio d’Israele, nostro padre,
ora e per sempre.
Tu, o Signore, dòmini tutto!
Tua, Signore, è la grandezza, la potenza,
lo splendore, la gloria e la maestà:
perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo.
Tu, o Signore, dòmini tutto!
Tuo è il regno, Signore:
ti innalzi sovrano sopra ogni cosa.
Da te provengono la ricchezza e la gloria,
tu domini tutto; nella tua mano c’è forza e potenza,
con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere.
Tu, o Signore, dòmini tutto!

CANTO AL VANGELO (Mc 1,15)
Alleluia, alleluia.
Il regno di Dio è vicino, dice il Signore:
convertitevi e credete nel Vangelo.
Alleluia.

VANGELO (Mc 6,7-13)
Incominciò a mandare i Dodici.
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.
E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì.
Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Parola del Signore.

OMELIA
La missione di Cristo non potrà finire con la sua ascensione al cielo. Egli ha già scelto dodici uomini, gli apostoli, ai quali affidare prima un ruolo di diretta collaborazione e poi una vera e propria missione da espletare in tutto il mondo. Il compito primario sarà per loro quello di scacciare, dovunque si annidi, lo spirito immondo, tutte quelle immondezze cioè, che hanno invaso i cuori degli uomini e che non consentono più a Dio di entrare per costituirvi il suo regno di amore. Li manda a due a due «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». È una caratteristica essenziale dell’inviato da Cristo non affidarsi per nulla alle proprie risorse o alle umane sicurezze, che dovrà trarre invece solo ed esclusivamente da Colui che lo invia e dalla forza del messaggio che ha da annunciare. Tutto il resto diventa pesante e d’ingombro quando si è guidati da Dio, quando si è chiamati ad andare oltre i confini delle umane attese, quando gli interessi prevalenti riguardano non l’affermazione di un proprio prestigio, ma la diffusione del regno di Dio. Il missionario, l’apostolo non è un immigrato o un giramondo in cerca di fortuna, ma una portatore, in nome di Cristo, di un messaggio di salvezza. Non deve però attendersi né accoglienza e tanto meno successo personale, anzi, benché dotato di poteri speciali dallo stesso Cristo, dovrà mettere in conto rifiuti, allontanamenti e persecuzioni. Il mondo per questo lo riterrà uno sconfitto, Gesù però dirà: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Che lezione per noi sacerdoti e consacrati, ma anche che utili indicazioni per ogni credente che vuole essere anche un testimone. (Padri Silvestrini)

PREGHIERA SULLE OFFERTE
Accogli con bontà, o Signore, questi doni che noi, tuo popolo santo, deponiamo sull’altare, e trasformali in sacramento di salvezza. Per Cristo nostro Signore.

ANTIFONA ALLA COMUNIONE
Fa’ risplendere sul tuo servo la luce del tuo volto, e salvami per la tua misericordia. Che io non resti confuso, Signore, perché ti ho invocato.

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
O Dio, che ci hai nutriti alla tua mensa, fa’ che per la forza di questo sacramento, sorgente inesauribile di salvezza, la vera fede si estenda sino ai confini della terra. Per Cristo nostro Signore.

PREGHIERA DELLA SERA
Sul giornale, ho potuto leggere “fatti diversi” di violenza e di odio. Del genere banchetto di Erode, danza di Salomè, crudeltà di Erodiade, testa di Giovanni Battista su di un vassoio. Signore, perdono per i peccati di oggi. Ma anche grazie, Signore, per tutte le buone azioni, per tutti gli aiuti fraterni, per tutti gli atti d’amore e di misericordia non riportati dai giornali e dalla televisione. Tu, Signore, tu ne hai preso nota. La tua grazia ci aiuti a riempire il mondo dei “fatti diversi” d’amore verso di te e verso tutti coloro che soffrono.

Quando il vento della profezia scuote la nostra polvere. Commento al Vangelo IV Domenica Tempo ordinario – Anno C

vangelo.domenica.parrocchia.s.stefano

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria (…)
In un primo momento la sinagoga è rimasta incantata: tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati! Ma il cuore di Nazaret, e di ogni uomo, è un groviglio contorto, trascinato in fretta dalla meraviglia alla delusione, dallo stupore a una sorta di furore omicida: lo spinsero sul ciglio del monte per gettarlo giù.
Che cosa è accaduto? Non è facile accogliere un profeta e le sue parole di fuoco e di luce. Soprattutto quando varcano la soglia di casa come «un vento che non lascia dormire la polvere» (Turoldo) e smuove la vita, invece di risuonare astratte e lontane sul monte o nel deserto.
I compaesani di Gesù si difendono da lui: lo guardano ma non lo vedono, è solo il figlio di Giuseppe, uno come noi. Odono ma non riconoscono le sue parole d’altrove: come pensare che sia lui, il figlio del falegname, il racconto di Dio? E poi, di quale Dio?
Questo è il secondo motivo del rifiuto di Gesù, il suo messaggio dirompente, che rivela il loro errore più drammatico: si sono sbagliati su Dio.
Fai anche qui, a casa tua, i miracoli di Cafarnao, chiedono. È la storia di sempre, immiserire Dio a distributore di grazie, impoverire la fede a baratto: «io credo in Dio se mi da i segni che gli chiedo; lo amo se mi concede la grazia di cui ho bisogno». Amore mercenario.
Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui. Non ci bastano belle parole, vogliamo un Dio a nostra disposizione; uno che ci stupisca, non uno che ci cambi il cuore.

E Gesù risponde raccontando un Dio che ha come casa ogni terra straniera, protettore a Zarepta di vedove straniere e senza meriti, guaritore di lebbrosi siriani nemici d’Israele, senza diritti da vantare. Un Dio che non ha patria se non il mondo, che non ha casa se non il dolore e il bisogno di ogni uomo.
Adorano un Dio sbagliato e la loro fede sbagliata genera un istinto di morte: vogliono eliminare Gesù. Mentre il Dio di Gesù è l’amante della vita, il loro è amico della morte. Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino. Come sempre negli interventi di Dio, c’è un punto bianco, una sospensione, un ma. Ma Gesù passando in mezzo se ne andò. Va ad accendere il suo roveto alla prossima svolta della strada. Appena oltre ci sono altri villaggi ed altri cuori con fame e sete di vita.
Un finale a sorpresa. Non fugge, non si nasconde, passa in mezzo a loro, alla portata delle loro mani, in mezzo alla violenza, va tranquillo in tutta la sua statura in mezzo ai solchi di quelle persone come un seminatore, mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla, che la sua vitalità è incontenibile, che il vento dello Spirito riempie la casa e passa oltre.
(Letture: Geremia 1,4-5.17-19; Salmo 70; 1 Corinzi 12,31-13,13; Luca 4,21-30).

di Ermes Ronchi – Avvenire

Da Nazaret arriva l’annuncio della vera liberazione. Commento Vangelo III Domenica Tempo Ordinario Anno C

(…) In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Luca, il migliore scrittore del Nuovo Testamento, sa creare una tensione, una aspettativa con questo magistrale racconto che si dipana come al rallentatore: Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. E seguono le prime parole ufficiali di Gesù: oggi l’antica profezia si fa storia. Gesù si inserisce nel solco dei profeti, li prende e li incarna in sé. E i profeti illuminano la sua vocazione, ispirano le sue scelte: Lo Spirito del Signore mi ha mandato ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo. Da subito Gesù sgombra tutti i dubbi su ciò che è venuto a fare: è qui per togliere via dall’uomo tutto ciò che ne impedisce la fioritura, perché sia chiaro a tutti che cosa è il regno di Dio: vita in pienezza, qualcosa che porta gioia, che libera e dà luce, che rende la storia un luogo senza più disperati. E si schiera, non è imparziale il nostro Dio: sta dalla parte degli ultimi, mai con gli oppressori; viene come fonte di libere vite e mai causa di asservimenti. Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore. Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato della persona, il suo primo sguardo va sempre sulla povertà e sul bisogno dell’uomo. Per questo nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. Non è moralista il Vangelo, ma creatore di uomini liberi, veggenti, gioiosi, non più oppressi. Scriveva padre Giovanni Vannucci: «Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione». La lieta notizia del Vangelo non è l’offerta di una nuova morale, fosse pure la migliore, la più nobile o la più benefica per la storia. La buona notizia di Gesù non è neppure il perdono dei peccati. La buona notizia è che Dio è per l’uomo, mette la creatura al centro, e dimentica se stesso per lui. E schiera la sua potenza di liberazione contro tutte le oppressioni esterne, contro tutte le chiusure interne, perché la storia diventi “altra” da quello che è. Un Dio sempre in favore dell’uomo e mai contro l’uomo. Infatti la parola chiave è “libertà-liberazione”. E senti dentro l’esplosione di potenzialità prima negate, energia che spinge in avanti, che sa di vento, di futuro e di spazi aperti. Nella sinagoga di Nazaret è allora l’umanità che si rialza e riprende il suo cammino verso il cuore della vita, il cui nome è gioia, libertà e pienezza (M. Marcolini). Nomi di Dio.
(Letture: Neemia 8,2-4.5-6.8-10; Salmo 18; 1 Corinzi 12,12-30; Luca 1,1-4; 4,14-21).

di Ermes Ronchi –  Avvenire
vangelo.domenica.parrocchia.s.stefano

Commento al Vangelo Domenica 17 Gennaio 2016 brano Gv 2,1-11

Nell’anno C si legge Luca, ma nella 2ª domenica del tempo ordinario la Chiesa propone sempre, come Vangelo, un testo appartenente alla sezione iniziale di Giovanni.
È quasi un lancio del tempo «per annum». Quest’anno leggiamo le nozze di Cana, che si trova in una collocazione strategica del Vangelo di Giovanni: è messo al termine di una settimana che richiama la settimana della creazione.
È interessante notare questi sette giorni in cui vengono dati a Gesù sette titoli cristologici che saranno ripresi nel Vangelo:

  1. Agnello di Dio
  2. Rabbì
  3. Il Messia
  4. Colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i Profeti
  5. Il Figlio di Dio
  6. Il re d’Israele
  7. Il Figlio dell’uomo

A Cana «Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». Cana è l’inizio dei segni. Il libro dei segni va fino al cap. 12, poi parte il libro dell’ora («È giunta l’ora»). Ma proprio di questa ora si parla qui a Cana: c’è una Donna che fa anticipare l’ora.
Il Vangelo di Giovanni è stato scritto «perché crediamo che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiamo la vita nel suo nome» come dice Giovanni nella prima conclusione del suo Vangelo. E qui a Cana il testo conclude così: «Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». È dunque anticipato tutto nell’evento di Cana. È anticipata la Pasqua. C’è il tono pasquale dalle prime battute: «Il terzo giorno ci fu uno sposalizio a Cana». Sappiamo che cosa significa questa espressione (il terzo giorno, tertia die) per i primi cristiani.
C’è la Donna nuova, perché c’è la creazione nuova. Non dimentichiamo il modo tipico di raccontare di Giovanni. Al di dentro del fatto c’è sempre una notizia teologica. Ricordiamo solo i punti fondamentali. Emerge subito un dato molto importante: Giovanni inquadra tutta la vita pubblica di Gesù tra due scene in cui è presente Maria: Cana e il Golgota. Due scene ecclesiali. A Cana Gesù dà inizio ai segni e manifesta la sua gloria, avviando il cammino di fede dei suoi discepoli. Sul Golgota c’è per Giovanni l’atto di nascita della Chiesa: il modo di descrivere la morte fa supporre l’effusione dello Spirito. Intanto Maria in Giovanni non è chiamata con il suo nome: è la «Madre di Gesù», è la «Donna» della nuova creazione.
Cosa vuol dirci Giovanni con le nozze di Cana? Oggi, in questa 2ª domenica «per annum» c’è il tema nuziale, come si nota anche nella 1ª lettura che è sempre in collegamento con il Vangelo. La 1ª lettura è una specie di Cantico dei Cantici all’interno del Terzo-Isaia.
Ma chi sono gli sposi? I veri sposi di Cana chi sono?
La 1ª lettura dice che il Signore gioisce per Gerusalemme come lo sposo gioisce per la sposa: conosciamo questo magnifico cantico, perché ricorre sovente nell’Ufficio. Gesù è lo sposo. Nozze dunque, ma nozze senza vino: «Non hanno vino» (non: «Non hanno più vino»). Le nozze, il banchetto, e in particolare il vino, nella letteratura biblica sono molte volte elementi messianici.
Il 1° segno avviene sull’acqua che serviva per la purificazione dei giudei (interessante il particolare di tipo religioso). L’acqua non viene sostituita, ma trasformata. La Torah, l’AT non viene sostituito, ma trova il suo «compimento» nel banchetto del Regno.
«Riempite d’acqua le giare». «E le riempirono fino all’orlo». È l’abbondanza dei tempi messianici, come nella moltiplicazione dei pani. Sei giare contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. Dunque 600-700 litri!
«Non hanno vino» dice la Madre. La risposta di Gesù (intraducibile nelle nostre lingue) non è sgarbata, ma indica un rifiuto. Che cos’è avvenuto dunque? Una creatura prevale su Dio! Gesù dice: «Non è ancora giunta la mia ora». E Maria, senza una piega, con molta calma e sicurezza, dice ai discepoli: «Fate ciò che lui vi dirà». C’è un’intesa profonda, segreta, tra Gesù e sua madre che in quel momento diventa potentissima sul cuore del Figlio (per un piano misterioso di Dio!).
Maria è la Chiesa-Sposa, Maria è la Madre, la «Donna della risurrezione», che anticipa i tempi dello Spirito (su di lei la Pentecoste è già avvenuta): capisce la volontà del Figlio, vede il suo cuore, e vede le necessità dell’uomo.
La Chiesa attraverso la Liturgia, attraverso il mistero dell’Eucaristia, vive ciò che è espresso nel mistero di Cana. Quel «vino nuovo» è legato a una obbedienza: «Fate ciò che lui vi dirà». È la parola dominante in questa domenica. La voce di Maria, la Madre, continua ogni giorno a risuonare nel nostro intimo. «Fate ciò che lui vi dirà». A Cana emerge il modo di essere di Maria: l’attenzione, qualità primaria di una vera donna. Maria nei miei confronti è attenta!
Maria ci porta a Gesù, ci prepara ad incontrare Gesù. Pensiamo al ruolo del sabato nella tradizione della Chiesa, come preparazione al Giorno del Signore. Per questo il sabato è un giorno particolare dedicato a Maria.

fonte: http://www.elledici.org/

Commento al Vangelo. Quella voce: tu sei il Figlio, l’amato, il mio compiacimento Battesimo del Signore – Anno C

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
«Viene dopo di me colui che è più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco, vi immergerà nel vento e nel fuoco di Dio. Bella definizione del cristiano: Tu sei “uno immerso” nel vento e nel fuoco, ricco di vento e di fuoco, di libertà e calore, di energia e luce, ricco di Dio.
Il fuoco è il simbolo che riassume tutti gli altri simboli di Dio. Nel Vangelo di Tommaso Gesù afferma: stare vicino a me è stare vicino al fuoco. Il fuoco è energia che trasforma le cose, è la risurrezione del legno secco del nostro cuore e la sua trasfigurazione in luce e calore.
Il vento: alito di Dio soffiato sull’argilla di Adamo, vento leggero in cui passa Dio sull’Oreb, vento possente di Pentecoste che scuote la casa. La Bibbia è un libro pieno di un vento che viene da Dio, che ama gli spazi aperti, riempie le forme e passa oltre, che non sai da dove viene e dove va, fonte di libere vite.
Battesimo significa immersione. Uno dei più antichi simboli cristiani, quello del pesce, ricorda anche questa esperienza: come il piccolo pesce nell’acqua, così il piccolo credente è immerso in Dio, come nel suo ambiente vitale, che lo avvolge, lo sostiene, lo nutre.
Gesù stava in preghiera ed ecco, venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». Quella voce dal cielo annuncia tre cose, proclamate a Gesù sul Giordano e ripetute ad ogni nostro battesimo.
Figlio è la prima parola: Dio è forza di generazione, che come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue.
Amato. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. «Tu ci hai amati per primo, o Dio, e noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera Tu ci ami per primo» (Kierkegaard).
Mio compiacimento è la terza parola, che contiene l’idea di gioia, come se dicesse: tu, figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice. Si realizza quello che Isaia aveva intuito, l’esultanza di Dio per me, per te: «Come gode lo sposo l’amata così di te avrà gioia il tuo Dio» (ls 62,5).
Se ogni mattina potessi ripensare questa scena, vedere il cielo azzurro che si apre sopra di me come un abbraccio; sentire il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento; sentirmi come un bambino che anche se è sollevato da terra, anche se si trova in una posizione instabile, si abbandona felice e senza timore fra le braccia dei genitori, questa sarebbe la mia più bella, quotidiana esperienza di fede.
(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 103; Tito 2,11-14;3,4-7; Luca 3,15-16.21-22).
avvenire
250px-Cima_da_conegliano,_battesimo_di_cristo

Per dirla con Montale: il cristiano è colui che è «agli altri e se stesso amico» perché porta una Parola che non è sua

di Sergio Di Benedetto | 02 gennaio 2016
Per dirla con Montale: il cristiano è colui che è «agli altri e se stesso amico» perché porta una Parola che non è sua (consapevole di non meritarla di doverla maneggiare con cura)

In principio era il Verbo… o meglio la Parola, il Logos, che nella Vulgata venne reso come Verbum (termine che appunto in latino significa parola) e che così poi è rimasto nella traduzione italiana. Dio è Parola e per mezzo della Parola è stato creato il mondo. Una Parola che è «vita», «luce» e «grazia» e che a quanti l’accolgono permette di «diventare figli di Dio».

Serve umiltà, perché non siamo noi a possedere la Parola di Verità, ma Essa ad abitare in noi, se siamo capaci di aprirle la nostra vita. Non ci sono meriti da accampare. L’uomo, da solo, non può che balbettare, come una nota poesia di Eugenio Montale dice chiaramente:

«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Guarda qui una trasposizione video della poesia

Il testo, datato 10 luglio 1923, fa parte della prima raccolta del poeta ligure, Ossi di seppia, edito nel 1925. Credo che le quartine montaliane potrebbero essere messe a fianco del Prologo di Giovanni per stimolarci a riflettere sul dono che la Parola rappresenta per la vita di un cristiano. L’uomo non possiede per sua natura una parola che abbracci il mondo, che dia un senso, che «squadri» il groviglio della vita, apparendo come un croco, giallo ed evidente, in un «polveroso prato». È il limite della creatura, la quale non è capace, da sola, di elaborare una «formula» che possa aprire il mondo; al massimo può arrivare a definizioni negative: «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Questo è dunque l’uomo. Ma qui si innesta la grazia di Dio, perché la «Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». È Lui che abita in noi, che prende dimora in noi, e non il contrario. È bandita ogni superbia, ogni pretesa di usare la Parola per mettere in evidenza se stessi e marcare differenze con coloro che quel Verbo «non l’hanno accolto». Il Vangelo sembra ammonirci: il cristiano non è colui che, per dirla con Montale, «se ne va sicuro» perché è migliore; non è colui che rifiuta di guardare la sua «ombra», quasi non l’avesse; ma è colui che è «agli altri e se stesso amico» perché porta una Parola che non è sua, consapevole di non meritarla e che è da maneggiare con cura, perché «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» e non per mezzo nostro.

È un dono che il tempo natalizio rinnova, insieme alla responsabilità di essere «figli di Dio»: con quel «in principio», eco della Genesi, abbiamo un dono che ci permette di essere creature nuove in una nuova direzione della storia.

avvenire.it