Ucraina. La «paralisi» dell’Onu dura da 28.180 giorni

Il mondo si è fermato 28.180 giorni fa. Da quell’11 febbraio 1945, quando Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin a Jalta hanno ridisegnato il mondo…
La «paralisi» dell'Onu dura da 28.180 giorni

Il mondo si è fermato 28.180 giorni fa. Da quell’11 febbraio 1945, quando Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin a Jalta hanno ridisegnato il mondo, gli equilibri di forza mondiali e la geopolitica. Tutto è cambiato e continua a farlo. È un paradosso, chiamente. Ma non gli strumenti per governare (o tentare di farlo).

osì, dalla fine dell’ottobre dello stesso anno, con la nascita del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i cinque membri permanenti (Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) decidono le sorti dell’umanità. O, per essere più realisti, esercitano un «potere inverso» con il diritto di veto. Sono tutte potenze atomiche, possono tutti distruggere mille volte il pianeta con un clic, ma sono tutti anche paralizzati. Come gli interventi di mantenimento della pace o di risoluzione dei conflitti che dovrebbero applicare. Zelensky, con il suo fare da «scopritore dell’acqua calda» di cui lo accusano i suoi detrattori, lo ha ripetuto. L’impasse è congenita alla struttura di comando, cristallizzata sulle situazioni post belliche e mai modificata nonostante tutti i tentativi di estendere la platea dei membri permanenti, cambiare le regole del diritto di veto.

Un tentativo, compiuto anni addietro, anche dall’Italia con l’ambasciatore Fulci e i suoi “incontri del caffé” per creare un fronte forte che potesse sconvolgere la paralisi. Nulla però si è mosso. Durante la Guerra fredda l’«ambasciatore all’Onu» aveva il compito, per Unione Sovietica o Stati Uniti, di smontare quando abbozzato dalla parte avversa. Ora che la tipologia della Guerra cambia temperatura in continuazione, alla Russia attuale si è associata da tempo la Cina rafforzando quella forza di asse che penalizza ogni tentativo occidentale. Le risoluzioni non decollano, men che meno gli interventi pratici.

Questo crea il mantenimento, se non la crescita, di conflitti latenti. Fa sì che le crisi a «bassa intensità» sfocino in scambi di artiglieria, che i contingenti di pace non possano operare per non diventare a loro volta parti del conflitto. Il peacekeeping è minato da tempo da scandali, mancanza di fondi e scarsità di uomini. L’ingerenza umanitaria è ormai considerata alla stregua di un’invasione armata. E, soprattutto, le agenzie delle Nazioni Unite spesso si trasformano in centri di potere e di clientele. Non sono luoghi comuni, ma consapevolezze di scandali, anche recenti, che hanno minato la credibilità di queste istituzioni. Il mondo non considera una priorità quel Palazzo di Vetro e la riforma delle strutture che non lo fanno risplendere.

Perché in fondo il «potere logora chi non ce l’ha», soprattutto all’interno di un Consiglio di sicurezza dell’Onu blindato. Mentre «assistiamo all’impotenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite», come ha ricordato papa Francesco. Che ha ammesso amaramente che «dopo la Seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, purtroppo non impariamo, ma purtroppo è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti».

Avvenire

L’Arcivescovo di Kiev: “Torturate persone nella chiesa ortodossa di Lukashivka

Rai news

”In questi giorni in Ucraina sono stati  scoperti terribili crimini commessi dagli occupanti. E proprio  domenica vorrei ricordare una circostanza che ha sconvolto tutti i  credenti. Nella regione di Chernihiv, e precisamente nel villaggio  Lukashivka, nella chiesa ortodossa dell’Ascensione del Signore –  monumento di architettura – gli occupanti hanno dislocato la loro  sede, profanando la chiesa ortodossa. Vi hanno interrogato e torturato le persone”. Lo denuncia l’arcivescovo di Kiev nel videomessaggio nel 46 esimo giorno di guerra in Ucraina.

Ucraina-Russia, ambasciatore presso S.Sede: “Kirill sostiene guerra, è dalla parte dei terroristi”

(Adnkronos) – “Dubito che i russi lo ascolteranno, non si fermeranno fino a quando non avranno raggiunto i loro obiettivi”. L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, commenta così l’appello per una tregua a Pasqua rivolto da Papa Francesco durante l’Angelus “un appello per fermare i bombardamenti e le devastazioni che il Pontefice ha già fatto altre volte”. E anche questa volta, prevede il diplomatico parlando con l’Adnkronos, “faranno il contrario, non ci sono prove che i russi siano pronti a sentire gli appelli che arrivano dal Papa come dagli altri leader occidentali”.

“Dubito veramente che Mosca voglia dare seguito a questa richiesta – insiste l’ambasciatore ucraino in Vaticano – La Russia vuole solo raggiungere i suoi obiettivi, Putin deve ottenere almeno una piccola vittoria, è pronto a tutto per poterla esibire alla società russa il 9 maggio”, giorno nel quale Mosca celebra la tradizionale Parata della vittoria per ricordare la sconfitta del nazifascismo nella Seconda guerra mondiale.

Yurash assicura che “i russi non riusciranno a raggiungere alcuno degli obiettivi iniziali che si erano posti, l’unica possibilità che hanno di controllare interamente il nostro Paese è di cacciare o uccidere il 93% degli ucraini, questa è la percentuale di ucraini che sono contro di loro”.

Quanto al patriarca della Chiesa russo ortodossa Kirill non può avere alcun ruolo per la tregua tra Mosca e Kiev, perché lui “è il leader spirituale che sostiene questa guerra, lui sta dalla parte dei terroristi” è l’accusa rivolta dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, commentando con l’Adnkronos l’appello del Papa a “deporre le armi e a iniziare una tregua pasquale” e le dichiarazioni di Kirill, che ha invitato il popolo a unirsi contro “i nemici della Russia”.

“Come il Pontefice desidera la pace e un accordo attraverso il negoziato – sottolinea l’ambasciatore, che individua nei due leader spirituali “il paradigma di due modi diversi di pensare” – così il patriarca è completamente dalla parte dei terroristi, lui è assolutamente e concretamente a favore della guerra, non dice niente per la pace e incoraggia a fare tutto il possibile per una vittoria politica e militare della Russia”. Ma nessun argomento “può giustificare dal punto di vista religioso” la guerra di Mosca contro l’Ucraina.

Yurash conferma all’Adnkronos che i preparativi per una visita del Papa a Kiev, come da lui stesso annunciato nei giorni scorsi, vanno avanti, ma avverte che Mosca cercherà di ostacolarla perché consapevole dell’impatto che avrebbe. “In termini militari non faranno niente, ma hanno paura e faranno di tutto per renderla impossibile” afferma ambasciatore ucraino.

La visita di Francesco nella capitale ucraina, che “è sicura, come ha dimostrato ieri il viaggio del premier britannico Boris Johnson”, sarebbe “il più serio gesto di sostegno al nostro Paese e una grande espressione di solidarietà: sono sicuro che avrebbe un fortissimo impatto sulla pace”.

La cause della guerra secondo papa Francesco: «autocrazia, imperialismi armi»

La cause della guerra secondo papa Francesco: «autocrazia, imperialismi armi».

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Di bandiere ucraine portate dai fedeli che sventolavano in piazza San Pietro durante gli Angelus domenicali del pontefice se ne sono viste parecchie nell’ultimo mese e mezzo, da quando è iniziata la guerra.

Ieri però è stato lo stesso papa Francesco che, al termine dell’udienza generale del mercoledì nell’aula Paolo VI in Vaticano, ha srotolato davanti ai presenti una bandiera ucraina ricevuta in dono.

«Ieri (martedì, per chi legge, ndr), proprio da Bucha, mi hanno portato questa bandiera – ha detto Bergoglio durante i saluti finali –. Questa bandiera viene dalla guerra, proprio da quella città martoriata». Il gesto “fuori protocollo” del pontefice è sottolineato anche dalla prima pagina dell’Osservatore Romano di ieri, che reca una grande foto di Francesco e il titolo: «La bandiera che racconta l’orrore di Bucha».

«Le recenti notizie sulla guerra in Ucraina, anziché portare sollievo e speranza, attestano invece nuove atrocità, come il massacro di Bucha: crudeltà sempre più orrende, compiute anche contro civili, donne e bambini inermi. Sono vittime il cui sangue innocente grida fino al Cielo e implora: si metta fine a questa guerra! Si facciano tacere le armi! Si smetta di seminare morte e distruzione!», ha detto ancora Bergoglio, che ha poi fatto salire accanto a sé cinque bambini ucraini – cinque fratelli di una casa famiglia di Odessa accolti a Cagliari dallo scorso 24 marzo – insieme alla loro mamma.

«Questi bambini – ha proseguito – sono dovuti fuggire e arrivare in una terra straniera: questo è uno dei frutti della guerra. Non dimentichiamoli, e non dimentichiamo il popolo ucraino. È duro essere sradicati dalla propria terra per una guerra».

Dopo qualche prudenza delle prime ore, la denuncia dell’invasione russa dell’Ucraina è stata netta da parte del pontefice, anche se qualcuno ancora lo accusa di filoputinismo o di «generica condanna della guerra e del riarmo», come ha scritto Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera.

D’altro canto però Francesco continua a evidenziare anche le cause strutturali della guerra: gli imperialismi, i nazionalismi, la corsa agli armamenti. Lo ha fatto durante il recente viaggio a Malta, puntando il dito contro le «seduzioni dell’autocrazia» e dei «nuovi imperialismi» e i «grandi investimenti e commerci di armi».

E lo ha fatto nuovamente ieri, nell’udienza generale. «Oggi si parla spesso di geopolitica, ma purtroppo la logica dominante è quella delle strategie degli Stati più potenti per affermare i propri interessi estendendo l’area di influenza economica, ideologica o militare: lo stiamo vedendo con la guerra», «e non solo da una parte, anche da altre», ha detto il pontefice.

«Dopo la seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, ma purtroppo non impariamo, è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti. E, nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza delle Organizzazioni delle Nazioni unite». 

Agli orrori della guerra non si risponde con la guerra

Oggi, sul sito del magistrato Domenico Gallo

«La guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra cultura; […] garantire la pace mondiale dev’essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo molto più importante della scelta tra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo».

Così si esprimeva Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law, scritto nel 1944.

Le immagini e le notizie che ci giungono da Bucha, da Borodyanka, da Irpin, al di là dell’orrore, ci confermano ancora una volta la verità di questo assioma. In questo contesto di assassinio di massa, esistono degli episodi ancora più oltraggiosi che offendono la coscienza dell’umanità intera, oggi Bucha e altri luoghi in Ucraina, ieri My Lay in Vietnam (16 marzo 1968). Ora come allora centinaia di persone innocenti, compresi i bambini e le donne sono state, torturate, stuprate ed uccise. Ha scritto il direttore dell’Avvenire (5 aprile) «Impariamolo una volta per tutte: i corpi straziati di Bucha non sono un’eccezione atroce, sono il volto e il corpo della guerra, Questa è il mostro, e quella è la ferocia. Sempre».

La guerra, ogni guerra scatena sempre una vertigine di atrocità che l’esile barriera del diritto bellico umanitario non riesce a contenere e le atrocità – sia pure con gradi differenti – riguardano tutte le parti coinvolte in questa procedura di assassinio di massa. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). E tuttavia in un’epoca in cui era ancora viva la speranza di costruire un ordine internazionale pacifico, è stato concepito il disegno di una Corte penale internazionale, con lo scopo di rafforzare quelle norme del diritto internazionale che, da Norimberga in poi, interdicono quelle atrocità che turbano profondamente la coscienza dell’umanità (il genocidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità). Lo Statuto della Corte penale internazionale (CPI) non a caso fu firmato a Roma il 17 luglio del 1998 perché all’epoca l’Italia era ancora capace di iniziative autonome nel campo della politica internazionale. Il Trattato è entrato in vigore il primo luglio del 2002, ma non vi hanno aderito gli USA, la Russia, la Cina, la Turchia, Israele, cioè i paesi più a rischio di incorrere nelle sanzioni della Corte. A differenza di altri Paesi, gli Stati Uniti non si sono limitati a non aderire al Trattato, ma si sono attivati per boicottare l’attività della Corte penale internazionale con atti improntati a crescente ostilità nei confronti della CPI, e diretti a interferire con la piena operatività dei suoi organi, a partire dall’ufficio del Procuratore, o a indebolire il sistema di cooperazione tra Stati previsto dalla parte IX dello Statuto di Roma. Tutto ciò al fine di impedire che la Corte giudicasse gli eventuali crimini dalle forze armate americane in Afganistan e quelli commessi da Israele a Gaza.

A questo punto è importante che in Ucraina intervenga un organo di giustizia imparziale come la CPI che conduca sul campo le indagini appropriate per accertare i crimini internazionali, da chiunque commessi, e le responsabilità individuali dei loro autori. L’intervento di una giurisdizione internazionale è indispensabile per evitare che la reazione a questi orrori alimenti vendette o punizioni collettive. A questo riguardo le esternazioni di Biden che qualifica Putin come criminale di guerra e chiede che venga condotto dinanzi ad un Tribunale internazionale non agevolano il lavoro della Corte perché così facendo tolgono autorevolezza agli organi della giustizia internazionale, trasformandoli in meri strumenti dell’offensiva di una parte politica contro un’altra parte. Se gli USA volessero veramente valorizzare la giustizia internazionale per prima cosa dovrebbero ratificare lo Statuto di Roma della CPI, invece che boicottarne l’attività.

Di fronte allo sdegno e all’emozione suscitata dalla diffusione dei filmati e delle informazioni sulle atrocità compiute a danno della popolazione ucraina, cresce la richiesta di inviare armamenti sempre più sofisticati e distruttivi per consentire all’Ucraina di resistere a lungo e logorare le forze armate dell’aggressore e cresce la nostra propensione a partecipare – sia pure indirettamente – al conflitto diventando cobelligeranti. Non è questa la strada giusta. In realtà lo sdoganamento del tabù della guerra è la risposta più sbagliata e controproducente che si possa immaginare per reagire agli orrori che sono sotto i nostri occhi. Bisogna rendersi conto che la punizione di questi orrori non si può compiere attraverso la guerra, cioè attraverso un assassinio di massa perché è proprio la guerra che genera i crimini di guerra. Per questo la guerra va fermata subito, non alimentata, altrimenti «ci renderemo colpevoli della moltiplicazione delle tante Bucha, Mariupol, Mykolaiv… della morte di tante altre donne, uomini, bambini… quei bambini che non ci toglieremo mai più dagli occhi. Mai più…» (Anna Falcone). Il fatto che Biden da Varsavia e poi Stoltenberg ci abbiano avvisato che la guerra sarà lunga, lascia chiaramente intendere che gli USA puntano ad alimentare il conflitto e incoraggiano Zelensky a non accettare nessun compromesso che possa porre termine rapidamente alla guerra. Di fronte all’afasia dei leader dei principali Paesi europei, incapaci di dissociarsi da questa corsa al disastro, deve mobilitarsi la società civile, i popoli europei per chiedere la pace e l’immediata fine del conflitto in Ucraina. Un conflitto mondiale, devastante, definitivo è alle porte, solo la forza dei popoli può impedirci di precipitare in questo baratro della Storia.
adista

A Buzova bombe anche su ospedale e scuola

Sulla strada in cui sono stati trovati i 50 corpi, a Buzova, è stato colpito anche l’ospedale punto di riferimento del villaggio, andato totalmente distrutto, così come la scuola del paese. Lo ha constatato l’inviato dell’Ansa sul posto. Durante i bombardamenti sulla scuola, all’interno dell’edificio c’erano 150 persone – spiega il preside – che si sono tutte salvate correndo nel rifugio sottostante. Non è ancora chiaro se all’interno dell’ospedale, invece, durante l’attacco ci fossero persone.

Un’anziana, Antonina Kaletny, aspetta suo figlio seduta su una sedia davanti alle macerie del palazzo bombardato in cui abitava l’uomo

Ucraina, anziana aspetta il figlio davanti alle macerie: "Forse è riuscito a scappare o è ferito da qualche parte o è ancora lì sotto"

Accade a Borodyanka, cittadina ucraina a nord-ovest di Kiev divenuta tristemente nota da qualche giorno per essere stata teatro di alcuni degli episodi più cruenti della guerra. “Il primo marzo, verso le 21:30, i fascisti del Cremlino sono volati qua sopra e hanno sganciato una bomba. L’appartamento di mio figlio è al terzo piano – spiega la donna all’Afp -. Adesso aspetto che rimuovano le macerie. Forse è riuscito a scappare, forse è ferito da qualche parte o forse è ancora lì sotto: non lo so, non posso dirlo. Non lo sento da un mese”. L’anziana madre, la cui abitazione non è stata colpita durante i combattimenti, osserva i movimenti di ruspe, escavatori e altri mezzi al lavoro pochi metri più in là ancora fiduciosa che il figlio arrivi da un momento all’altro. Svitlana Vodolaha, portavoce della Protezione civile locale, è realista: “Qui i bombardamenti si sono abbattuti tra la fine di febbraio e i primi di marzo. Se qualcuno è ancora sepolto fra le macerie, le possibilità di ritrovarlo vivo sono davvero scarse”.

tgcom24