Riad. Is, primo attacco in Arabia Saudita

È di 3 guardie di frontiera, uccise al confine con l’Iraq, il bilancio provvisorio del “primo attacco” degli jiahdisti sunniti di Isis ad opera di un kamikaze “in Arabia Saudita”, culla del wahabismo, l’interpretazione più severa dell’ilsma sunnita. Attacco in risposta all’adesione di Riad “alla colazione” a guida Usa contro il Califfato, ha specificato il ministero dell’Interno di Riad. Teatro dell’attacco Suwayf nella regione saudita di Arar, al confine con l’Iraq

La zona teatro dell’attentato, è stata conquistata dagli jihadisti sunniti di Is. Sempre il ministero dell’Interno di Riad chiarendo che l’esplosione è stata preceduta da un confronto armato tra le guardie di frontiera saudite, che sono riuscite ad uccidere uno degli aggressori, poco prima che uno di loro riuscisse a far deflagrare la cintura esplosiva che aveva stretta intorno al torace.

L’Arabia Saudita condivide 800 km di confine con l’Iraq ed è considerata una minaccia da Isis (il sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi ha minacciato lo scorso mese Riad in un audio) da quando Riad si è unita alla colazione internazionale a guida Usa che dall’8 agosto, prima in Iraq, e dal 23 settembre in Siria, sta martellando con continui raid aerei le postazioni dello Stato Islamico.

avvenire

Rivoluzione religiosa contro il fanatismo

Il mondo musulmano non può più essere percepito come «fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità». E le guide religiose dell’islam devono «uscire da loro stesse» e favorire una «rivoluzione religiosa» per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una «visione più illuminata del mondo».

Se non lo faranno, si assumeranno «davanti a Dio» la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina. Non ha usato mezzi termini il presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah El Sissi, per condannare il modo drammaticamente sbagliato in cui, a causa di una parte dei suoi membri, l’islam si sta presentando al resto del mondo. Lo ha fatto nel corso di un intervento tenuto all’inizio del nuovo anno davanti a studiosi e leader religiosi dell’università Al Azhar (considerato il principale centro teologico dell’islam sunnita) riuniti insieme ai responsabili del ministero per gli Affari religiosi.

Nel discorso — come riferisce l’agenzia Fides — il presidente egiziano ha preso di mira un «pensiero erroneo», da lui contrapposto a quello dell’autentico islam, fatto di un coacervo di idee e testi che «noi abbiamo sacralizzato nel corso degli ultimi anni» e che conduce l’intera comunità musulmana «a inimicarsi il mondo intero». A giudizio di El Sissi, i processi innescati dalla perversione islamista vanno bloccati. «È mai possibile — ha detto tra l’altro il leader politico arabo — che un miliardo e seicento milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei sette miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile».

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Reggio Emilia: scritte contro i cristiani La Digos in via Agosti

REGGIO EMILIA. Un cartello inquietate. Appeso alla recinzione del campo da calcio di via Agosti, dove abitualmente si allenano le giovanili della Reggiana, ma anche la prima squadra granata. Con un messaggio che, calato nel contesto internazionale attuale, fa paura: «Cristiani buoni solo da morti». E ora, sul caso indaga la Digos.

La notizia è di questi giorni. E arriva poco dopo la Santa Messa, celebrata il giorno dell’Assunta in cattedrale, durante la quale il vescovo Massimo Camisasca aveva invitato i fedeli della altre confessioni a pregare insieme per i cristiani perseguitati.

Il messaggio è di senso opposto. Non una semplice invettiva. Qualcosa di macabro. Che in un momento storico in cui il mondo è alle prese con l’Isis – l’organizzazione terroristica che sta avanzando in Siria e Iraq e che conta reclute straniere – non lascia indifferenti.

Il caso è stato segnalato agli investigatori della Digos, guidati dal dirigente Lucio Di Cicco. Gli accertamenti sono a tutto campo. E partono dall’ipotesi più facile: quello di uno scherzo, una gogliardata, seppure di cattivo gusto. Una teoria che potrebbe essere supportata dal fatto che non ci sono sigle, né altri simboli che facciano identificare chi ha lasciato quel cartello sulla rete del campo sportivo.

D’altro canto, però, il tono del messaggio merita la giusta attenzione e tutte le verifiche che saranno necessarie, per capire chi e perché abbia lasciato quel cartello, nel cuore del quartiere di Santa Croce.

Per questo, gli uomini della Digos dopo aver sequestrato il cartello in questione – non risulta infatti che ne siano stati rinvenuti altri dello stesso tono né in zona, né in altre parti della città – da ieri hanno deciso di procedere con gli approfondimenti del caso. (el.pe)

Gazzetta di Reggio

notizie

Islam: al via pellegrinaggio Mecca

(ANSA) – LA MECCA (ARABIA SAUDITA), 13 OTT – Circa due milioni di musulmani hanno cominciato oggi a riunirsi a Mina, vicino alla città santa della Mecca, all’inizio dell’Haji, il pellegrinaggio annuale. Il ministro della salute saudita, Abdallah al Rabia, ha rassicurato sul fatto che nessun caso di contagio da coronavirus Mers è stato registrato tra i pellegrini: il virus ha già mietuto 60 morti nel mondo, di cui 51 solo in Arabia saudita.

Il Papa ai musulmani: formare i giovani al rispetto dell’altro

Con un gesto che ha un solo precedente papa Francesco ha firmato personalmente il tradizionale messaggio ai musulmani per la fine del Ramadan. È dal 1967 che dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso viene emesso questo tipo di testo. E finora soltanto nel 1991 Giovanni Paolo II lo inviò personalmente. Quest’anno lo ha fatto anche papa Bergoglio che ha deciso di incentrarlo sul tema «La promozione del mutuo rispetto attraverso l’educazione».
Rivolgendosi «ai musulmani del mondo intero», il Pontefice afferma che «Rispetto significa un atteggiamento di gentilezza verso le persone per cui nutriamo considerazione e stima». E «mutuo significa che questo non è un processo a senso unico, ma qualcosa che si condivide da entrambe le parti». Applicando poi il principio del mutuo rispetto in particolare tra cristiani e musulmani, papa Francesco rileva che tutti «siamo chiamati a rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori» e a manifestare «uno speciale rispetto» ai «capi religiosi e ai luoghi di culto». Poiché, aggiunge, «quanto dolore arrecano gli attacchi all’uno o all’altro di questi!». E in questo quadro risulta fondamentale trasmettere questa consapevolezza ai giovani. Scrive papa Bergoglio: «Dobbiamo formare i nostri giovani a pensare e parlare in modo rispettoso delle altre religioni e dei loro seguaci, evitando di mettere in ridicolo o denigrare le loro convinzioni e pratiche».
Papa Francesco ha già mostrato la sua particolare attenzione per il dialogo con il mondo islamico. Con la spontaneità che lo contraddistingue. Lo scorso 8 luglio a Lampedusa, ad esempio, all’inizio dell’omelia, aveva detto: «Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie».
Questa speciale attitudine del pontefice è stata commentata ieri sulla Radio Vaticana dal cardinale Jean-Louis Tauran presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Riguardo al fatto che il documento sia firmato personalmente dal Pontefice il porporato ha detto che «è un’iniziativa tutta sua, personale». «Credo – ha aggiunto – che con essa egli abbia voluto manifestare il grande rispetto che ha per i fedeli dell’islam. Io ricordo, per esempio, che qualche anno fa egli aveva inviato un sacerdote dell’arcidiocesi di Buenos Aires al Cairo per studiare l’arabo, perché voleva una persona che fosse capace, che fosse ben formata in particolare per il dialogo con l’islam. Così, in questo suo primo anno di pontificato e nel contesto attuale, ha voluto indicare chiaramente che il dialogo interreligioso, e in particolare il dialogo con l’islam, rappresenti una delle priorità del suo ministero». Il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso ha poi sottolineato come nel dialogo con l’islam «papa Francesco si inserisca sulla scia di papa Benedetto XVI». «Non bisogna dimenticare, infatti, – ha proseguito – che papa Francesco succede ad un Papa che credo sia stato il Papa che, in questo secolo, ha più parlato di islam; un Papa che ha visitato tre moschee … Credo quindi che Francesco sia determinato a seguire questa linea di collaborazione mutua, di desiderio – nonostante le difficoltà – di conoscersi meglio. Più la situazione è difficile e più è necessario parlare: credo ce questa sia una costante ed una convinzione radicata in questo Papa, come lo era nel suo predecessore».
Il cardinale Tauran ha infine evidenziato come papa Bergoglio fin dal «primo giorno del suo pontificato, quando ha ricevuto una delegazione di musulmani, è stato estremamente cordiale». «Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un’altra delegazione, e anche in questa occasione è stato estremamente cordiale», ha aggiunto. «Tutti sono colpiti dalla sua semplicità: ma questo non significa che sia “naïf”», ha spiegato il porporato. E ha proseguito «È chiaramente consapevole delle difficoltà, ma lui è gentile; ovviamente è preoccupato di non dimenticare i cristiani che soffrono in alcuni Paesi a maggioranza musulmana, senza dimenticare peraltro quei musulmani che a volte sono fatti oggetto di discriminazione in altri Paesi».

 

Gianni Cardinale – avvenire.it

La Chiesa nello “specchio” della stampa araba

Una ricerca dell’Università Santa Croce mostra una sorprendente attenzione per la comunità ecclesiale, ascoltata anche se rappresentata con qualche stereotipo
Alessandro Speciale
Città del Vaticano – vaticainsider

Una presenza significativa e ascoltata, anche se rappresentata a volte con qualche stereotipo: è l’immagine della Chiesa e dei cristiani sui giornali del mondo arabo, analizzata da Samar Messayeh nella sua tesi di dottorato in Comunicazione istituzionale presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Lo studio analizza 1371 articoli pubblicati tra il novembre 2007 e l’aprile 2008, in 18 giornali in lingua araba di 18 Paesi appartenenti alla Lega Araba, dal Marocco alla Siria, dall’Egitto all’Arabia Saudita. Ne emerge un quadro sicuramente più articolato, e per certi versi sorprendente, della rilevanza pubblica della Chiesa in una parte del mondo dove spesso in Occidente i cristiani ‘fanno notizia’ solo perché oggetto di violenza e persecuzione.

Lo studio rivela, ancora una volta, il ruolo centrale della minoranza cristiana nella cultura araba – un ruolo che non a caso viene da lontano: le prime tipografie del Medio Oriente sono state introdotte dai cristiani nel 1610 e il primo arabo a fondare un giornale in arabo è stato un cristiano.

Nella povertà di mezzi e di libertà del giornalismo della regione, “la Chiesa – sintetizza Messayeh – fa notizia”, e le parole e i gesti del papa vengono spesso seguiti con attenzione. Naturalmente, i cristiani hanno più spazio in quei Paesi dove sono una minoranza forte, mentre il dialogo islamo-cristiano – in modo forse un po’ “ipocrita e sterile”, osserva la ricercatrice – viene messo in risalto i Paesi, come quelli del Golfo, dove non ci sono comunità cristiane “visibili”.

Naturalmente, non mancano gli stereotipi: ci sono quelli di carattere storico – che leggono la Chiesa all’insegna di crociate, inquisizione e potere temporale – e quelli più caratteristicamente ‘arabi’, che tendono ad identificare i cristiani con l’Occidente.

Sfortunatamente, lo studio di Messayeh – una cristiana irachena che non nasconde le critiche alla sua “terra martirizzata” – è stato compilato prima dell’esplosione della ‘primavera araba’ in molti dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

In questo senso, il riguardo istituzionale nei confronti della Chiesa può essere considerato almeno in parte una conseguenza delle direttive dei regimi dittatoriali, attenti a censurare ogni possibile focolaio di tensione interno; allo stesso tempo, viene riconosciuto “il ruolo della Chiesa nel difendere i valori umani e la pace” e, in qualche raro caso, dal confronto con la Chiesa emergono persino degli spunti di “autocritica” per l’islam e per le società dei Paesi arabi.

È il caso, ad esempio, di un articolo comparso nel gennaio 2008 su Al Ittihad, quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, con il titolo “Il risveglio islamico”. L’autore, analizzando il ruolo dell’islam politico, presumibilmente alla luce dell’immobilismo che allora sembrava bloccare le società arabe, ipotizza nel futuro il pericolo che “accada nell’Islam come nel Cristianesimo”, con la Chiesa chiamata a pagare anche per “crimini… che non ha commesso”.

“Si avverte qua e là nei giornali esaminati l’eco di una esigenza di cambiamenti politici, cambiamenti più di stampo laico che religioso”, scrive Messayeh. Molte volte il riferimento è al processo di separazione tra Stato e Chiesa in Occidente, sia come modello da “imitare” che come occasione per rimarcare la “diversità della società arabo-mussulmana”.

Quanto accaduto negli anni successivi la ricerca, mostra come queste due diverse tendenze fossero entrambe forti, e si confrontino adesso apertamente, al di fuori della concordia fittizia imposta dai regimi. “prese in considerazione. “Una volta consolidati i cambiamenti attuali – conclude giustamente Messayeh – sarebbe interessante vedere se ci sono anche cambiamenti nel modo in cui la stampa parla della Chiesa”.

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L’uomo della pace. Il vero volto dell’islam non corrisponde a quello mostrato dai fondamentalisti

di Mario Ponzi

Il vero volto dell’islam non corrisponde a quello mostrato dai fondamentalisti. Il credente musulmano è prevalentemente un moderato e, grazie alla sua religiosità, riesce a intuire se un interlocutore viene a parlare in nome di Dio o a propagandare idee vuote. Così ha detto tra l’altro, in un’intervista al nostro giornale, l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, esprimendo una convinzione che ha avuto evidente conferma nell’interesse e nel rispetto con cui i capi musulmani hanno accolto Benedetto XVI in Libano. Nell’intervista il presule – che come di consueto ha accompagnato il Pontefice nel viaggio – ha anche insistito sul coraggio del Papa in un contesto difficile e drammatico come quello attuale.

Le giornate libanesi di Benedetto XVI saranno ricordate per più di un motivo. Avendole vissute così da vicino, che percezione ne ha avuto?

Si è trattato di un viaggio storico. Così come storico è stato quello in Terra Santa nel 2009. In questa occasione poi, il Papa ci ha dato un esempio di coraggio davvero impressionante. Con l’aggravarsi della situazione in Siria e il montare delle manifestazioni violente in altri Paesi vicini, si sarebbe potuto pensare che la scelta più logica e di buon senso fosse l’annullamento del viaggio in Libano. Invece Benedetto XVI, come ha esplicitamente dichiarato ai giornalisti che lo hanno accompagnato, non ha mai pensato di rinunciare al suo progetto, convinto che rischi e pericoli non debbano essere di ostacolo a chi porta l’annuncio della pace e del Vangelo. Con la sua determinazione ci ha dato così un esempio e un insegnamento chiarissimi.

L’attenzione, la simpatia e l’affetto che cristiani e musulmani, insieme, hanno dimostrato al Pontefice in terra libanese, come si conciliano con quanto sta accadendo in Medio Oriente e in altri Paesi?

Se era scontato l’affetto dei cristiani, non altrettanto si poteva prevedere per i musulmani. A colpire infatti è stata l’accoglienza calorosa, e certo non di maniera, che al Papa hanno riservato proprio i capi musulmani e molti credenti dell’islam. Come spiegarlo? Sono convinto, anche per l’esperienza diretta che ho vissuto con i musulmani in Sudan, di una realtà: il volto autentico dell’islam non corrisponde a quello rappresentato dai fondamentalisti. Il credente musulmano autentico è di per sé moderato e, proprio grazie alla sua religiosità, è capace di intuire se qualcuno viene in nome di Dio o se è un propagatore di idee vuote. E i musulmani libanesi hanno capito immediatamente che Benedetto XVI veniva in nome di Dio. Ripenso a quanto mi disse un ambasciatore islamico di un Paese dell’Africa settentrionale nel 2009 alla vigilia della visita di Benedetto XVI in Angola: “Si ricordi che il Papa non è solo il padre dei cattolici, ma di tutta l’umanità. Per questo siamo contenti anche noi musulmani di poterlo vedere e ascoltare: egli è l’uomo della pace”.

Tenuto conto dell’accoglienza avuta dall’esortazione post-sinodale e dal messaggio deciso e forte di Benedetto XVI, quali conseguenze potrà avere il viaggio papale?

Entriamo nella logica del Vangelo: si getta il buon seme e poi con pazienza si attende che si sviluppi. La visita del Pontefice ha dato spunto – ne sono certo – per una profonda riflessione ai responsabili politici e anche alla gente semplice. Significativi, in proposito, molti editoriali dei giornali libanesi: erano ispirati ad ammirazione per la chiarezza delle parole del Papa e per il suo coraggio impressionante. In questo modo si cominciano a creare una mentalità e una cultura della pace che prima o poi daranno frutti.

E la Chiesa cattolica in Medio Oriente saprà riscoprire la forza della comunione, come ha chiesto Benedetto XVI?

I cristiani hanno ricevuto da Gesù il metodo più efficace per convertire il mondo: “Siate uno, come io e il Padre siamo uno… da questo sapranno che siete miei discepoli”. Se tutti i cristiani nel Medio Oriente come in Occidente dessero più valore concreto e quotidiano a questa consegna, forse tanti problemi che viviamo verrebbero risolti più facilmente e non perderemmo tempo in dispute o nella ricerca di sofisticate iniziative pastorali per attrarre la gente in chiesa.

Qual è stato, nei giorni trascorsi in Libano, il momento che lei ha vissuto più intensamente?

Sono state tutte giornate esaltanti e significative. In particolare, però, sono rimasto fortemente impressionato dagli applausi ripetuti e prolungati dei giovani, che hanno sottolineato vari passaggi del discorso del Papa, quasi volessero significare la loro piena adesione alle sue parole. Benedetto XVI non offriva frasi di circostanza o di semplice consolazione, ma li invitava a essere seguaci autentici di Cristo, pronti ad andare controcorrente nel testimoniare la fedeltà al Vangelo; ma soprattutto pronti a mettere Dio al primo posto tra le scelte quotidiane e a vedere nel vicino un fratello, a qualsiasi razza o religione appartenga. Sono questi i capisaldi della civiltà dell’amore e della pace.

(©L’Osservatore Romano 21 settembre 2012)