La svolta. Spose bambine, il Pakistan si muove: nozze solo dopo i 18 anni

Una bimba di 7 anni nel retro di un camion dopo il matrimonio in India (foto archivio Ap)

Avvenire

Lunedì scorso, dopo oltre tre mesi dalla presentazione, il Senato del Pakistan ha approvato una legge che di fatto emenda quella che ha finora regolato le questione matrimoniale e prevedeva un’età minima di 16 anni per l’unione legale. Il limite è ora esteso a 18 anni, in sintonia con una sensibilità in evoluzione ma anche con le legislazioni di diversi altri Paesi musulmani, tra cui Turchia, Egitto e Bangladesh.

Il provvedimento, che esplicitamente «riduce il rischio del matrimonio infantile prevalente nel Paese e salva la donna dallo sfruttamento», era stato proposto a gennaio dalla senatrice Sherry Rehman, da tempo finita nel mirino dei fondamentalisti per la sua posizione critica verso la legge antiblasfemia al punto da essere stata costretta nel 2011 a lasciare il Paese, assegnata dall’allora partito di governo, il Pakistan People Party che in passato fu di Benazir Bhutto, alla sede delle Nazioni Unite a New York come ambasciatrice e in seguito indagata proprio per blasfemia.

Le pene previste per i trasgressori prevedono fino a tre anni di prigione e un’ammenda di almeno 100mila rupie (630 euro). Un severità che ha trovato un Senato pressoché compatto con soli cinque voti contrari alla legge su 104, ma con l’astensione del partito di governo il Pakistan Tehreek-e-Insaf. La forte opposizione islamista al provvedimento rischia di rendere la misura almeno in parte inefficace e il suo passaggio all’Assemblea nazionale per la definitiva approvazione quanto meno arduo. Se la posizione dei sostenitori è di rendere coerente l’età minima per il matrimonio con i 18 anni necessari a ottenere una carta d’identità nazionale, gli oppositori segnalano un possibile contrasto con la legge coranica (che consente il matrimonio dalla pubertà) e la mancanza di consultazione con i leader religiosi islamici.

Il matrimonio tra una 12enne e un 14enne in India (foto archivio Ap)

Il matrimonio tra una 12enne e un 14enne in India (foto archivio Ap)

Alla sua presentazione all’Assemblea martedì, anche due ministri, quello per gli Affari religiosi e quello per gli Affari parlamentari hanno votato contro, come già avevano fatto al Senato, e chiesto di chiedere un parere del Consiglio per l’Ideologia islamica anziché discuterlo in sede di commissione. A chiarire le difficoltà della sua discussione, il fatto che al dibattito introduttivo della legge all’Assemblea nazionale il 30 aprile, solo il Pakistan People Party ha votato compatto per la discussione del provvedimento, mentre tutti gli altri gruppi presenti nell’assemblea si sono divisi sulla sua opportunità.

Il confronto sull’età matrimoniale ha per le minoranze un’ulteriore valenza. Se approvato l’innalzamento a 18 anni, si negherebbe ulteriore legittimità ai matrimoni forzati in età minorile che sono un incubo per le giovani donne di fede cristiana, indù e ahmadiyya. La conversione, infatti, rende vano ogni impegno a far rientrare la “sposa” nella famiglia d’origine, salvo sia stata provata la costrizione al passaggio all’islamismo, ma la conversione non è abitualmente considerata valida anche dai tribunali islamici se al di fuori dell’età legale.

Alzare questa età in sostanza rende reato ogni imposizione al matrimonio per donne al di sotto dei 18 anni. A confermarlo anche Nasir Saeed, a capo del Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (Claas), organizzazione impegnata nella difesa dei cristiani perseguitati in Pakistan: «L’approvazione della legge è molto positiva, tuttavia la sua attuazione sarà altrettanto importante e se il governo mancherà di renderla efficace come stato in passato per altre leggi, pochi ne beneficeranno. In particolare tra le minoranze, dove è radicata la paura che le loro figlie vengano rapite, costrette alla conversione e a sposare contro la propria volontà i sequestratori».

Una professoressa di teologia islamica a Lucerna

LUCERNA – L’Università di Lucerna ha annunciato oggi la nomina di una professoressa assistente di teologia islamica. Si tratta della giordana Rana Alsoufi, nata nel 1982 ad Amman.

La professoressa assumerà l’incarico il primo settembre prossimo nell’ambito del previsto nuovo Centro per la teologia comparata, la cui istituzione era stata annunciata nel luglio 2016 e che studierà in particolare similitudini e differenze tra cristianesimo, ebraismo e Islam. La data di entrata in esercizio del centro non è tuttavia ancora stata definita, secondo un portavoce dell’ateneo.

Secondo quanto già indicato un anno fa, il posto di professore assistente di teologia islamica è previsto per un periodo limitato a cinque anni e sarà interamente finanziato da una istituzione esterna, loStifterverband für die Deutsche Wissenschaft, che promuove formazione e scienza ed è a sua volta finanziata da imprese e fondazioni.

Rana Alsoufi, indica un comunicato odierno dell’università, ha studiato in Giordania e in Scozia, concludendo il suo dottorato a Edimburgo nel 2012. Dal 2013 insegna in Germania all’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga. La sua specialità di ricerca è il diritto islamico nel contesto delle moderne teorie del diritto e del dialogo interreligioso, precisa la nota.

La teologia comparata consente “una migliore comprensione della propria e delle altre religioni” e il nuovo centro mira a migliorare il dialogo fra le tre religioni abramitiche, rilevava l’ateneo lucernese un anno fa, evidenziando come la teologia islamica abbia attualmente un’attenzione di rilievo.

Al momento – sottolineava l’Università di Lucerna non ci sono altre offerte in Svizzera per quanto riguarda la teologia comparata, impostazione di metodo sviluppata da tempo negli Stati Uniti. Nei paesi tedescofoni – precisava – offrono simili possibilità di studi le università di Paderborn in Germania e Salisburgo in Austria.

cdt.ch

La fede, i martiri e la fine del regime in Albania

La visita che papa Francesco ha compiuto a Tirana il 21 settembre 2014 continua a produrre i suoi benefici effetti anche a distanza di tempo. Quel giorno Mimmo Muolo era a Tirana, inviato da Avvenire a seguire il Papa, e ha visto di persona l’abbraccio tra il Pontefice e l’anziano sacerdote don Ernest Simoni ( Troshani), che insieme con la religiosa stimmatina suor Marije Kaleta, avevamo scelto come testimoni della fede per raccontare il terribile martirio della nostra Chiesa sotto la dittatura comunista. Don Ernest Simoni è una figura unica, una ricchezza immensa per la Chiesa di Albania, in particolare per la diocesi di Scutari-Pult: l’unico sacerdote testimone e vittima della persecuzione comunista ancora vivente. Alla sua persona sono legato anche da motivi personali.

È nato a Troshan (Lezhë) dove io sono stato parroco, quando venni mandato come missionario in Albania. In un certo senso, anche se l’epoca e il contesto erano diversi, ho ripercorso le sue orme, ho respirato il clima della sua primissima formazione umana e familiare, sono entrato nei luoghi e negli ambienti a lui più cari. Questo fatto lo avvicina ancor di più al mio cuore di vescovo e di pastore. In quel periodo ho avuto modo di conoscere e condividere la fraternità con altri due religiosi francescani, padre Leon Kabashi e padre Konrad Gjolaj (l’uno è stato in carcere, l’altro ai lavori forzati) e ho vissuto con loro quattro anni. Anche mettersi a servizio di questi fratelli, curarli e aiutarli è stata un’esperienza di grande intensità spirituale e umana. Posso dire, perciò, di aver vissuto, in un certo senso, con i martiri e questo per me è un dono di inestimabile valore di cui rendo grazie ogni giorno a Dio.

Oggi la situazione in Albania è profondamente cambiata. In occasione della visita del Papa c’è stata una grande collaborazione, anche a livello economico, con gli organi dello Stato, col sindaco di Tirana e la municipalità. Molti imprenditori e tanti semplici fedeli hanno offerto il proprio contributo. Ma don Ernesto ci aiuta a non dimenticare una pagina che, sebbene risalga a pochi decenni fa, rischia di cadere nell’oblio, so- prattutto sotto l’incalzare di un certo secolarismo che, viaggiando insieme allo sviluppo economico, comincia ad affacciarsi anche nella società albanese.

La memoria dei martiri, invece, è e deve restare la nostra vita, la linfa vivificante del corpo ecclesiale. Il sangue da essi versato è alimento per lo sviluppo della fede e della comunità. Per questo abbiamo accelerato i tempi di lavoro (per quanto dipende da noi) dell’iter del processo di beatificazione e canonizzazione di 38 martiri del periodo comunista. Nell’attesa di poterli iscrivere anche ufficialmente nel glorioso libro dei Santi e dei Beati abbiamo celebrato nel novembre del 2015 il 25° anniversario della prima Messa, che sancì, potremmo dire, l’inizio della fine del regime comunista.

Fu quello un momento speciale per la nostra Chiesa e per il popolo albanese: quel 4 novembre 1990, infatti, nel Cimitero cattolico di Scutari, don Simon Jubani con altri organizzatori, sacerdoti e laici, celebrò la santa Messa: c’erano solo poche centinaia di fedeli, perché molti ebbero paura di rappresaglie. Ma, visto che ne erano usciti indenni da quell’eroico gesto in quel giorno storico (in quanto dal 1967 non si celebrava in pubblico, perché vietato dal regime), la domenica successiva, l’11 novembre accorsero in 50 mila per partecipare all’Eucaristia. Su quell’esempio, il 16 novembre 1990 anche i musulmani si ripresero la Moschea cosiddetta “di Piombo”. La storia narrata in questo libro (la prigionia, i lavori forzati e quanto don Ernest ha fatto dopo la caduta del regime) ci aiuta a ricostruire tutto questo: il clima di quegli anni bui e la rinascita. Don Ernest, esemplare nella sua sofferente fedeltà a Gesù, è una guida sicura per capire ciò che è veramente accaduto.

Una testimonianza che, nell’Anno Santo della Misericordia, acquista un ulteriore profilo di attualità e importanza. Don Ernest ha perdonato i suoi aguzzini. Non conserva rancore. Prega per loro e dice che la misericordia del Padre celeste è così grande che spera possa comprendere anche chi, magari nel segreto della sua coscienza, si è pentito della violenza e dei soprusi compiuti in quegli anni. Questo, tra l’altro, è un atteggiamento che non ha avuto solo il protagonista di questo volume. Da nessuno dei sopravvissuti con i quali ho avuto la fortuna di vivere ho mai sentito una parola di odio contro i persecutori; mai hanno cercato la vendetta.

E anche noi, Conferenza episcopale albanese, quando abbiamo chiesto alle autorità statali l’accesso ai documenti segreti, abbiamo precisato che non eravamo alla ricerca dei nomi dei colpevoli, ma delle circostanze in cui il martirio era maturato; per cui quei nomi avrebbero potuto anche essere sostituti da degli omissis. Un giorno, mentre eravamo a tavola, a un frate che era stato in carcere, qualcuno un po’ provocatoriamente chiese: «Ma se quando andrai in paradiso, vi dovessi trovare Henver Hoxha, (il dittatore albanese), che faresti?». Lui, senza scomporsi, rispose: «Il paradiso è abbastanza grande per tutti: io a un angolo e lui all’altro!».

Avvenire

Bangladesh, ucciso il blogger anti Islam

Lo scrittore e blogger bengalese naturalizzato negli Usa Avijit Roy è stato ucciso ieri sera da due sconosciuti a Dacca dove aveva appena visitato la locale Fiera del libro insieme alla moglie, Rafida Ahmed Banna, rimasta seriamente ferita. Lo riferisce oggi il portale di notizie BdNews24. Testimoni oculari hanno riferito che Roy, 42 anni e conosciuto per la sua attiva condanna del fondamentalismo islamico, si stava allontanando verso le 21,30 a bordo di un risciò a motore dalla Amar Ekushey Book Fair quando è stato bloccato da due uomini armati di machete che lo hanno gettato al suolo e gravemente ferito alla testa. Nella colluttazione è intervenuta anche la moglie dello scrittore, che a sua volta è stata ferita, perdendo anche il dito di una mano. Trasportato in ospedale e sottoposto ad immediato intervento chirurgico, Roy è deceduto in sala operatoria.

Fondatore del popolare blog Mukto-mona, era anche autore di alcuni volumi, fra cui ‘Biswaser Virus’ (Il virus della fede) e ‘Sunyo theke Mahabiswà (Dal vuoto al grande mondo) che stigmatizzano l’azione dei gruppi islamici più radicali. Anche per questi lavori aveva ricevuto ripetute e gravi minacce

avvenire.it

Avijit Roy

Il movimento tedesco Pegida (acronimo di Europei patriottici contro l‘islamizzazione dell‘Occidente) ”prende piede in Svizzera”. Allarme dei cattolici

Questo l’allarme che lancia il portale cattolico svizzero kath.ch. Partito da Dresda, in Germania nel mese di ottobre, il movimento popolare si fregia dei colori della bandiera tedesca e invita i cittadini di numerose città della Germania a “passeggiare” per le città al ritmo di slogan anti-islamici. Ora anche in Austria, Svizzera e in Olanda il movimento si sta organizzando, cambiando i colori delle bandiere, ma non gli slogan xenofobi. Il movimento radicale viaggia attraverso la rete dove raccoglie migliaia di consensi. Il gruppo svizzero Pegida, costituitosi ufficialmente il 9 gennaio, organizza la sua prima manifestazione per il 16 febbraio prossimo. Il portale cattolico svizzero ripropone oggi una intervista al vescovo tedesco di Magdeburgo Gerhard Feige: Pegida non è “espressione della nostra fede cristiana” anche se i suoi sostenitori passeggiano “con croci nere-rosse-gialle e vogliono salvare l’occidente cristiano: mi sembra invece una cosa macabra”, afferma il vescovo. Per ogni gruppo Pegida che nasce, sorge però anche un gruppo no-Pegida: il profilo Facebook svizzero di Pegida, in pochi giorni sta viaggiando verso quota 3.400 ‘mi piace’, mentre il movimento “No Pegida Svizzera” per “dire no alla xenofobia” ha superato i 4100 sostenitori.

chiesa.islam

Strage al giornale, Parigi scende in piazza

Uccisi tra gli altri il direttore e lo storico vignettista. Nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi in azione un commando con i kalashnikov. I killer poi sono fuggiti uccidendo due agenti. I feriti sono 11, di cui 4 gravi. Drammatiche immagini (GUARDA IL VIDEO). Hollande: massima allerta in tutta la regione di Parigi. Si fa strada l’ipotesi di un attentato di matrice islamica. Manifestazioni nella capitale. FOTO
LE VITTIME L’ultimo fumetto del direttore: «Finora nessun attentato»
LA SCHEDA Un giornale satirico contro tutti
Alfano convoca il Comitato per la sicurezza
Colpita la libertà di espressione, l’Europa risponda di Andrea Lavazza

avvenire.it