La Chiesa nello “specchio” della stampa araba

Una ricerca dell’Università Santa Croce mostra una sorprendente attenzione per la comunità ecclesiale, ascoltata anche se rappresentata con qualche stereotipo
Alessandro Speciale
Città del Vaticano – vaticainsider

Una presenza significativa e ascoltata, anche se rappresentata a volte con qualche stereotipo: è l’immagine della Chiesa e dei cristiani sui giornali del mondo arabo, analizzata da Samar Messayeh nella sua tesi di dottorato in Comunicazione istituzionale presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Lo studio analizza 1371 articoli pubblicati tra il novembre 2007 e l’aprile 2008, in 18 giornali in lingua araba di 18 Paesi appartenenti alla Lega Araba, dal Marocco alla Siria, dall’Egitto all’Arabia Saudita. Ne emerge un quadro sicuramente più articolato, e per certi versi sorprendente, della rilevanza pubblica della Chiesa in una parte del mondo dove spesso in Occidente i cristiani ‘fanno notizia’ solo perché oggetto di violenza e persecuzione.

Lo studio rivela, ancora una volta, il ruolo centrale della minoranza cristiana nella cultura araba – un ruolo che non a caso viene da lontano: le prime tipografie del Medio Oriente sono state introdotte dai cristiani nel 1610 e il primo arabo a fondare un giornale in arabo è stato un cristiano.

Nella povertà di mezzi e di libertà del giornalismo della regione, “la Chiesa – sintetizza Messayeh – fa notizia”, e le parole e i gesti del papa vengono spesso seguiti con attenzione. Naturalmente, i cristiani hanno più spazio in quei Paesi dove sono una minoranza forte, mentre il dialogo islamo-cristiano – in modo forse un po’ “ipocrita e sterile”, osserva la ricercatrice – viene messo in risalto i Paesi, come quelli del Golfo, dove non ci sono comunità cristiane “visibili”.

Naturalmente, non mancano gli stereotipi: ci sono quelli di carattere storico – che leggono la Chiesa all’insegna di crociate, inquisizione e potere temporale – e quelli più caratteristicamente ‘arabi’, che tendono ad identificare i cristiani con l’Occidente.

Sfortunatamente, lo studio di Messayeh – una cristiana irachena che non nasconde le critiche alla sua “terra martirizzata” – è stato compilato prima dell’esplosione della ‘primavera araba’ in molti dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

In questo senso, il riguardo istituzionale nei confronti della Chiesa può essere considerato almeno in parte una conseguenza delle direttive dei regimi dittatoriali, attenti a censurare ogni possibile focolaio di tensione interno; allo stesso tempo, viene riconosciuto “il ruolo della Chiesa nel difendere i valori umani e la pace” e, in qualche raro caso, dal confronto con la Chiesa emergono persino degli spunti di “autocritica” per l’islam e per le società dei Paesi arabi.

È il caso, ad esempio, di un articolo comparso nel gennaio 2008 su Al Ittihad, quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, con il titolo “Il risveglio islamico”. L’autore, analizzando il ruolo dell’islam politico, presumibilmente alla luce dell’immobilismo che allora sembrava bloccare le società arabe, ipotizza nel futuro il pericolo che “accada nell’Islam come nel Cristianesimo”, con la Chiesa chiamata a pagare anche per “crimini… che non ha commesso”.

“Si avverte qua e là nei giornali esaminati l’eco di una esigenza di cambiamenti politici, cambiamenti più di stampo laico che religioso”, scrive Messayeh. Molte volte il riferimento è al processo di separazione tra Stato e Chiesa in Occidente, sia come modello da “imitare” che come occasione per rimarcare la “diversità della società arabo-mussulmana”.

Quanto accaduto negli anni successivi la ricerca, mostra come queste due diverse tendenze fossero entrambe forti, e si confrontino adesso apertamente, al di fuori della concordia fittizia imposta dai regimi. “prese in considerazione. “Una volta consolidati i cambiamenti attuali – conclude giustamente Messayeh – sarebbe interessante vedere se ci sono anche cambiamenti nel modo in cui la stampa parla della Chiesa”.

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