Elezioni: quasi 5 milioni al voto

(ANSA) – ROMA, 03 MAR – Sono circa 5 milioni i cittadini del Lazio che nella giornata di domani, dalle 7 alle 23, saranno chiamati alle urne per votare alle Politiche e alle Regionali.
Gli elettori della Camera sono 4.392.974, gli elettori del Senato 4.052.525; per le Regionali potranno invece votare 4.786.082 cittadini. Il numero degli elettori è più alto per le Regionali rispetto alle Politiche perché da quest’ultimo vanno scorporati gli elettori all’estero: la legge non prevede infatti il voto per le Regionali da fuori dall’Italia. Le sezioni del Lazio sono 5.285, la maggior parte – 3775 – in provincia di Roma, di cui 2600 a Roma città. Nella Capitale e in provincia di Roma gli elettori della Camera sono 3.183.363, quelli del Senato 2.938.482; per le Regionali gli elettori sono 3.484.314. A Roma gli elettori della Camera sono 2.086.430, quelli del Senato 1.930.272; per le Regionali potranno votare infine 2.358.890 romani.

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Elezioni. Ecco come si voterà il 4 marzo

Ecco come si voterà il 4 marzo

Il 4 marzo per la prima volta l’Italia andrà a voto con il Rosatellum, sistema di voto misto che prevede un 36 per cento di collegi
uninominali e per la restante parte collegi plurinominali. Nonostante la presenza di collegi uninominali e nonostante la possibilità di unirsi in coalizione, si tratta di una legge elettorale prevalentemente proporzionale.

COME SONO ATTRIBUITI I SEGGI

Per la Camera dei deputati sono istituiti 232 collegi uninominali. Nei collegi uninominali le coalizioni e i partiti che corrono da
soli propongono un solo nome. Chi prende più voti, viene eletto. Gli altri 386 seggi vengono assegnati con metodo proporzionale in base ai voti raccolti dalle singole liste nei collegi plurinominali. Per la ripartizione, conta la percentuale presa dalla lista su scala nazionale. Ogni collegio plurinominale elegge un massimo di deputati in base alla grandezza della popolazione. Completano l’Assemblea di Montecitorio i 12 deputati eletti all’estero.

Per il Senato sono istituiti 116 collegi uninominali in cui le coalizioni e i partiti che corrono da soli si sfidano con un solo candidato.
Chi vince, viene eletto. Gli altri 193 seggi vengono assegnati con metodo proporzionale in base ai voti raccolti dalle singole liste nei collegi plurinominali. La ripartizione dei seggi, per il Senato, avviene su base regionale. I seggi attribuiti dai collegi plurinominali variano a seconda della grandezza della popolazione. Completano l’Assemblea i 6 senatori eletti all’Estero.

Ripartizione dei seggi nelle Regioni

Ripartizione dei seggi nelle Regioni

COME SI VOTA

L’elettore avrà due schede, una per la Camera e una per il Senato. Sulla scheda troverà i candidati al proprio collegio uninominale e i partiti che lo sostengono. A fianco al simbolo del partito, c’è il listino di circa 4-8 nomi dei candidati nel collegio plurinominale. L’indicazione ufficiale è quella di barrare solo il simbolo del partito scelto. In tal modo il voto sosterrà sia il candidato uninominale sia il partito nella parte proporzionale. Se si barra il nome del candidato uninominale, il voto non viene invalidato ma per il proporzionale viene assegnato in quota parte alle liste che compongono la coalizione a sostegno del candidato uninominale. Si può anche apporre una doppia X sul nome del candidato uninominale e su uno dei partiti che lo sostiene. Non è ammesso, e viene invalidato, il voto disgiunto: non si può cioè votare un candidato uninominale e un partito non collegato a quel nome.

Modello di scheda elettorale

Modello di scheda elettorale

COALIZIONI E PLURICANDIDATURE

La legge elettorale prevede che più liste si apparentino per sostenere gli stessi candidati uninominali. Sono ammesse le pluricandidature: ogni candidato può essere presentato dal proprio partito in 5 collegi. Anche chi si presenta nel collegio uninominale può avere il “paracadute” della candidatura in uno o più collegi plurinominali.

LE SOGLIE

Il sistema di voto non prevede un premio di maggioranza. C’è invece una soglia di sbarramento del 3 per cento sotto la quale una lista – apparentata o non – non ha diritto di accesso in Parlamento. Se una lista che corre in coalizione non raggiunge il 3 per cento, ma resta sopra l’1, allora i suoi voti vengono spartiti tra gli altri partiti dell’alleanza. I voti dati a una lista coalizzata che resta sotto l’1 vengono dispersi.

da Avvenire

Albania. Testa a testa a Tirana: sarà un voto per l’Europa

Uno dei duellanti delle elezioni legislative che si svolgono domenica in Albania, il premier uscente Edi Rama e il leader dell’opposizione Lulzim Basha, sarà il prossimo primo ministro. Il voto è, più in generale, un test sul grado di maturità del Paese balcanico che punta a entrare nell’Ue. Ecco chi sono i due principali contendenti, insieme all’onnipresente ex premier Sali Berisha. Il leader socialista Rama, al potere dal 2013, ha puntato tutto nella sua carriera politica, iniziata dopo il crollo della dittatura comunista di Enver Hoxha, sulla costruzione di “un’Albania europea”, di “uno Stato moderno governato dalla legge”. Quando nel 2009 il suo partito perse le elezioni, Rama arringò i suoi sui brogli e organizzò manifestazioni di piazza per mesi fino a quando nel 2011 tre furono uccisi a colpi di pistola durante le proteste. La battaglia esacerbò la rivalità con i Democratici, guidati allora da Sali Berisha.

Il premier uscente, il soclaista Edi Rama (Ansa)

Il premier uscente, il soclaista Edi Rama (Ansa)

L’ex sindaco di Tirana, Rama, è stato accusato dal centro-destra di essere colluso con il crimine organizzato: come difesa il 52enne ha dichiarato che si dimetterà quando verranno portate le prove. Il premier uscente ha studiato all’istituto d’arte a Parigi e il suo studio è tappezzato di suoi quadri. Ex giocatore di basket, Rama auspica di vincere le elezioni con una larga maggioranza per evitare di dover scendere a compromessi con un partner di coalizione.

Dall’altro lato restano i due leader, in co-abitazione, del centro-destra del Partito democratico. Da una parte l’ex premier ed ex presidente Sali Berisha, che ha dominato per vent’anni la politica albanese e ancora è un collante della destra nel Paese. Dall’altra il suo fedele alleato Lulzim Basha, nominato suo
successore nel 2013.
Il carismatico Berisha, che ha detto di essere “un semplice membro del partito senza aspirazioni per ruoli politici” è meno presente nei comizi, ma è rimasto attivo sui media. Ha descritto Rama come “un nemico” piuttosto che un avversario.

Lo sfidante: il capo dell'opposizione dei democratici Lulzim Basha

Lo sfidante: il capo dell’opposizione dei democratici Lulzim Basha

Basha, leader dei Democratici dal 2013, ha affermato di essersi affrancato dal tutoraggio di Berisha e di voler costruire una “Nuova Repubblica”. L’ambizioso politico, con una formazione da avvocato e una fascinazione per Donald Trump, è stato ministro degli Esteri, degli Interni e dei Trasporti. Il 43enne è stato, come il suo avversario, sindaco di Tirana, e ha battuto lo stesso Rama nel 2011 per la guida della capitale. Basha e i deputati del suo partito hanno boicottato per mesi i lavori in Parlamento, chiedendo le dimissioni del premier, un governo di transizione ed elezioni libere e trasparenti. I due partiti, però, hanno raggiunto un accordo a metà maggio con alcuni ministeri chiave assegnati ai Democratici in vista del voto.

da Avvenire

Ho sempre l’impressione che manchi qualcosa capace di tenerci insieme. Sì, forse è proprio la misericordia ciò che manca di più nelle nostre città

elezioni_politicaCaro candidato sindaco,

lo so che in queste ultime ore di campagna elettorale sei impegnatissimo a distribuire volantini e a stringere mani. Ma mi permetto lo stesso di scriverti, perché mi è venuta in mente una cosa.

Stavo ripensando al fatto che era da parecchio tempo che in Italia così tante grandi città non andavano al voto tutte insieme. E – al di là dei motivi non proprio gloriosi che hanno portato alcune amministrazioni comunali al voto anticipato – la trovo una bella cosa. Certo, come sempre scorrendo le pagine di politica dei giornali di tutto si parla tranne che della dimensione locale di questo voto. Ma credo lo stesso che chi andrà a votare la propria città ce l’abbia bene in mente. E dunque mi sembra intrigante questo ricominciare tutti insieme, partendo dal livello della politica più vicino alla vita dei cittadini.

C’è però anche un’altra coincidenza che mi colpisce: questo azzerare e ricominciare avviene proprio durante quello che per la Chiesa è un anno giubilare. E allora mi è venuto spontaneo mischiare le due cose e provare a chiedermi: ma la misericordia, il tema che papa Francesco ci ha invitato a porre al centro del Giubileo, interpella anche un sindaco?

Lasciamo perdere le battutine qualunquiste sul livello dei politici di oggi o sugli amministratori corrotti in cerca di indulgenze a buon mercato. Il discorso vorrebbe essere un po’ più serio; mi chiedo: c’è ancora posto per la misericordia nella vita delle nostre città? Perché lo vediamo bene: le nostre città oggi sono terribilmente fragili, divise, rissose, impoverite; fatichiamo tutti a ritrovare la strada della piazza e non solo per via del traffico che ingolfa le nostre strade. Scorro i programmi e gli slogan elettorali; vi trovo anche idee interessanti. Ma ho sempre l’impressione che manchi qualcosa capace di tenerci insieme. Sì, forse è proprio la misericordia ciò che manca di più nelle nostre città. Siamo pronti a puntare il dito, a difendere ciò che è nostro, a rivendicare servizi all’altezza; ma non riusciamo più ad avere a cuore la sorte dell’altro.

Così mi permetto di suggerirti un programma, che poi non è neanche farina del mio sacco… Non ti preoccupare: non ti chiede corsie preferenziali, magie con le finanze comunali, piani del commercio o manutenzioni nelle scuole. Su quelle cose lì tu ne sai mille volte più di me; e da lunedì, poi, ci penserà l’opposizione nel tuo consiglio comunale – giustamente – a farti le pulci e a tenere la tua amministrazione sulla corda.

A me interessa dirti una parola diversa; qualcosa che riguarda la tua vita personale da sindaco. Il modo in cui tu sceglierai di stare in quell’ufficio sotto le cui finestre vive un’intera città. Ecco è su questo che ho un programma da proporti. Recita così: «Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i pellegrini…». Ti ricorda qualcosa? Sì, sono proprio le opere di misericordia che papa Francesco ha tolto dalla naftalina dei libri di dottrina e ci sta facendo riscoprire come gesti politici per eccellenza.

Che cosa significa amministrare se non mettere il cuore nel dare risposte ai bisogni della propria comunità? Certo – mi dirai – nel nostro Comune ci sono tante strutture che se ne occupano: le mense, la rete idrica, i servizi sociali, la pro loco… Va bene. Ma è a te che spetta il passo in più; quello che fa la differenza tra un servizio più o meno efficiente e un segno capace di trasmettere un’anima alla tua città.

Che tu sia credente oppure no, io penso che le opere di misericordia possano essere comunque una grande scuola. Prendi ad esempio, visitare gli ammalati: non ti chiede di fare un giro di ispezione in corsia, ma di sostare davvero accanto a chi soffre. Esiste un modo migliore di questo per ascoltare fino in fondo la tua comunità? Oppure visitare i carcerati: non è un modo per ricordarti che anche chi sbaglia resta un tuo cittadino a cui dedicare del tempo?

E poi, accanto a quelle corporali, ci sono le opere di misericordia spirituali: prendi consolare gli afflitti; io non so se ci hai pensato davvero quando hai scelto di candidarti, ma molto prima di quanto pensi scoprirai che questa è una delle cose più difficili che ti verranno chieste come sindaco. Arriveranno a bussare alla tua porta persone devastate da un dolore: chi ha perso un lavoro, chi sta perdendo un figlio, chi per mille motivi non ce la fa più. E in quel momento tu capirai che ci sono problemi a cui nemmeno la politica migliore è in grado di dare risposte. Aprirai lo stesso la porta per ascoltare o ti rifugerai dietro all’immagine del manager?

Quante opere di misericordia sembrano scritte apposta per un sindaco di oggi: perdonare le offese in una politica che sembra fatta tutta di coltellate, sopportare con pazienza le persone moleste (perché lo sai, vero, quello che da domani cominceranno a scrivere su di te nella pagina locale del social network che leggono anche tutti i tuoi amici?). Persino il cattolicissimo ammonire i peccatori ha una declinazione anche laica nella cosa pubblica: sei tu che devi custodire la legalità nella tua città; ed è proprio per questo che quando un primo cittadino viola la legge per interesse proprio o di parte è un fatto così triste.

Se hai il dono della fede, però, credo ci sia un’opera di misericordia che più di ogni altra ti potrebbe essere d’aiuto: pregare Dio per i vivi e per i morti. Mi ha sempre colpito questa specificazione. Ok, pregare, ma perché per i vivi e per i morti? Per ricordarti che la tua città non comincia e non finisce con la tua amministrazione. Temo che per molti sindaci questa sia la verità più dura da accettare: abbiamo tutti dentro il gene del «salvatore della patria». Ma non si costruisce comunità se non si parte da qui; se non si accetta di fare i conti con l’idea che anche nelle città tutto muore, ma può ugualmente diventare una risorsa che ci accompagna nel cammino.

Soprattutto non pregare per te; prega per i tuoi cittadini. Non coltivare l’illusione che Dio possa essere il tappabuchi che arriva là dove tu non riesci ad arrivare. Ma prega per la città con la consapevolezza di chi – nel pezzetto di mondo che gli è affidato – per alcuni anni è chiamato a proseguire in una maniera del tutto particolare l’opera della creazione.

Pensa che persino Lui – e in un posto bellissimo da abitare come il giardino dell’Eden – qualche problemino col consenso l’ha avuto. Ma non ha per questo smesso di amare la sua città. Credo sia l’augurio più bello che ti si possa fare in questa vigilia elettorale, comunque vada a finire.

Intanto in bocca al lupo e buon lavoro!

vinonuovo.it

Grecia, Syriza vince le elezioni

Fin dal primo exit poll scattato alle 19 locali non vi è stato alcun dubbio: Syriza, la formazione della sinistra radicale guidata dal giovane Alexis Tsipras aveva stravinto le elezioni politiche greche avvicinandosi alla maggioranza assoluta dei seggi grazie al premio di 50 parlamentari che viene assegnato al partito che ha guadagnato più voti. Venti minuti dopo Nea Dimokratia riconosceva ufficiosamente la sconfitta: «Abbiamo dovuto attuare una politica difficile in un periodo molto difficile, ma continueremo ad essere una garanzia per il Paese. È chiaro comunque che Syriza ora è la prima forza politica della Grecia».

«È una vittoria storica – dicono i portavoce di Syriza – è la vittoria del popolo che si è mobilitato contro l’austerità». Ma il quesito che tutti (dai preoccupati spettatori nordeuropei agli euforici italiani, spagnoli, portoghesi della “Brigata Kalimera” che in Syriza scorgono l’araldo di una grande riscossa della sinistra in Europa) sono in attesa di sciogliere è uno soltanto: il leader Tsipras avrà oppure no la maggioranza assoluta che gli consenta di governare da solo? Le cifre per ora ballano: i risultati degli exit poll tradotti in seggi indicano che Syriza oscilla tra 146 e 158 seggi. A Nea Dimokratia andrebbero tra i 65 e i 75 seggi, mentre Potami e Alba Dorata potrebbero entrambi ottenere tra i 17 e i 22 seggi. I comunisti del Kke potrebbero ottenere tra i 13 e i 16 seggi, mentre al Pasok andrebbero tra i 12 e i 15 seggi.

I Greci indipendenti oscillano tra i 10 e i 13 seggi e il nuovo partito di George Papandreou oscillerebbe tra 0 e 8 seggi. Una maggioranza assoluta per Syriza darebbe all’Unione Europea il primo governo della zona euro dichiaratamente contrario al programma di austerity varato negli ultimi quattro anni nei confronti dei partner deboli. Una rivoluzione, senza dubbio, le cui conseguenze al momento non sono completamente immaginabili. Grande festa nelle sedi del partito vincitore e tifo da stadio, oltre a una dilagante commozione da parte dei militanti, ma Alexis Tsipras ha fatto sapere che si pronuncerà pubblicamente solo quando i risultati saranno definitivi.

AVVENIRE

Elezioni: Elezioni Urne aperte dalle 7 alle 15, poi lo spoglio Affluenza giù, politiche trascinano regionali

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L’Italia al voto: oggi seggi aperti dalle 7 alle 15, poi lo spoglio. Finora ha votato il 55,17% degli aventi diritto: -7% rispetto al 2008. Le politiche trascinano però le regionali: +9%. Pesa anche il maltempo: neve al nord e pioggia al sud; imbiancata anche la provincia di Roma e la Sardegna. Berlusconi contestato nel seggio di Milano dalle attiviste Femen in topless
ROMA – Crolla alle 22 l’affluenza alle urne per le elezioni politiche ma aumenta di quasi 9 punti per le regionali nel Lazio, Lombardia e in Molise. Questo il quadro della rilevazione dell’affluenza relativo alle ore 22 che vede, rispetto al dato delle ore 19, un calo accentuato del numero dei votanti per le politiche rispetto al 2008, forse anche a causa del maltempo che sta imperversando su tutta Italia: ha votato infatti il 55,17% contro il 62,55% di cinque anni fa.

Dunque il calo è di oltre 7 punti percentuali. Balza invece al 55,71% (dato aggregato) l’affluenza per le regionali: era stata del 46,86% alle ultime regionali, crescendo quindi di circa 9 punti. In particolare, è stata molto forte l’affluenza alle urne per le regionali in Lombardia: alle 22 ha votato il 57,87%; alle precedenti regionali del 2010, l’affluenza, alla stessa ora, era stata del 49,31%, dunque è stata circa 8 punti in più rispetto al 2010. In forte crescita anche a Milano città dove ha votato il 57,05% (47,10% alle precedenti). Ancora meglio il Lazio, dove sono andati alle urne il 53,19% degli aventi diritto.

Alle precedenti regionali, l’affluenza alle urne, alla stessa ora, era stata del 43,39%. Record affluenza a Roma: ha votato per le regionali il 53,95% (41,30% alle precedenti regionali di tre anni fa). Cresce, ma in misura minore, l’affluenza alle regionali anche in Molise: alle 22 è stata del 41,49%. Alle precedenti regionali, nel 2011, alla stessa ora, era stata del 39,48%. C’é quindi stato un aumento nell’affluenza di oltre 2 punti percentuali. Forte aumento dell’affluenza a Campobasso dove ha votato il 53,80% (48,71% alle precedenti regionali).

E’ stata del 55,71% (dato aggregato) l’affluenza alle urne delle ore 22 per le regionali in corso in Lombardia, Lazio e Molise. Il dato omologo riferito alle precedenti elezioni era del 46,86%. Dunque l’aumento è stato di quasi 9 punti percentuali.

IN MOLISE ALLE 22 HA VOTATO IL 41,49% – E’ stata del 41,49% l’affluenza registrata alle ore 22 per le regionali del Molise. Alle precedenti regionali, alla stessa ora, era stata del 39,48%. C’é quindi stato un aumento nell’affluenza di oltre 2 punti percentuali. Forte aumento dell’affluenza a Campobasso dove ha votato il 53,80% (48,71% alle precedenti regionali).

NEL LAZIO ALLE 22 HA VOTATO IL 53,19% – E’ stata del 53,19% l’affluenza registrata alle ore 22 per le regionali del Lazio. Alle precedenti regionali, l’affluenza alle urne, alla stessa ora, era stata del 43,39%. Record affluenza a Roma: ha votato per le regionali il 53,95% (41,30% alle precedenti regionali).

IN LOMBARDIA ALLE 22 HA VOTATO IL 57,87% – E’ stata del 57,87% l’affluenza registrata alle ore 22 per le regionali della Lombardia. Alle precedenti regionali del 2010, l’affluenza, alla stessa ora, era stata del 49,31%, dunque oggi è stata circa 8 punti in più rispetto al 2010. In forte crescita anche a Milano città dove ha votato il 57,05% (47,10% alle precedenti). (ANSA).

BERLUSCONI CONTESTATO DA RAGAZZE A SENO NUDO – Tre ragazze a seno nudo hanno contestato Silvio Berlusconi non appena è entrato all’interno del seggio di via Scrosati a Milano. “Basta Berlusconi, basta Berlusconi” hanno urlato le 3 ragazze tutte a torso nudo con scritto “basta Berlusconi” anche sul petto e sulla schiena. Immediata la reazione delle forze dell’ordine.

MARONI HA VOTATO A LOZZA, NEL VARESOTTO – Roberto Maroni ha votato nel seggio di Lozza, il paesino alle porte di Varese in cui risiede. Il leader della Lega, che è candidato presidente della Lombardia, è arrivato da solo poco dopo le 9.30, accompagnato da un agente di scorta, nella scuola elementare Pascoli ammantata di neve. Poi si è allontanato alla guida della sua auto nuova, una Polo, facendone notare ai fotografi i colori: rossa con cerchioni neri, come la maglia del Milan di cui è tifoso e che stasera seguirà nel Derby.

BERSANI VOTA A PIACENZA, ‘NON C’E’ NEVE CHE TENGA’ – Il segretario Pd e candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, ha votato alle 11:03 a Piacenza, nella scuola elementare ‘Renzo Pezzani’ in via Emmanueli. Ai giornalisti che gli hanno fatto notare come il seggio fosse affollato, Bersani ha risposto che “quando si vota non c’é neve che tenga”. “E poi, vedete – ha aggiunto scherzosamente – noi abbiamo il fisico…”. Bersani si è recato nella sezione elettorale 37 assieme alla moglie, Daniela Ferrari, e alle figlie, Elisa e Margherita.

MONTI HA VOTATO A MILANO – Il presidente del consiglio Mario Monti ha votato a Milano nel seggio della scuola elementare Novaro in piazza Sicilia. Monti era accompagnato della moglie Elsa. Nell’aula della sua sezione sono state sistemate delle transenne per tenere a distanza giornalisti e fotografi. Il presidente del consiglio è entrato e uscito dopo il voto senza fermarsi a parlare.

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Domenica e lunedì le elezioni politiche. Fra molte incognite l’Italia alle urne

di Marco Bellizi

Timori e incertezze caratterizzano l’attesa per le elezioni politiche italiane. A preoccupare, anche i mercati e la comunità internazionale, è soprattutto la possibilità che dalle urne possa uscire un Parlamento frammentato, non in grado di esprimere un Governo stabile. Sul risultato delle consultazioni pesa inoltre l’incognita di quanti sono ancora indecisi e di quanti preferiranno astenersi. La sfiducia nella capacità della politica di emendarsi e di mettere mano alle riforme è un elemento che è destinato ad avere un forte peso nella scelta dei cittadini. Tuttavia, nei programmi e soprattutto negli slogan, non tutti i partiti sembrano aver tenuto conto dei cambiamenti in corso nella società italiana, fra i quali la crisi del ruolo tradizionale dei partiti intesi come titolari esclusivi della mediazione politica. Eppure, fra gli elementi di novità della campagna elettorale si segnalano i milioni di elettori che hanno partecipato alle consultazioni primarie e alle “parlamentarie” così come pure le piazze colme per alcuni comizi. È una massa sul punto di diventare critica, fatta di persone che vogliono partecipare direttamente alla ricostruzione del Paese. Nella loro percezione, anche le proposte meno realistiche diventano strumentali al rovesciamento di un sistema da rifondare.
I contenuti della campagna elettore hanno invece ruotato attorno al tema delle tasse e delle alleanze post elettorali nel tentativo di fare leva sull’identità politica degli elettori. Una logica di contrapposizione frontale che sarà necessariamente superata una volta chiuse le urne, dati gli effetti di una legge elettorale considerata, come minimo, inadeguata. Dalle previsioni più accreditate si deduce che alcune forze politiche saranno costrette a coalizzarsi per dare un Governo al Paese. È altrettanto condivisa infatti l’opinione che l’Italia non possa permettersi di tornare alle urne entro pochi mesi, rendendo vane così le misure prese dall’Esecutivo uscente. Misure che, grazie ai sacrifici degli italiani, hanno permesso di uscire dalla tempesta finanziaria. Al tempo stesso, chi governerà è chiamato ad agire non più in una logica emergenziale ma ponendo le basi per riforme strutturali di medio e lungo periodo, tali da coinvolgere inevitabilmente l’identità stessa del Paese. Serve, insomma, un Governo che possa contare su una forte maggioranza politica e non solo numerica. E che sia espressione anche di una giusta sintesi fra le diverse sensibilità riformiste. La campagna elettorale non ha dato, in questo senso, indicazioni sufficientemente rassicuranti, fra promesse spregiudicate a danno delle categorie più fragili e confronti dialettici nei quali, con poche eccezioni, non ha avuto spazio la proposta di un progetto organico per l’Italia. Così come è rimasto sostanzialmente ignorato il grande tema della profonda crisi culturale e di valori, di cui l’evasione fiscale e un federalismo non solidale sono solo tra le manifestazioni più tangibili.
Gli schieramenti politici arrivano all’appuntamento di domenica e lunedì ciascuno con le proprie difficoltà. Il centrodestra di Silvio Berlusconi, che ha incentrato la sua campagna elettorale sulla promessa della restituzione dell’Imu pagata lo scorso anno dagli italiani, ha rimandato a dopo il voto il confronto sul suo futuro e sulla stessa scelta del suo candidato alla presidenza del Consiglio, tanto che alcune analisi avanzano dubbi sulla reale tenuta del Popolo della libertà, nel caso che il centrodestra non ottenga la maggioranza di Camera e Senato. Il centrosinistra di Pierluigi Bersani, che ha condotto una sobria campagna elettorale attorno al tema della lotta alla disoccupazione, paga in parte proprio gli effetti collaterali delle primarie, in termini di alleanza obbligata con la sinistra di Vendola. La presenza nello schieramento del segretario di Sinistra ecologia e libertà ha creato infatti non poche difficoltà a Bersani, impegnato ad accreditarsi come leader di un governo di stampo laburista e riformista, affidabile anche agli occhi dei mercati e della comunità internazionale. Su questo punto in particolare ha insistito la campagna elettorale del presidente del Consiglio uscente. Mario Monti – fatto oggetto dei prevedibili attacchi per le dure misure anticrisi che è stato chiamato a varare nel corso dei suoi mesi di Governo e che sono state votate dal Parlamento quasi all’unanimità – durante la campagna elettorale ha messo in luce quelle che a suo parere sono le contraddizioni esistenti all’interno del centrosinistra e del centrodestra, cercando di convincere gli elettori della necessità di continuare sulla strada delle riforme, anche se con maggiori interventi per favorire la ripresa dei consumi e della crescita economica. Su tutti incombe l’incognita di quale dimensioni avrà il successo del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo, un fenomeno trasversale che con ancora troppa superficialità viene liquidato come espressione di antipolitica, di populismo o di demagogia, appellativi che, se possono ben adattarsi ad alcuni slogan lanciati durante i comizi, non rappresentano adeguatamente un elettorato che persegue anzitutto un rapporto diretto con i suoi rappresentanti, in un momento in cui, nonostante tutti i segnali che arrivano dalla società civile, la politica tradizionale è avvertita, spesso non a torto, desolatamente autoreferenziale.

 

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(©L’Osservatore Romano 24 febbraio 2013)

È già lite per i politici in tv “Compensazioni” dalla Rai

​I regolamenti per l’applicazione della par condicio elettorale nelle televisioni, pubbliche e private, sono in arrivo e, intanto, la Rai tenta la via della compensazione dell’ampia presenza sui suoi canali in questi giorni di Berlusconi, con conseguenti proteste da parte del centrosinistra.
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