Quale cura per i sofferenti nella parrocchia che cambia volto?

L’Anno Santo della Misericordia volge al termine. Ha portato qualche cambiamento nelle nostre parrocchie? Diversamente da santa Madre Teresa di Calcutta, che continueremo a chiamare Madre teresa, non si usa più il termine parrocchia ma unità pastorale. Avevamo, in un tempo non tanto lontano, 350 parrocchie.
Oggi abbiamo 60 unità pastorali e 11 vicariati. è cambiata la sostanza o è cambiata solo la cartina geografica? Abbiamo davanti due modelli prevalenti: uno largamente maggioritario, che potremmo definire “parrocchia tradizionale espansa”, risultante dalla somma di più parrocchie (5-10). Conserva generalmente la precedente organizzazione piramidale, con i tradizionali settori (battesimi, catechismo, oratorio, matrimoni, pellegrinaggi, eccetera), diventati “macro-settori” ancora più complessi, da gestire. Un secondo modello molto meno diffuso è l’unità pastorale gestita da movimenti, talora ad impronta ascetico-liturgico-devozionista, dove alla “espansione territoriale” non segue l’espansione dei settori, ma un restringimento delle aree di cura pastorale.

I preti hanno molti problemi. Sono stati formati per essere al vertice di una parrocchia concepita e strutturata in modo piramidale, e a questo sono stati allenati nei seminari e negli oratori dove hanno fatto tirocinio. Il parroco è stato ed è ancora nella mentalità della maggior parte dei preti e dei laici “la parrocchia”: tutti i restanti soggetti sono accessori. Lo stile della parrocchia ha sempre coinciso con lo stile del parroco, la sua formazione, i suoi interessi, i suoi gusti (nel bene e nel male è così dal Concilio di Trento).

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