Rendere la povertà non naturale («de-naturalizzare la miseria», togliere la burocrazia agli aiuti contro la fame nel mondo: è la duplice richiesta del Papa in visita questa mattina – la prima volta di un pontefice – alla sede del Programma alimentare mondiale (Pam, Wfm) di Roma, che si occupa di assistenza alimentare. Il Papa ha pregato davanti al Muro della Memoria, all’ingresso del Pam, che porta inciso i nomi di chi, al servizio del Pam, ha offerto la propria vita perché «anche in mezzo a complesse vicende agli affamati non mancasse il pane».
Dopo il discorso ufficiale davanti ai vertici del Pam, nel giardino il Papa ha salutato calorosamente i dipendenti e le loro famiglie. «Grazie, grazie perché voi fate il lavoro di nascosto, il lavoro di dietro, quello che non si vede ma che fa possibile che tutto vada avanti, voi siete un esempio, come senza fondamenti il palazzo non va, tanti progetti tante cose si possono fare e si fanno nel mondo nella lotta contro la fame e le fa tanta gente coraggiosa, ma questo grazie al vostro sostegno al vostro aiuto nascosto».
Ecco il discorso integrale del Papa, come riportato dalla Radio Vaticana.
Sono così tante le immagini che ci raggiungono che noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono. Tale tendenza – o tentazione – ci chiede oggi di fare un passo ulteriore e rivela a sua volta il ruolo fondamentale che le istituzioni come la vostra hanno per lo scenario globale. Oggi non possiamo considerarci soddisfatti solo per il fatto di conoscere la situazione di molti nostri fratelli.
Le statistiche non ci saziano. Non basta elaborare lunghe riflessioni o sprofondarci in interminabili discussioni su di esse, ripetendo continuamente argomenti già conosciuti da tutti. È necessario “de-naturalizzare” la miseria e smettere di considerarla come un dato della realtà tra i tanti. Perché? Perché la miseria ha un volto. Ha il volto di un bambino, ha il volto di una famiglia, ha il volto di giovani e anziani. Ha il volto della mancanza di opportunità e di lavoro di tante persone, ha il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte.
Non possiamo “naturalizzare” la fame di tante persone; non ci è lecito dire che la loro situazione è frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo fare nulla. E quando la miseria cessa di avere un volto, possiamo cadere nella tentazione di iniziare a parlare e a discutere su “la fame”, “l’alimentazione”, “la violenza”, lasciando da parte il soggetto concreto, reale, che oggi ancora bussa alle nostre porte. Quando mancano i volti e le storie, le vite cominciano a diventare cifre e così un po’ alla volta corriamo il rischio di burocratizzare il dolore degli altri. Le burocrazie si occupano di pratiche; la compassione, – non la pena: la compassione, il patire con – invece, si mette in gioco per le persone.
E credo che in questo abbiamo molto lavoro da compiere. Insieme con tutte le attività che già si realizzano, è necessario lavorare per “de-naturalizzare” e de-burocratizzare la miseria e la fame dei nostri fratelli. Questo ci impone un intervento su scale e livelli differenti in cui venga posto come obiettivo dei nostri sforzi la persona concreta che soffre e ha fame, ma che racchiude anche un’immensa ricchezza di energie e potenzialità che dobbiamo aiutare ad esprimersi concretamente.
Quando sono stato alla FAO, in occasione della IIª Conferenza Internazionale sulla nutrizione, ho detto che una delle forti incoerenze che eravamo invitati a considerare era il fatto che esiste cibo sufficiente per tutti, «ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi» (Discorso alla Plenaria della Conferenza [20 novembre 2014], 3).
Questa realtà ci chiede di riflettere sul problema della perdita e dello spreco di alimenti, al fine di individuare vie e modalità che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi (cfr Catechesi del 5 giugno 2013: Insegnamenti I, 1 [2013], 280).
Dobbiamo dirlo con sincerità: ci sono questioni che sono burocratizzate. Ci sono azioni che sono come “imbottigliate”. L’instabilità mondiale che viviamo è ben conosciuta da tutti. Negli ultimi tempi sono le guerre e le minacce di conflitti ciò che predomina nei nostri interessi e dibattiti. E così, di fronte alla diversa gamma di conflitti esistenti, sembra che le armi abbiano acquistato una preponderanza inusitata, in modo tale da accantonare totalmente altre maniere di risolvere le questioni oggetto di contrasto. Questa preferenza è ormai così radicata e accettata che impedisce la distribuzione degli alimenti in zone di guerra, arrivando anche alla violazione dei principi e delle direttive più basilari del diritto internazionale, la cui vigenza risale a molti secoli fa.
Ci troviamo così davanti a uno strano e paradossale fenomeno: mentre gli aiuti e i piani di sviluppo sono ostacolati da intricate e incomprensibili decisioni politiche, da forvianti visioni ideologiche o da insormontabili barriere doganali, le armi no; non importa la loro provenienza, esse circolano – perdonatemi l’aggettivo – con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo. E in questo modo, a nutrirsi sono le guerre e non le persone. In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra. E le vittime si moltiplicano, perché il numero delle persone che muoiono di fame e sfinimento si aggiunge a quello dei combattenti che muoiono sul campo di battaglia e a quello dei molti civili caduti negli scontri e negli attentati.
Siamo pienamente coscienti di questo, però lasciamo che la nostra coscienza si anestetizzi, e così la rendiamo insensibile, forse con parole che la giustificano. Bene, non si può di fronte a tante tragedie! E’ l’anestesia più grave. In tal modo la forza diventa il nostro unico modo di agire, e il potere l’obiettivo perentorio da raggiungere. Le popolazioni più deboli non solo soffrono per i conflitti bellici ma, nello stesso tempo, vedono ostacolato ogni tipo di aiuto. Perciò urge de-burocratizzare tutto quanto impedisce che i piani di aiuti umanitari realizzino i loro obiettivi. In questo voi avete un ruolo fondamentale, perché abbiamo bisogno di veri eroi capaci di aprire strade, gettare ponti, snellire procedure che pongano l’accento sul volto di chi soffre. A tale meta devono essere ugualmente orientate le iniziative della comunità internazionale.
Non si tratta di armonizzare interessi che rimangono ancorati a visioni nazionali centripete o a egoismi inconfessabili. Si tratta piuttosto che gli Stati membri incrementino in modo decisivo la loro reale volontà di cooperare per questi fini. Per questa ragione, come sarebbe importante che la volontà politica di tutti i Paesi membri consenta e incrementi decisamente l’effettiva volontà di cooperare con il Programma Alimentare Mondiale, affinché esso non solo possa rispondere alle urgenze, ma possa realizzare progetti solidi e consistenti e promuovere programmi di sviluppo a lungo termine, secondo le richieste di ciascun governo e in accordo con le necessità dei popoli.