Lo spettacolo del presepe

Dove c’è un presepe, la gente si affolla: è un fenomeno riscontrabile ovunque, nelle case, nelle chiese, nei mercatini di Natale… e persino nell’affresco di Giotto.

IL PRESEPE VIVENTE DI GRECCIO

(Giotto con aiuti, tra cui, forse, Pietro Cavallini, 1295-99, Assisi, Basilica superiore di San Francesco)

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio…». Gv 1,1-5.9-14

È solo l’inizio della “più grande storia mai raccontata” (come titolava un film del 1965) ed è già storia. Il modo di rappresentarlo sarà naïf fin che si vuole, per i palati raffinati, sarà pure kitsch, demodé, ridicolo esuperato, eppure resta uno spettacolo che non ci si stanca di rivedere. Lo hanno intuito due uomini di teatro come Eduardo De Filippo e Roberto De Simone, che a Eduardo aveva portato in dono un presepe napoletano. E che, di fronte all’entusiasmo del maestro, osò domandare… maliziosamente: «Ma voi siete credente?». Ottenendo come risposta: «Vedete, io sono ateo, ma il presepe è il presepe».

Fu proprio Eduardo, in Natale in casa Cupiello, a cogliere come – nella stessa famiglia – potessero convivere le due anime, del denigratore del presepe e del sostenitore. Il duro e il tenero. Uno capace solo di giudizi estetici e l’altro capace di vedere, oltre alle pecore, un significato. E magari di sciogliersi per un Dio che si fa uomo, traslocando dal cielo d’oro al cielo celeste e venendo a farsi mortale tra i comuni mortali. I quali apprezzano e lo vanno subito a salutare senza nemmeno cambiarsi d’abito, con gli attrezzi da lavoro e gli animali… In più, il sostenitore è colpito da due gesti che sono gesti d’amore: quello di chi, questa storia, non si stanca di raccontarla e quello di chi non si stanca di ascoltarla.

Si vede pure nell’affresco di Assisi. Che contiene due novità, la prima delle quali dovuta a San Francesco e alla sua invenzione del presepe vivente, a Greccio, nel 1223, quando si serve di persone e animali veri, non di statue: come già era successo all’arte, era la realtà a chiedere cittadinanza e a entrare di prepotenza anche nel presepe. La seconda novità è pittorica: Giotto introduce, infatti, un modo inedito di «rappresentare le figure, metterle in scena nello spazio reale, contrapporre i caratteri. Come a teatro» (Arturo Carlo Quintavalle).

L’artista non è il primo a rappresentare una rappresentazione (lo facevano già i Greci), ma – agli attori – unisce il regista e soprattutto gli spettatori. Che sono indispensabili al teatro, per due impagabili piaceri che si provano di fronte a una storia, peraltro nota: quello di sentirsi gli uni con gli altri e quello di vedere come la storia venga riproposta.

Tali piaceri sono ancora il movente degli spettatori di oggi. Che, come bambini, adorano – quasi più della storia – la passione dei narratori, il loro ingegnarsi a rendere meraviglioso ciò che raccontano. E, nel caso del presepio, apprezzano che venga comunicata, se non la fede, quanto meno la passione per questa bellissima storia.

In un mese stracarico di luci, quella del presepe è la più calda. Un po’ per il calore di quel Bambino nella mangiatoia, garantito dai fiati del bue e dell’asino, un po’ per il calore della gente che si stringe e guarda. Se non esiste spettacolo senza spettatori, quelli del presepe – nel loro volerlo vedere da vicino – pare quasi ne vogliano far parte.

Dove c’è un presepe, la gente si affolla: è un fenomeno riscontrabile ovunque, nelle case, nelle chiese, nei mercatini di Natale… e persino nell’affresco di Giotto, malgrado non abbia traccia di sdolcinatezza. A spazzarla via, nella zona superiore, è quella tavola incombente con la sagoma della Crocifissione. È girata dalla parte del popolo di Dio, sia per essere aderente al vero (amato più del bello) sia per ricordare a tutti che il bimbo in braccio a Francesco non potrà scansare quella croce.

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