La disputa inter-ortodossa ha immediate ripercussioni nel dialogo ecumenico reso assai più difficile e indebolisce l’intera opera di testimonianza del cristianesimo di cui è parte essenziale

Settimana News

Dal Concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, previsto per novembre, si attende la scomunica formale verso il patriarca Bartolomeo e i gerarchi che lo seguono nel riconoscimento dell’autocefalia per la Chiesa ucraina. La comunione eucaristica si è già interrotta da parte russa e i responsabili non sono più citati nei dittici del canone.

In un discorso del 16 settembre il patriarca di Mosca, Cirillo, ha detto: «Il prossimo consiglio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa valuterà quanto sta avvenendo nel mondo ortodosso e, se piace allo Spirito Santo e ai vescovi riuniti, adotterà una risoluzione della nostra Chiesa in relazione agli atti compiuti da Costantinopoli».

La tempesta avviata con riconoscimento dell’autocefalia ucraina nel 2019 sta diventando un uragano che, per i sostenitori di Mosca, potrebbe avere la gravità dello scisma fra Oriente e Occidente del 1054. «Se lo scontro si prolunga nel tempo, un nuovo scisma sarà purtroppo inevitabile come lo fu quello del secolo XI. E la colpa ricadrà su quelli che l’hanno provocato» (Ireneo di Backa, della Chiesa ortodossa serba).

La presenza di Bartolomeo a Kiev (20-24 agosto) è l’ultimo elemento di una dilacerazione additata da Cirillo come «la peccaminosa e incomprensibile visita del patriarca di Costantinopoli a Kiev e la sua concelebrazione con gli scismatici» (cf. SettimanaNewsEvento storico o colpa grave?).

«La visita mi ricorda le parole del Vangelo di Giovanni “chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante”». Insomma, una scelta irrazionale e vergognosa (mons. Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni estere del patriarcato di Mosca).

Mosca accusa Bartolomeo

I segnali di emergenza si sono susseguiti nelle ultime settimane: un convegno internazionale a Mosca (L’ortodossia mondiale: primato e conciliazione alla luce dell’insegnamento ortodosso, 16-17 settembre), il sinodo patriarcale (23-24 settembre) e l’occasione di alcune onorificenze per i vertici del Dipartimento per le relazioni estere (27 settembre).

Il convegno si è svolto nella sala Sergiev della cattedrale di Cristo salvatore a Mosca. Canonisti, storici, patrologi ed ecclesiologi si sono confrontati sui temi come l’autocefalia, la giurisdizione, il diritto d’appello, la primazia, il conciliarismo, la diaspora, il papismo ecc.

È stata anche l’occasione per la presentazione di un’opera storica che affronta uno dei temi della disputa fra i due patriarcati sull’unione storica di Kiev con Mosca, Riunificazione della metropolia di Kiev con la Chiesa ortodossa russa. 1676 – 1686. Ricerche e documenti. In essa sono pubblicati e commentati 246 documenti, di cui 200 non pubblici, che, per gli autori, proverebbero la piena legittimità del legame giuridico e pastorale fra Ucraina e Russia. È stata presentata come la raccolta più completa sull’evento storico.

Introducendo il convegno, Cirillo ha denunciato il tentativo di dividere il ceppo slavo da quello ellenico dell’Ortodossia per indebolire le Chiese e zittire il loro magistero profetico. Ha lamentato che fra i documenti discussi al concilio di Creta (2016) non vi fosse l’intesa raggiunta sull’autocefalia, concedibile solo con il consenso delle 14 Chiese storiche (l’intesa saltò per l’opposizione della Chiesa russa all’ordine dell’elenco dei firmatari e la sua assenza al concilio non fu motivata dalla rimozione del tema, ma dal fatto che tre Chiese avevano deciso di non partecipare).

Ha sottolineato la divergenza con Costantinopoli sulla discussione ecumenica relativa al primato e alla primazia che data dal 2008 ed è fissata in un documento del sinodo moscovita del 2013.

Da Costantinopoli a Gerusalemme?

Per l’ortodossia non esiste un capo visibile perché il capo della Chiesa è il Signore Gesù Cristo. E ha affidato ai teologi il compito di indagare sulla primazia (primus inter pares) nella tradizione canonica e teologica dell’ortodossia, la valutazione teologica dell’autocefalia, i riscontri nella storia, il compito delle Chiese nell’attuale conflitto, fino al “non detto”, il trasferimento della primazia a Gerusalemme.

«Per questo abbiamo accolto con favore l’iniziativa di sua beatitudine il patriarca Teofilo III di Gerusalemme e di tutta la Palestina di convocare una conferenza inter-ortodossa ad Amman e vi abbiamo preso parte (febbraio 2020).

Il primate della Chiesa più antica, indicato nei testi liturgici come la “madre delle Chiese” ha assunto con coraggio la nobile missione, fornendo alle Chiese ortodosse locali una piattaforma di discussione nel momento in cui il Patriarca di Costantinopoli si era di fatto privato del compito di convocare tali riunioni».

A quell’assemblea parteciparono quattro Chiese (su 14) e non ha finora avuto seguito. Una traduzione più esplicita, forse anche eccessiva, è nelle parole di Vladislaw Petrushko, professore all’università S. Tikhon, in un’intervista a Interfax-Religion: «Mi sembra sia giunto il momento in cui l’intero mondo ortodosso dovrebbe pensare se abbiamo bisogno di un tale “primo patriarca in onore” che sia guidato nelle sue attività non dal comandamento cristiano dell’amore, non dai dogmi e dai canoni della Chiesa ortodossa, ma dalle istruzioni del dipartimento di stato americano e dai desideri dei politici fantocci in Ucraina. Le sue personali “ambizioni papali” sono più importanti ai suoi occhi della genuina unità della Chiesa e della pace fra i credenti. Forse è tempo di rivedere e ripensare in modo critico la 28ª regola del concilio di Calcedonia, che elevò la sede di Costantinopoli per un solo motivo: come capitale dell’impero romano di Oriente. È ora di prendere nota che Bisanzio non esiste più da oltre cinque secoli e che l’antica e gloriosa Costantinopoli è diventata da tempo Istanbul».

Un conflitto infecondo

Il secondo evento è il sinodo del patriarcato di Mosca del 23-24 settembre. Fra i numerosi argomenti all’ordine del giorno vi era anche la questione della Chiesa ucraina e del comportamento di Bartolomeo. La risoluzione approvata è in sette punti. Essa sottolinea la grave violazione pastorale della visita in Ucraina, gli atti anti-canonici di Bartolomeo, il carattere politico delle sue decisioni, l’illecita legittimazione di eretici, la sua totale responsabilità personale e, in positivo, il sostegno al metropolita filo-russo ucraino, Onufrio.

Al n. 5 si dice: «Si noti che, sostenendo lo scisma in Ucraina, il patriarca Bartolomeo ha perso la fiducia di milioni di credenti. (Il sinodo) sottolinea che, nella condizione in cui la maggior parte dei credenti ortodossi nel mondo non è in comunione ecclesiale con lui, egli non ha più il diritto di parlare a nome dell’intera ortodossia mondiale e di presentarsi come suo leader».

Il terzo segnale sono i mandati che Cirillo ha dato ai responsabili del Dipartimento per le relazioni estere il 27 settembre. In quell’occasione ha rinnovato le critiche a Bartolomeo sostenendo che le decisioni non sono propriamente sue per i condizionamenti subiti e che però avrebbe potuto opporvisi e dà mandato al Dipartimento di operare «perché l’ortodossia universale esca dallo stato di crisi profonda nella quale è caduta».

L’autorevolezza riconosciuta a mons. Hilarion e ai suoi collaboratori è legata all’efficace azione del Dipartimento al tempo delle persecuzioni (allora l’organismo era presieduto da Nikodim e poi dallo stesso Cirillo) per difendere la Chiesa davanti allo stato, sia perché la questione ucraina non ha intaccato la coesione interna alla Chiesa russa e alle Chiese che a lei fanno riferimento e, infine, per la connessione fra dati politici e dati pastorale.

Va sottolineato, inoltre, che mons. Hilarion presiede anche la commissione biblica e teologica e gli studi post-laurea e di dottorato attivi nella Chiesa russa.

Da parte del patriarcato ecumenico si rovesciano le accuse e si rileva con rammarico «la volontà di alterare l’ecclesiologia ortodossa, come testimoniano gli ultimi eventi ecclesiastici e non (assenza di quattro Chiese ortodosse al santo e grande sinodo di Creta, la questione ecclesiastica in Ucraina e la pandemia), in cui alcune delle Chiese locali si discostano dalla tradizione canonica con deviazioni rispetto alle quali la grande Chiesa di Cristo non può rimanere indifferente».

La disputa inter-ortodossa ha immediate ripercussioni nel dialogo ecumenico reso assai più difficile e indebolisce l’intera opera di testimonianza del cristianesimo di cui è parte essenziale.