L’eucaristia in prospettiva ecumenica

settimananews

di: Antonio Dall’Osto (a cura)

La separazione tra cattolici e protestanti davanti alla mensa eucaristica è sempre più avvertita come un fatto particolarmente doloroso. Per questa ragione l’argomento continua ad essere oggetto di studio e di attenzione a tutti i livelli.

Di particolare interesse, perciò, è il documento reso pubblico mercoledì 11 settembre, a Francoforte, intitolatoInsieme alla mensa del Signore – Prospettive ecumeniche della celebrazione della Cena eucaristica e dell’Eucaristia». Lo studio è frutto di dieci anni di lavoro del gruppo ecumenico (Ökumenische Arbeitskreis ÖAK) costituito da teologi cattolici e protestanti che hanno riflettuto sulla «reciproca partecipazione alle celebrazioni della Cena/Eucaristia, con particolare attenzione alle tradizioni liturgiche».

Il gruppo è stato fondato in Germania nel lontano 1946, a Paderborn, ad opera del vescovo Lorenz Jaeger e di Wilhelm Stälin allo scopo di appoggiare le discussioni sui problemi ecumenici controversi. Agisce autonomamente, ma informa regolarmente la Conferenza episcopale tedesca e la Chiesa evangelica sullo sviluppo delle conversazioni. I presidenti attuali sono, per la parte cattolica, il vescovo del Limburgo, Bätzing, e per la parte evangelica, il vescovo Martin Hein della Chiesa evangelica di Kurhessen-Waldeck).

Iniziata l’epoca del raccolto

Nell’ermeneutica ecumenica – scrive nell’introduzione il documento (chiamato Votum) – da alcuni anni è iniziata l’epoca del raccolto del dialogo ecumenico finora promosso. Questo problema si ricollega con la determinazione di fornire le convinzioni teologiche raggiunte e le conseguenze che ne derivano nel campo dell’azione. La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999), nel nostro contesto, può costituire un modello e insieme un segnale: gli sforzi di cogliere lo stato del dialogo «in via», – sulla via della comunità ecclesiale – hanno trovato ampio consenso nella recezione. Nello stesso tempo, si lamenta la mancanza di successo degli sforzi compiuti sul piano ecumenico in seno alle comunità locali, alle associazioni e alle famiglie.

Lo studio dei teologi dell’ÖAK si colloca all’interno di un nucleo di considerazioni storiche, teologiche ed esegetiche che determinano e giustificano l’attuale interesse ecumenico per il problema dell’eucaristia, così formulate nell’introduzione:

  1. Occorre rilevare che, nei decenni scorsi, nei dialoghi ecumenici in tutti i problemi controversi del 16° secolo relativi alla tematica Cena/Eucaristia è stato raggiunto un consenso in misura tale da non dover più considerare le rimanenti differenze come fattori di divisione tra le Chiese.
  2. Si costata e si ribadisce che, per quanto riguarda il significato teologico della Cena/Eucaristia, esiste un’unità e su questa base si apprezza la diversità delle tradizioni liturgiche.
  3. Occorre chiarire che tutte le discipline teologiche (esegetiche, storiche, sistematiche e pratiche) aprono un loro modo di accostarsi ai temi della Cena/Eucaristia – qui preso in considerazione.
  4. La diversità della prassi liturgica nel corso della storia e nel presente costituisce un costante punto di riferimento di tutte le considerazioni. Lo scopo è di riconoscere e sostenere il significato teologico e su questa base condividere l’impegno di celebrare insieme la Cena e l’Eucaristia.
  5. Lo studio si concentra sulla tradizione occidentale e prende in considerazione solo occasionalmente l’ortodossia; soltanto gradualmente sarà possibile raggiungere degli approcci in tutta l’ecumene. L’ecumenismo dovrà comunque sempre tendere a una prospettiva multilaterale se non vuole perdere di vista il suo scopo che è l’unità della Chiesa nel senso di una comune tradizione confessionale.
Struttura del documento

Lo studio dei teologi si inserisce in questo impegno a far crescere il dialogo ecumenico ed estenderlo fino a raggiungere le periferie.

Il testo presenta la seguente struttura tematica: è ripartito in 8 paragrafi – compresa l’introduzione – distribuiti in 57 pagine, così concepiti:

  • Il punto di partenza delle riflessioni è una comune testimonianza di ciò che riguarda il significato teologico della celebrazione della Cena/Eucaristia (par. 2).
  • Il fondamento biblico teologico trova nel Nuovo Testamento una varietà di testi riguardanti la concezione delle celebrazioni cristiane primitive del banchetto, attraverso gli avvenimenti che soggiacciono alla morte e risurrezione di Gesù (par. 3).
  • Un excursus storico delle forme di celebrazione che permette di familiarizzarsi con le numerose forme della prassi liturgica (par. 4).
  • Le controversie ecumeniche e le convergenze raggiunte (par. 5).
  • Una particolare attenzione alla presidenza (ministeriale) della celebrazione della Cena/Eucaristia (par. 6).
  • Il rapporto tra comunione ecclesiale e comunione eucaristica (par. 7).
  • Un invito ad aprirsi alle celebrazioni eucaristiche dei cristiani di altre tradizioni (par. 8).

I teologi hanno inteso raggruppare le conclusioni dei dialoghi ecumenici precedenti su questo tema. Gli studi esegetici e le ricerche storiche, a loro modo di vedere, rivelano una varietà di forme di celebrazione eucaristica basate sulla Bibbia e sulla storia della Tradizione. Nessuno dovrebbe accontentarsi delle soluzioni precedenti sia nel caso individuale sia per quanto riguarda le norme generali. Gli autori avvertono tuttavia che nel presente studio non è prevista «una nuova forma di liturgia eucaristica che vada oltre lo sviluppo della Tradizione storica». Il grado di comprensione raggiunto, tuttavia, per quanto riguarda l’Eucaristia, non permette di «considerare le differenze che sussistono come un fattore di divisione della Chiesa».

Un passo in avanti importante

Il vescovo del Limburgo, Georg Bätzing, nell’atto di consegnare il testo a Francoforte, ha affermato che si tratta di un lavoro «frutto del dialogo ecumenico di molti anni» e ha sottolineato di sostenerne pienamente il contenuto. Ha detto di vedere in esso «un passo importante e praticabile sulla via di una unità visibile delle nostre Chiese». Ma – ha aggiunto – se si vuole che il documento abbia a cambiare la prassi, è necessaria la recezione da parte delle Chiese partecipi. Inoltre, ha affermato, che sarà ospite per la parte cattolica all’assemblea della Chiesa ecumenica (Kirchentag) nel 2021, a Francoforte, e ha espresso la speranza che il testo, in vista di quella assemblea, «contribuisca ad un’apertura dell’attuale prassi solidamente fondata e insieme prudentemente responsabile».

Da parte sua, il vescovo incaricato dell’ecumenismo, Gehrard Feige, ha espresso la speranza che la dichiarazione «spalanchi la porta al cammino ecumenico». «In quanto vescovo e presidente della commissione ecumenica della Conferenza episcopale tedesca – ha sottolineato – so quanto siano grandi le attese di molti fedeli». Le esperienze nell’Anno della Riforma del 2017 hanno suscitato nuove speranze e aumentato l’impazienza. Lo studio dell’ÖAK – ha detto – merita considerazione e rispetto ed è aperto ad una più ampia discussione. «Ne tratteremo attentamente nei comitati della Conferenza episcopale tedesca». «Desidero – ha sottolineato – un dibattito concreto e spero che presto giungeremo a una buona soluzione circa il problema indubbiamente urgente della comunione alla mensa del Signore».

Il teologo protestante di Tubinga, Volker Leppin, durante la presentazione del documento, ha affermato: «La nostra considerazione si pone su una base biblica e scientifica così ampia da lasciare a chi si oppone alla comunione l’onere di dimostrare le ragioni forti in contrario».

Dorothea Sattler, docente di teologia ecumenica e guida del gruppo di lavoro, ha affermato di aver lavorato allo studio per dieci anni e che il fatto di giungere alla fine a un Votum comune non era del tutto scontato.

Il documento conclude con un auspicio: «Molti battezzati portano l’impronta della loro tradizione confessionale e non conoscono perciò come viene celebrata la Cena/Eucaristia nelle altre chiese. La celebrazione di questo sacramento non può essere considerata soltanto come il punto culminante della vita di fede nella comunità già esistente. L’esperienza dice che vivere la comunione nella celebrazione della Cena eucaristica costituisce anche una fonte di speranza nel cammino per raggiungere lo scopo voluto da Dio: la piena visibile unità della Chiesa nell’oggi del regno di Dio. Nel cammino verso questa meta, le persone già unite tra loro nel battesimo sacramentale, dalla celebrazione eucaristica attingono forza per la perseveranza nella loro vita quotidiana e sono incoraggiate a servire il prossimo nel mondo».

Le Chiese, la ricchezza, la povertà

settimananews

di: Brunetto Salvarani

56 sessione SAE

Un’edizione coraggiosa, quella appena conclusa del tradizionale appuntamento di mezz’estate del Segretariato attività ecumeniche (SAE), fondato negli anni ’60 da Maria Vingiani. Non solo perché portare avanti le istanze del popolo del dialogo in un contesto sociale come quello italiano di questi mesi affannati appare tutt’altro che ovvio, ma anche per il tema scelto, assai delicato: Le Chiese di fronte alla ricchezza, alla povertà e ai beni della terra.

56 sessione SAE

Era la 56ª edizione e, come sempre, è stata una cartina di tornasole preziosa per fare il punto sul movimento ecumenico nazionale.

Si è svolta in una location classica per tali appuntamenti, la Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli (Assisi), dal 22 al 27 luglio.

Oltre duecento i partecipanti da tutt’Italia, ebrei cristiani e musulmani, in un clima positivo, con tanta voglia di incontrarsi e di raccontarsi. Non sono mancati momenti esterni, alla Porziuncola e a Rivotorto.

Impossibile dar conto dei molti contributi offerti nell’occasione, provando a sintetizzarli potremmo dire: Dio ama i poveri, ma non la povertà, tanto che le Chiese sono chiamate a lottare contro di essa in ogni modo, utilizzando sia lo studio della Bibbia e della teologia sia le scienze umane, dalla sociologia all’economia. Ecco perché i lavori del SAE hanno rappresentato un antipasto per l’evento che si terrà, sempre ad Assisi, fra il 26 e il 28 marzo 2020: Economy of Francesco. Una strada complessa, quella della lotta alla povertà, ma anche necessaria; d’altra parte, come scriveva Machado, è solo camminando che si apre cammino.

Laboratorio 4

Di seguito, la traccia, da me predisposta, che ha guidato i lavori del laboratorio n.4, condotto dal sottoscritto insieme a Gianni Novelli, don Giovanni Cereti, il pastore Willy Jourdan e padre Traian Valdman (Giustizia, pace, salvaguardia del creato: bilancio di un impegno ecumenico pluridecennale).

«… più i cristiani saranno fedeli al Vangelo, più facilmente si incontreranno e troveranno unità e comunione. La troveranno nel loro Signore, guidati dallo Spirito nella pratica quotidiana del Vangelo». (Matta El Meskin)

«Nello spirito del Vangelo dobbiamo rielaborare insieme la storia delle Chiese cristiane, che è caratterizzata, oltre che da molte buone esperienze, anche da divisioni, inimicizie e addirittura da scontri bellici. La colpa umana, la mancanza di amore, e la frequente strumentalizzazione della fede e delle Chiese in vista di interessi politici hanno gravemente nuociuto alla credibilità della testimonianza cristiana.

L’ecumenismo, per le cristiane e i cristiani, inizia pertanto con il rinnovamento dei cuori e con la disponibilità alla penitenza ed alla conversione» (Charta oecumenica n. 3).

A proposito dello stato di salute dell’ecumenismo è da tempo invalso l’uso di ricorrere alle immagini meteorologiche, per cui si è a lungo parlato dell’inverno ecumenico, o almeno di un autunno quanto mai grigio, seguito alla primavera densa di speranze (anzi, alla vera e propria euforia ecumenica) che caratterizzò gli anni del concilio Vaticano II e i loro immediati dintorni. Quando diversi fattori incisero nelle coscienze di tanti cristiani, singoli o riuniti in gruppo, delle varie confessioni, fino a immaginare prossimo il momento in cui la Chiesa sarebbe tornata (meglio che diventata!) una: la pressione di base delle comunità ecclesiali, una buona elaborazione teologica in progress, ma anche il clima culturale generale degli anni Sessanta e Settanta, ben disposto, nonostante mille contraddizioni, al dialogare, alla ricerca della pace e della giustizia su scala planetaria, al superamento delle discriminazioni fra i popoli e all’interno delle singole nazioni.

Un’epoca post-ecumenica?

Non andò così. Anzi, i successivi e impetuosi processi di globalizzazione, resi obsoleti i classici strumenti di analisi sociopolitica, concorreranno a produrre un pianeta ancor più squilibrato, preda di reciproche paure e diffidenze, incapace di guardare positivamente al futuro e convinto in tante sue componenti di stare vivendo un autentico scontro di civiltà. In cui anche i nuovi protagonismi sociali e politici delle compagini religiose (Larivincita di Dio di G. Kepel), più che favorire dinamiche di vicendevole accoglienza e di incontro pacificato, hanno, al contrario, alimentato il proliferare di mille chiusure identitarie. Da più parti, così, si è cominciato a parlare di un’epoca post-ecumenica

Un momento complesso, non c’è dubbio.

SAE 56 sessione

Da un versante, in effetti, si continua coraggiosamente a ripetere che, in un mondo globalizzato e in crisi su più fronti, così come gli italiani, crocianamente, non possono non dirsi cristiani, oggi non possiamo non dirci ecumenici; ma, dall’altro, si stenta a trovare, da parte degli attori coinvolti, un linguaggio comune e una traiettoria condivisa per tradurre nel concreto le spinte (in calo, ma ancora presenti) provenienti dal basso.

Il teologo evangelico Oscar Cullmann, peraltro, sosteneva che l’impazienza ecumenica – «le cose non progrediscono abbastanza celermente» – potrebbe rivelarsi persino nociva alla causa dell’unità, rischiando di sottovalutare i progressi vissuti, «sorprendenti e irreversibili dopo una separazione di molti secoli». Per questo, si potrebbe dire che tutto (o almeno molto!) dipende dal punto di riferimento che assumiamo per valutare la situazione odierna.

Una crisi… di crescita

In ogni caso, e a dispetto di ogni comprensibile lamento sulle sue innegabili battute d’arresto, non si può non tener conto del fatto che parecchio di quanto si è riusciti a conseguire con tanta fatica oggi nel convivere dei cristiani è divenuto ovvio, naturale. Ad esempio, i leader delle Chiese si esprimono non di rado insieme sulle questioni sociopolitiche ed etiche, le comunità si riuniscono per funzioni religiose ecumeniche, e coppie di sposi di confessione mista pronunciano il loro fatidico sì in una cerimonia comune e sempre meno sorprendente. Il suo successo maggiore – alla fine – sta nel fatto che l’idea ecumenica non è rimasta solo un’idea, ma ha assunto forme di vita. Anche l’ecumenismo istituzionalizzato, che pure appare affaticato e messo in discussione, è in grado, nonostante tutto, di esibire una storia di discreti successi. Nel complesso, perciò, il bilancio, senza dimenticare tante questioni ancora inevase e altrettanti problemi irrisolti, risulta senz’altro positivo.

In sintesi, mi pare che l’ecumenismo sia oggi chiamato ad affrontare la ricerca dell’unità fra i cristiani nel contesto di quattro straordinarie fratture che ci fanno sentire il secolo breve appena trascorso (E. Hobsbawm) quanto mai lungo e articolato, sul piano religioso: il contesto geopolitico radicalmente mutato, la rinnovata concezione della missione (slegata dai colonialismi, allargata a tutto il popolo di Dio, avvertita dello scandalo della divisione delle Chiese e fondata sull’appello evangelico), una diversa qualità dei fondamentalismi e una differente geografia delle religioni (con un cristianesimo sempre più globale, l’Africa ormai baricentro cristiano del presente ma ancor più del futuro e l’affermazione di un islam attore protagonista nello spazio pubblico europeo, ad esempio).

All’ecumenismo, così, si richiede di rispondere a una triplice e pressante esigenza: quella di far fronte alla responsabilità della memoria divisa delle Chiese cristiane; di trasformare le divisioni in (legittime) differenze; e di elaborare un progetto comune, praticando l’ermeneutica evangelica dell’alterità. Nell’incontro ecumenico, infatti, l’ascolto reciproco appare soprattutto condivisione della vita e dei beni spirituali, frequentazione reciproca per imparare i rispettivi linguaggi, apprendimento di ciò che può ferire l’altro o essergli irricevibile.

In tal modo, potrebbero allentarsi i pregiudizi, si sconfiggerebbe la paura dell’altro e la tentazione di identificaretout court differenza e divisione: mentre si aprirebbe la possibilità di ripensare con l’altro – e non più control’altro! – la propria fede, la sua (faticosa) trasmissione generazionale, l’evangelizzazione di quel mondo che Dio ha tanto amato da dargli il suo unico Figlio. Da questo punto di vista, più che parlare semplicemente di crisi dell’ecumenismo, potremmo leggere tale processo in chiave di riorientamento complessivo, che ha tutto da guadagnare da un rapporto virtuoso con una rinnovata teologia della missione.

La forma comune dell’essere cristiani

Si potrebbe allora dire, parafrasando la bella espressione della costituzione conciliare Gaudium et spesUniti nell’essenziale, liberi nelle cose dubbie, diversi nell’esprimere in molteplicità di forme lo stesso vangelo (n. 92).

Sì, per noi, cristiani immersi nella cultura della postmodernità, a oltre cent’anni dall’avvio del movimento ecumenico e a oltre cinquanta dal Vaticano II, il dialogo ecumenico non dovrebbe essere dunque un’opzione fra le tante, da perseguire o meno a seconda delle stagioni, bensì la forma comune dell’essere cristiani oggi.

SAE 56 sessione

La ricerca dell’unità, da parte dei cristiani, non andrebbe letta come una pura e semplice questione strategica, adottata per il conseguimento della forza ritenuta necessaria contro gli altri, i non cristiani o i (cosiddetti) non credenti. Come spiegò, definitivamente, Giovanni Paolo II nell’Ut unum sint: «L’ecumenismo, il movimento a favore dell’unità dei cristiani, non è soltanto una qualche appendice che si aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo» (n. 20).

Spunti per condividere pensieri

In questo scenario, naturalmente discutibile e su cui ci si potrebbe soffermare a lungo, in vista di un bilancio complessivo dell’impegno ecumenico pluridecennale collegato con il processo conciliare su Giustizia, pace e salvaguardia del creato (Basilea 1989 – Graz 1997 – Sibiu 2007), che abbrevio in GPS quasi ad alludere a una bussola postmoderna per i credenti in Cristo nel vecchio continente, propongo di muoverci lungo tre direttrici: a partire dalla constatazione che esso è stato l’evento principale sul versante ecumenico nell’orizzonte del postconcilio. E che va considerato una possibile cartina di tornasole per lo stato di salute del movimento ecumenico nel suo complesso. A ciascuna tappa abbino alcuni interrogativi, ovviamente cambiabili e aumentabili…

Memoria

Quale memoria ha creato GPS? Perché, almeno a una prima lettura, essa appare così labile? E perché soprattutto le generazioni più giovani ne hanno una percezione così scarsa?

Com’è possibile custodire la memoria di eventi simili, in un tempo che vive nell’attimo presente, non valorizza i legami sociali né la storia del passato? E come farlo senza nostalgie acritiche da buon tempo andato, e senza reducismi?

Una verifica importante: quanto la Charta oecumenica – frutto importante di GPS – è penetrata nel vissuto delle realtà ecclesiali locali, come doveva essere al momento della sua stesura? Perché? È sensato e utile un suo rilancio oggi? Se sì, in che modo?

Identità

Di quale identità ecclesiale GPS ha favorito la nascita? E ne è sorta, in ogni caso, un’identità sociale/collettiva più sensibile e impegnata riguardo ai temi della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato? Domande complesse, ma anche ineludibili per un movimento ecumenico che abbia l’ambizione di rispondere adeguatamente a quelli che Giovanni XXIII chiamava i segni dei tempi

Progetto

Quale futuro per i cristiani e per le Chiese, a partire dall’esperienza di GPS? Se si è esaurito l’ecumenismo delle coccole (così chiamato dal card. Kasper a Sibiu 2007), può funzionare – e bastare – l’ecumenismo del camminare insieme e quello del poliedro, più volte auspicati negli ultimi anni da papa Francesco? È realmente finito l’inverno ecumenico?

Sulla vita liturgica e pastorale due post e una notizia su tutte

avvenire

La “vita liturgico-pastorale” è, della dozzina di sezioni in cui classifico quotidianamente i post in cui mi imbatto, tra le meno vivaci. Questo fenomeno non mi ha mai stupito: si spiega con le semplici logiche della “notiziabilità”, alle quali neppure la disintermediazione digitale sfugge. Fanno eccezione i siti che commentano le letture della domenica e quelli che si occupano, talvolta con malevolenza, di liturgie “creative”; e infatti, in questa rubrica ho spesso riferito degli uni e degli altri. Ho pertanto accolto come una novità il fatto che, negli ultimi giorni, questa sezione sia stata la seconda più ricca di titoli dopo quella, pressoché imbattibile, intestata a Papa Francesco. Due quelli che mi attirano di più: “Andare a messa? Aiuta la salute mentale”, e “Don Asdrubale e l’ambone”. Il primo, riportato da ChurchPOP, mi delude quanto a freschezza: per i tre quarti è infatti la ripresa di un post dell’Unione cristiani cattolici razionali del 2 febbraio scorso ( bit.ly/2kO7jiL ). Ma non mi delude quanto a contenuti, giacché la fonte di tanto ottimismo è una ricerca dell’assai affidabile Pew Research Center, che titolava un po’ più sobriamente “Quale rapporto tra l’appartenenza religiosa e la felicità, l’impegno civile e la salute nel mondo” una ricerca svolta a livello mondiale (24 Paesi, oltre agli Stati Uniti). Il secondo, uscito su Settimananews ( bit.ly/2mn2P39 ), si inserisce in una serie, appena inaugurata, di articoli di argomento liturgico di Elide Siviero, del Servizio per il catecumenato della diocesi di Padova. L’autrice muove di volta in volta dall’osservazione di due sacerdoti di fantasia, l’anziano e abitudinario don Ubaldo e il giovane ed estroso don Asdrubale, per sottolineare con tratti decisi cosa è centrale in ciascun momento della Messa. L’ultimo post definisce l’omelia richiamando tutta la ricchezza simbolica del luogo dal quale è proclamata, “simbolo della tomba vuota dalla quale esce l’annuncio della risurrezione”: cioè la notizia più importante che abbiamo da dare.

Il dialogo tra giovani e adulti per una Chiesa che annuncia

La domanda di Francesco suggerisce il confronto tra le generazioni. Percorsi di fede senza schemi prestabiliti e la sfida al rinnovamento della comunità

Il dialogo tra giovani e adulti per una Chiesa che annuncia

avvenire

Il periodo preparatorio al Sinodo e poi la celebrazione dell’evento sinodale hanno permesso ai giovani di dire il loro sogno sulla Chiesa e sul mondo. E benché i sogni siano sempre eccedenti rispetto alla realtà e alle possibilità di essa, tuttavia dicono orientamenti importanti e decisivi. I giovani hanno manifestato la loro idea di Chiesa, spesso a partire dalle loro critiche, insoddisfazioni, inquietudini: del resto Papa Francesco li aveva incoraggiati ad esprimersi con franchezza e senza reticenze; lo fa anche nella Christus vivit, quando scrive che la Chiesa ha «bisogno di raccogliere la visione e persino le critiche dei giovani» (n. 39).

Qualcuno aveva pensato che il Sinodo avrebbe detto che cosa la Chiesa deve fare di diverso e di nuovo per le nuove generazioni, i giovani invece le hanno detto che la vorrebbero diversa, semplicemente; le loro attese non riguardano le proposte della Chiesa, ma il suo essere, lo stile e le priorità delle comunità cristiane. Attraverso lo sguardo dei giovani, la Chiesa è stata provocata a guardare sé stessa e a capire meglio quale esperienza ecclesiale oggi può esprimere la fedeltà al Vangelo (cfr CV 41). Che cosa chiede Papa Francesco a tutti?

Domanda che ai giovani si riconosca un ruolo non da eterni scolaretti, ma da interlocutori: della Parola innanzitutto, e poi delle comunità, delle altre generazioni. L’interlocutore è un partner attivo, che ha un pensiero, una soggettività, un proprio modo di vedere le situazioni e di entrare in relazione con esse. Occorre far credito al pensiero e alla sensibilità dei giovani. Essi rappresentano la componente più innovativa della società, e questo aspetto costituisce la loro principale risorsa; nei contesti in cui vivono essi portano un modo non abituale di guardare alla vita, che è dato dalla loro tensione al futuro. Spesso è proprio questo che le generazioni adulte rifiutano: le abitudini in cui si sono consolidate e le sicurezze che hanno acquisito attraverso l’esperienza costituiscono un patrimonio che può diventare zavorra: esse possono portare ad atteggiamenti di difesa, alla presunzione di essere gli unici in grado di affrontare le questioni, alla pigrizia che rifiuta la fatica di misurarsi con approcci nuovi…

Rifiutare una relazione positiva e accogliente con le nuove generazioni significa condannarsi a fare le cose come si sono sempre fatte, e a collocarsi rapidamente fuori tempo. Non per questo i giovani devono essere ritenuti indiscutibili nelle loro posizioni: devono essere interlocutori di dialoghi in cui ciascuno mette il proprio originale contributo, di proposta o di critica: chi la novità e chi l’esperienza; chi la tensione al futuro e chi l’esperienza del passato, in un atteggiamento dialogico che permette di crescere insieme. L’apertura alla novità è ciò che permette ai giovani di intuire come reinterpretare il messaggio cristiano, liberandolo da quegli aspetti che sono legati al tempo che passa e che sono frutto della cultura di un’epoca. Come meravigliarsi che i giovani rifiutino di identificarsi con una proposta connotata della sensibilità di un tempo che non c’è più? Con il rischio che rigettando gli elementi accessori essi finiscano con il buttar via anche aspetti preziosi e fondamentali della vita cristiana. E tuttavia con questo processo si apre alla Chiesa alla possibilità di diventare più libera, radicata nel cuore del Vangelo.

Cercare di capire come evangelizzare oggi i giovani significa diventare una Chiesa migliore, più leggera, sensibile a quella semplicità che porta a guardare dritto al Signore e al suo mistero di amore. Evangelizzare i giovani richiede un ritorno all’essenziale, e il loro modo di guardare al patrimonio di fede della comunità cristiana aiuta tutti a crescere in una fede purificata. L’esempio più suggestivo e più efficace di questo è nel capitolo 4 della Christus vivit, dedicato all’annuncio, raccolto attorno a quattro affermazioni: Dio ti ama, Cristo è il tuo salvatore, Egli vive, lo Spirito dà vita. Considerare i giovani come interlocutori significa collocare la Chiesa tutta dentro una relazione che rende essa stessa interlocutri- ce, libera dalla rigidità di schemi precostituiti, capace di interpretare, di adattarsi, di interrogarsi…; anche la comunità ecclesiale è provocata a entrare in dialogo con il Vangelo che annuncia, a collocarlo nel tempo e a liberarne tutta la fecondità.

Guardare al messaggio con lo sguardo al futuro per reinterpretarlo secondo il cuore dei giovani permette alla Chiesa tutta di vivere il Vangelo in modo attuale, sprigionandone le energie ancora inespresse. Significa anche riconciliarsi con i cambiamenti in atto nella cultura e nella società di oggi: quelli che per gli adulti sono cambiamenti, per i giovani sono semplicemente il loro mondo, il loro modo d’essere, il loro presente; vi sono stili che costituiscono naturali modi di essere e che, quando vengono letti come cambiamenti, pongono una distanza tra le generazioni e creano le condizioni perché si diventi reciprocamente estranei.

Papa Francesco dice che evangelizzare i giovani significa per gli adulti non assolutizzare la loro esperienza, meno che mai ricorrere a quello slogan ‘si è sempre fatto così’ che induce i giovani a volgersi da un’altra parte, perché’ sentono che quella fissità non li interpreta. Piuttosto agli adulti è chiesto di educare le nuove generazioni a riconosce- re la ricchezza delle radici, del patrimonio di fede, di esperienza, di santità maturati nel corso del tempo, senza che essi diventino un peso che lega al passato. Dentro un dialogo vivo e libero tra le generazioni, la memoria del passato è linfa che può entrare in tessuti nuovi per generare nuova vita.

Alla comunità cristiana, ai suoi responsabili, ai protagonisti della pastorale giovanile Papa Francesco chiede di recuperare pienamente la loro responsabilità educativa verso le nuove generazioni, riconoscendo che anche l’educazione ha bisogno di essere ripensata alla luce delle esigenze nuove. Si tratta di riconoscere che le nuove sensibilità portano verso una fede personale, verso appartenenze consapevoli che non possono maturare secondo schemi del passato. Anche agli adulti educatori è chiesto un percorso nella direzione dell’essenzialità: comunicare i principi generativi di un’esperienza religiosa bella; affrontare il rischio di percorsi di fede che non amano riprodurre schemi predefiniti, riscoprire la fecondità della pedagogia del Vangelo, incentrata sulla persona del Signore, sul fascino dell’incontro con Lui, sulla responsabilità del coinvolgimento in una comunità con la quale a poco a poco si maturano una sensibilità, una cultura, un approccio alla vita che diventa anche il proprio.

C’è una conversione dunque da realizzare anche come educatori: dall’insegnare una dottrina al far incontrare una Persona; dal dare direttive all’accompagnare; dall’esercitare un’autorità che impone a offrire una relazione che fa crescere; dal dare indicazioni di comportamento all’ascoltare ragioni, inquietudini, sogni… Dell’ascolto il Sinodo costituisce un’esperienza esemplare: se non dovesse essere ricordato per altro, l’ultimo Sinodo deve essere ricordato per aver ascoltato i giovani: con convinzione, con attenzione, con sensibilità. Papa Francesco è convinto che i giovani possono aiutare la Chiesa a «rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà. Essi possono portare alla Chiesa la bellezza della giovinezza» (CV 37) cioè ad essere una Chiesa migliore, secondo il cuore di Dio.

Ministero della Pace: Comunità Papa Giovanni XXIII, il 20 settembre un evento a Ginevra

“Building peace and reconciliation through the creation of the Ministry of Peace ” è il side event che si terrà venerdì 20 settembre, dalle 11.30 alle 13, al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.
L’idea nasce in occasione della ricorrenza della Giornata internazionale della pace, il 21 settembre. Ha l’obiettivo di creare uno spazio in cui discutere di tutti gli step necessari alla promozione e alla costruzione della pace nel nostro mondo conflittuale e complesso, nell’ottica di condividere le “buone pratiche” di implementazione delle infrastrutture per la pace, soprattutto rispetto a un Ministero della Pace.
L’evento è co-organizzato dalla Missione permanente presso le Nazioni Unite della Repubblica di San Marino e dall’’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. A relazionare saranno Guerrino Zanotti, ministro degli affari interni e della Pace della Repubblica di san Marino, Giovanni Paolo Ramonda , presidente dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, mons. Ivan Jurkovič , nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, Antonino Drago , docente universitario in Scienze della Pace, Zaira Zafarana, rappresentante dell’ International Fellowship of Reconciliation presso le Nazioni Unite. Moderano l’incontro Marcello Beccari, ambasciatore della Repubblica di San Marino presso le Nazioni Unite, e Maria Mercedes Rossi, rappresentante della Comunità Papa Giovanni XXIII alle Nazioni Unite.
In questa occasione verrà distribuito anche il documento “Conflict prevention and Alternative Dispute Resolution through experience of the APG23 Nonviolent Peace Corps (Operazione Colomba)”.
La Comunità Papa Giovanni XXIII , insieme ad un cartello di associazioni, ha lanciato nel dicembre 2017 la campagna “ Ministero della Pace, una scelta di Governo”, per istituire nel nostro Paese un Ministero della Pace che gestisca i conflitti sociali e che intervenga in quelli esteri con personale civile, costruendo efficaci politiche di pace. 

agensir

Ungheria: iniziato il conto alla rovescia per il Congresso eucaristico internazionale che si terrà tra un anno

L’Ungheria il prossimo anno ospiterà (per la seconda volta, dopo il 1938) il Congresso eucaristico internazionale. Dal 13 settembre 2020 arriveranno persone da tutti i continenti per partecipare alla serie di eventi che avranno luogo in Ungheria. Manca un anno dall’inizio. Il conto alla rovescia è stato avviato dal card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, alle ore 16 nella piazza antestante la basilica di Santo Stefano di Budapest, alla presenza del nunzio apostolico Michael August Blume e del vescovo Gábor Mohos, direttore della Segreteria del Congresso eucaristico internazionale. In questo evento spettacolare si è esibito anche un coro di cento membri e il Complesso di danza Hajdú di Debrecen.

Durante l’evento è stato avviato l’orologio che conta alla rovescia il tempo che manca all’inizio del Congresso eucaristico internazionale di Budapest, segnalando quanti giorni e quante ore mancano all’inizio di questo avvenimento mondiale. A simboleggiare il carattere internazionale dell’evento sulle scalinate della basilica si sono schierati settanta portatori di bandiere, con le bandiere di settanta nazioni.
Il saluto ai presenti è stato pronunciato dal vescovo Gábor Mohos, il direttore della Segreteria che preparerà il Congresso. “Siamo fiduciosi che il Congresso eucaristico internazionale non sarà solamente una serie di programmi che durerà una settimana, ma che anche nel periodo di preparazione desterà rinnovamento e spirito di iniziativa che si porteranno avanti anche dopo il Congresso”, ha sottolineato il presule.
Oggi è cominciata la registrazione agli eventi del Congresso.

In Venezuela si annuncia un tavolo nazionale per la pace con parte dell’opposizione



L’Osservatore Romano

Mentre il leader dell’opposizione Juan Gaidó ha dichiarato di considerare «esaurito» il dialogo con il governo di Nicolás Maduro, promosso dal Governo norvegese, il governo venezuelano e alcune parti dell’opposizione hanno annunciato ieri di aver raggiunto un accordo per un Tavolo nazionale di dialogo per la pace.Guaidó ha affermato che «coloro che usurpano il potere hanno bloccato una soluzione pacifica», rifiutandosi di discutere e concordare una proposta presentata dalla sua delegazione «per mettere fine a questo conflitto». «La proposta di soluzione che abbiamo messo a punto — ha sottolineato Guaidó — è stata consegnata ai mediatori del Regno di Norvegia e ai rappresentanti di Maduro».

Mons. Machado: Difendo papa Francesco nel dialogo tra le religioni


AsiaNews 

(Felix Machado,Arcivescovo di Vasai) L’arcivescovo di Vasai sostiene il “Documento sulla Fratellanza umana” firmato ad Abu Dhabi. Affermare l’importanza del dialogo tra le religioni “non significa rinunciare alla propria identità”. Papa Francesco “non sta cambiando nessuna dottrina cattolica”. “L’incontro con la religione altrui è una realtà innegabile ed è importante insistere nell’ascolto dell’esperienza dell’altro”.